Quasi 840 visualizzazioni. Sono tante. La rappresentazione teatrale offerta dai ragazzi dell’I.C. “G. Rodari” Soveria Mannelli-Carlopoli ne merita molte e molte di più. Soprattutto negli ambienti scolastici. Si tratta infatti di una iniziativa didattico-formativa di eccezionale valore storico-etico-culturale. Una rielaborazione teatrale tecnicamente ben articolata, di una tragica ingiustizia, patita da due emigrati italiani. mandati a morire su una sedia elettrica, per una condanna fondata su un pregiudizio.
Chi ancora non l’ha vista, farebbe bene ad occupare due ore di tempo godendo di uno spettacolo che è magistralmente eseguito sul piano artistico, per la struttura narrativa, per la regia, la scenografia, le riprese, la bravura dei giovani attori, per la qualità dell’accompagnamento musicale e per le stesse finalità didattico-educative.
Meritorio l’impegno del testo, nelle articolazioni delle voci chiamate ad esporre il contenuto di una vicenda che continua a testimoniare quanta ingiustizia si può arrivare a commettere, fino a comminare la pena di morte, per intolleranza, razzismo, odio sociale e cultura di oppressione degli altri considerati inferiori. Si racconta una vicenda vissuta da due italiani dentro le funeste conseguenze dei fenomeni migratori, che sul pianeta Terra sempre si sono verificati e sempre vi saranno. Fenomeni presenti in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Tra questi luoghi l’Italia rappresenta quello che ha visto emigrare oltre 20milioni di abitanti sparsi in ogni Continente.
Per questo il lavoro teatrale dell’I.C. “G. Rodari” assume un valore testimoniale in grado di sollecitare le coscienze, per sconfiggere ignoranza, luoghi comuni e posizioni di preconcetta ostilità verso il fenomeno migratorio dei nostri giorni, durante il quali tra l’altro Noi lo viviamo in doppia direzione.
Nel mentre diamo ascolto alle intolleranti posizioni declamatorie dell’ “Italia agli italiani”, ( una riproposizione adattata de …l’America agli americani)… Nel mentre ci lasciamo offuscare le coscienze da proposte, tanto fascinosamente emotive quanto inattuabili e anacronistiche, come le invocazioni di “organizzare blocchi navali nel Mediterraneo” , usando linguaggi odiosi, di oltraggio e di disprezzo, verso chi arriva in modi assai rischiosi e in condizioni le più disperate …dall’Italia continuano ad emigrare migliaia e migliaia di giovani in cerca di migliori destini!
Mostriamo di non saper affrontare la complessità del problema; che esiste , ma che non si risolve prendono pericolose scorciatoie propagandisticamente, alimentando ostilità.
Il testo teatrale elaborato dal Prof. Corrado Plastino, con la congiunta regia della Prof.ssa Cinzia Fiorenza, mi sento di apprezzarlo per ben altri due meriti significativi.
Uno è legato ai tempi. Abbiamo vissuto due anni di pandemia. Uno dei settori istituzionali più tormentato è stata la Scuola. Aprite. Chiudete. Ora per un ordine di studi, poi un dietrofront. Attacchi insensati alla ex Ministra Azzolina, che pur dopo alcune imbarazzanti espressioni ha mostrato impegno e risolutezza a difendere l’apertura della Scuola. Decisioni contraddittorie e localmente travisate da Presidenti di Regione che deliberano il contrario di quanto deciso nelle Conferenze Stato-Regioni emanando ordinanze a ripetizione. Altrettanto diversi Sindaci. Con le insensate tifoserie di chi voleva la frequenza in aula e chi no. Con le decisioni, anche queste contraddittorie assunte con sentenze dai diversi TAR. La Scuola ha pagato le insufficienze dei trasporti locali ed è rimasta incagliata nella polemica sulla falsa questione dei banchi a rotelle e i consueti verbosi attacchi di spicciola propaganda di alcune forze politiche. Tutto a scapito dei ragazzi e degli operatori, dal Preside, al Personale ATA, al collaboratore. Per fortuna c’è stato il soccorso delle tecnologie informatiche che hanno aiutato a realizzare costanti iniziative attraverso la DAD ( nuovo acronimo diffusissimo) , cioè la Didattica a Distanza. Di essa non bisogna abusare perché il valore sociale, educativo, culturale e formativo della presenza a Scuola è insostituibile. Perché la DAD non può avere la stessa efficacia, né per le conoscenze e né per la formazione . In più crea molta dispersione scolastica. In una totale assenza del governo della Scuola a livello regionale.
Ebbene, quando si assiste ad uno spettacolo egregiamente rappresentato e si pensa a come può essere stato possibile realizzarlo in un periodo di mesi scolastici con gli edifici chiusi i meriti di tutti i protagonisti sono da encomio: ai ragazzi, ai professori, ai genitori che hanno sostenuto l’iniziativa, a tutti gli altri collaboratori ad ogni livello.
Il secondo è direttamente legato al contenuto scelto.
L’I.C. “G. Rodari”, ormai da anni, con il suo gruppo di docenti organizzatori che si ci dedica, ci ha abituati alla presentazione di spettacoli ad alto contenuto artistico ed educativo, di fine anno.
Con la rappresentazione “Nick e Bart” si sono superati.
Coraggiosamente è stato portato sulla scena un testo ben equilibrato di uno dei momenti più emblematici e drammatici della vicenda migratoria. La condanna a morte di Sacco e Vanzetti sulla sedia elettrica ha toccato uno dei punti più alti della ingiustizia patita dagli italiani emigrati ai primi del 900.
Bartolomeo era partito da Villafalletto (Cuneo), Nicola da Torremaggiore (Foggia). Le due località di partenza uniscono l’Italia, da Nord a Sud. Si partiva da tutto il territorio italiano. Partivano sempre giovani insoddisfatti della vita di angustie e di mortificazioni subite nei luoghi di nascita. Erano quasi sempre componenti di famiglie povere, generalmente legate ai lavori della terra, a condizioni di sfruttamento e di soprusi di vario genere, fino ai condizionamenti e intromissioni nelle stesse scelte matrimoniali. Quasi sempre analfabeti, o con bassi livelli di istruzione. Nicola solo la seconda elementare, la Primaria di oggi. Bartolomeo aveva studiato. Quando fa sapere che vuole partire il Papà, che non vuole, si dice pentito di non averlo mandato ad imparare un mestiere. Invece lo h mandato a studiare a Torino e si è messo in una brutta compagnia, con tanti grilli in testa….Vuole lottare contro le ingiustizie e cambiare il mondo… Il dialogo che si sviluppa nelle due famiglie è sorretto da una efficace alternanza scenica, nei tempi e nei luoghi. Le scene sono sempre semplici, e la semplicità delle scene esalta ancor di più l’intensità emotiva dei dialoghi. I protagonisti appaiono fermi sul palcoscenico, nel mentre i dialoghi rendono dinamici gli avvenimenti. Le figure della sorella di Bart e della Madre di Nick si stagliano per la pregnanza affettiva che emanano in ogni espressione che son chiamate a pronunciare. Nel mentre il protagonista principale, sul piano teatrale, è la figura di Roberto Elia, un altro emigrato che fa parte del gruppo degli anarchici, tra cui Sacco e Vanzetti. Egli interpreta una funzione di raccordo tra quanto si svolge sul palcoscenico, lo stesso autore del testo più volte indicato, i protagonisti in scena e quanti stanno assistendo alla rappresentazione. Rendendo lo spettacolo intenzionalmente partecipato. E’ il conoscitore dei fatti raccontati. Avverte le ragazze che, disertando la Scuola si ritrovano in un parco e si incuriosiscono; vogliono conoscere persone e fatti, restando via via soprese, presenti ed indignate per le ingiustizie che ascoltano.
Nelle due famiglie cambiano alcune argomentazioni, ma i dati di fondo sono gli stessi: Bartolomeo e Nicola vogliono andarsene dai loro paesi; vi soffrono la miseria, l’ingiustizia, le mortificazioni e si sentono impotenti rispetto alle incomprensioni dei loro stessi familiari. Hanno sete di giustizia sociale e si sentono castigati a vivere in un mondo piccolo e ingiusto. Vogliono partire per sottrarsi alle povertà economiche ed anche alle prepotenze dei possidenti locali. L’affermazione di Nicola rivolta ai familiari che hanno timori per i rischi della sua partenza, racchiude appieno il senso della loro rabbia e del loro spirito di rivolta: …qui non ci sono prospettive, non ti puoi fare una famiglia…qui chi non lavora diventa ricco e chi lavora non ha un pezzo di pane…
Vogliono partire perché sentono anche di voler cambiare il mondo. Non sanno come fare e vogliono andare in America perché li si fa fortuna, si viene pagati per quanto si lavora e si può imparare come lottare per avere giustizia ed essere rispettati. L’America (U.S.A.) è un sogno per cambiare in meglio il proprio destino. Entrambi rassicurano le madri; Nicola e Bartolomeo ripetono alle loro rispettive madri: tornerò. Nel mentre le madri che sentono l’amarezza della vita, con quel distacco dei figli, per una terra lontana, con tanti pericoli da affrontare nel lungo viaggio e in terre straniere; nel presentimento di non vederli più, piangono. Presentimenti fondati anche su quanto ripetutamente sta accadendo. Centinaia e centinaia di emigrati non sono arrivati a toccare terra, Sono finiti in fondo al mare, scivolati, avvolti in sacchi di iuta, di cui ogni nave ha una bella scorta: perché durante i lunghi viaggi ci sono sempre troppi morti per malattie infettive. Altri annegati nei ripetuti nubifragi. E poi si conoscono anche le difficoltà di trovarsi stranieri in terre e tra genti sconosciute e ostili. Alcune informazioni comunicate da chi è emigrato da anni o attraverso il racconto di chi è voluto ritornare non fanno stare tranquilli i familiari. Disvelano le brutte condizioni di vita che dovranno affrontare e l’odio per essere emigrati italiani.
Nick e Bart sono spinti dal bisogno, ma sono anche attratti ad andare in “America” per realizzare dei sogni: sono chiamati a partire dai loro ideali, nella speranza di poter lottare davvero li, in America, per un mondo migliore. Per imparare a farlo e magari poi tornare. Ci credono. Si alimentano di idealità anarchiche. Si rifugiano in Messico per sottrarsi alla chiamata alle armi. Magari rischiano di essere inviati in Italia a combattere nella Prima guerra mondiale. Gli anarchici si oppongono a qualsiasi guerra. Sognano un mondo senza guerre. Di Pace. Loro non possono andare a sparare contro nessuno. Altro intendimento è quello di organizzare attentati contro l’Istituzione Stato, considerato comunque oppressore. Questo loro atteggiamento li portò ad una forma di obiezione di coscienza.
Si sottrassero alla chiamata, si rifugiarono in Messico e finirono con altri del gruppo su una lista di persone indesiderate, considerate sovversive, da sorvegliare. In quegli anni in America le Autorità erano ossessionate contro i comunisti. Comunisti e anarchici erano considerati comunque nemici da eliminare. In Europa la Rivoluzione sovietica aveva causato una forte paura presso gli altri Stati, temendo che si potesse diffondere un sovvertimento dei regimi. Tale paura nell’America si tramutò in una politica di soppressione di libertà, di repressione e di eliminazione fisica di quanti divenissero considerati nemici della Patria, sospettati di tramare anche quando si trattava di lotte, di manifestazioni contro sfruttamenti, prepotenze sui luoghi di lavoro.
Gli emigrati erano presi di mira. Quelli italiani particolarmente. Le loro condizioni di vita erano miserabili….in tuguri, a vivere in sotto-scale, in baracche, rifiutati, costretti ai lavori più pesanti e malpagati, esposti alle violenze di gruppi di malviventi, senza diritti e senza difesa, senza potersi curare se ammalati, con la perdita del lavoro… Non hanno trovato il mondo che avevano immaginato…Le condizioni non migliorano… Nicola e Bartolomeo si avvicinano di più ai gruppi anarchici e si impegnano a lottare per la giustizia sociale: Quando un loro amico anarchico viene fatto volare dal 14° piano di una sede della polizia dove da giorni era sottoposto a interrogatori con torture, Andrea Salsedo, Nicola si propone di organizzare una manifestazione con comizio. Vuole denunciare l’“assassinio”, che nelle cronache giornalistiche si voleva farlo passare per suicidio. La situazione precipita perché la polizia li arresta utilizzando la lista nella quale sono iscritti come sovversivi.
La rappresentazione teatrale rende benissimo l’epilogo della vicenda. Con la riproposizione scenica del ridicolo processo, nel quale addirittura i due vengono accusati come sovversivi, colpevoli di rapina e di assassinio. Il giudice e il procuratore rifiutano le testimonianze che dichiarano la estraneità ai fatti dei due accusati. Rigettano le testimonianze perché i testimoni, essendo italiani, non sono credibili… perché sono italiani, straccioni, sudici e fannulloni, stupratori e violenti… Mentre le dichiarazioni di innocenza ripetute dai due imputati vengono rigettate perché loro sono due barbari. La bravura dei ragazzi in scena, tra Procuratore, Giudice, Avvocato difensore e i due accusati, rende bene la drammaticità del momento processuale. Nel processo la falsità delle accuse si coglie appieno e tutto appare tragicamente beffardo nel momento in cui viene rifiutata anche la testimonianza del diretto responsabile della rapina e del delitto, che scagiona completamente i due emigrati italiani. Non era bastato a Nicola dimostrare che quando succedeva la rapina egli era nella sede del Consolato, perché intenzionato a chiedere il passaporto per il ritorno. E qui si palesa nel suo animo il fallimento del sogno americano.
Appare chiaro: i due devono essere condannati a morte, non perché dei delinquenti, non perché abbiano commesso una rapina con omicidio, ma perché sono anarchici e sono italiani.
E’ un processo politico in un’America che accoglie chi arriva dal mare con la vista della grande simbolica Statua della Libertà.
Un’America che tradisce le speranze e spezza i sogni. Per la paura ossessiva dei comunisti conduce una politica repressiva che colpisce innocenti, impossibilitati a difendersi, discriminati per la nazionalità di essere italiani, immigrati indigenti, analfabeti, e, per pregiudizio, pure fannulloni e delinquenti. Chi le ha svuotate le miniere di carbone e di ferro? Elevato quegli orgogliosi grattacieli? Tracciate strade e ferrovie? E meno male, amara ironia, che proprio in quel periodo, qualche anno prima che i due condannati mettessero piedi in America, il 6 dicembre del 1906 nella Stato della Virginia Occidentale nella miniera di carbone di Monongah, dopo diverse altre precedenti, si è consumata una delle più grandi disgrazie minerarie con 367 minatori rimasti seppelliti nelle profondità della Terra. La cifra di 367 è quella ufficiale, ma i seppelliti furono molti di più tra i quali 171 italiani, quasi la metà e tra questi tanti meridionali, di cui una quarantina calabresi. L’espressione una quarantina viene adoperata perché non si seppe mai il numero preciso . Mentre si seppe che alcuni dissepolti portavano cuciti nelle povere giacche i soldi dei risparmi. Ecco questi morti, meridionali, e gli innumerevoli altri caduti in tanti incidenti di cantiere e sotto frane minerarie, seppelliti senza esequie, sacrificati al progresso della grande America, per le coscienze di gran parte dell’opinione pubblica, di quel procuratore e di quel giudice che avevano di fronte i due accusati, non contavano niente: gli italiani dovevano essere giudicati comunque fannulloni, violenti e barbari.
La scena del processo è scarna di addobbi, ma piena di pathos. Lo spettatore avverte l’incombenza del tragico esito, della giustizia tradita, dell’ingiustizia consumata a scapito di una verità dimostrata.
La condanna a morte sulla sedia elettrica è rappresentata in maniera emblematicamente da brividi. Lo sfolgorare avvicendato delle luci richiama subito alla mente la crudeltà che si consuma nel buio, immaginando quel che sta succedendo con un richiamo a memoria delle scene viste nell’esecuzione su una sedia elettrica consumatasi nel film “Il miglio verde”
La rappresentazione è opportunamente corredata dalle foto dei due emigrati Sacco e Vanzetti, foto di manifestazioni di protesta per la uccisione dei due innocenti, di lapidi, della dichiarazione del Governatore Massachusetts, Dukakis, che nel 1977 ha ufficialmente riconosciuto l’ingiustizia commessa, per aver condannato a morte due innocenti, finalmente riabilitandoli e riscattandone la dignità dall’ignominia dei tempi, di quella di Giudici ottusi e anche di quella folla accecata di vendetta, carica di pregiudizi alimentati, che lungo le due ali della strada inveisce contro i due condannati per essere avviati al penitenziario. E dei lunghi decenni di codardo silenzio. Ci furono anche manifestazioni di denuncia e in difesa dei due condannati. Non ebbero esito. Dopo sette anni di processo li aspettò la sedia elettrica.
Verso la conclusione sul palco appaiono in successione sei “mascherine” portatrici simboliche dei valori ai quali ispirarsi, come messaggio valoriale del testo teatrale: Pace, Eguaglianza, Libertà. Giustizia, Tolleranza Dignità.
Lo scorrere delle immagini finali propone lo scopo ultimo dell’impegno didattico. Lo indicano i ragazzi del coro, rattristati dal tragico esito della vicenda dei due emigrarti, dispiaciuti di non averne mai sentito parlare prima; quasi un’accusa a chi non ha mai voluto parlare di certe storie, di aver taciuto di questa e di tante vicende, anche a Scuola.
E’ vero la vicenda di Sacco e Vanzetti è stata a lungo avvolta nel silenzio. In Italia prima durante il regima fascista, che difendeva soltanto a parole l’onore dell’Italia e degli Italiani, poi forse si è rimasti troppo succubi dell’Alleanza con gli U.S.A nel mentre venivano indicati come Alleati, amici, Patria delle libertà, in contrapposizione all’allora U.R.S.S. indicata come Stato delle repressioni.
Nella trappola dei dinieghi e dei silenzi si è andati avanti anche col sistema scolastico.
Anche la Scuola si è sottratta alla sua funzione di diffondere alcune conoscenze.
Salve le lodevoli iniziative, come questa di cui si sta scrivendo, portate avanti da singoli o da ristretti gruppi di docenti. Il che va ancor di più riconosciuto a loro merito.
Lo spettacolo in me ha avuto anche una funzione rievocativa delle scene del film del regista Montaldo “Sacco e Vanzetti” (1971); ancor di più delle discussioni nei collettivi studenteschi, delle manifestazioni nelle quali, alle altre, si accompagnava a gran voce la canzone di Joan Baez, “Nick e Bart”, accennata nel sottofondo finale.
Dopo le quasi due ore di visione si resta con uno stato d’animo intriso di tristezza per la crudele ingiustizia subita da Nicola e Bartolomeo. Una tristezza di indignazione, che si stempera nel sentimento di gratitudine verso tutti quanti hanno lavorato per la riuscita della rappresentazione e nell’orgoglio di constatare, da parte mia, come ex docente, che la Scuola, il sistema scolastico della fascia dell’obbligo e degli Istituti superiori, di questi nostri Paesi, che scontano tante debolezze in ogni settore socio-economico – culturale, continua ad essere un presidio sicuro e qualificato di conoscenze. di formazione e di crescita nelle consapevolezze civiche.
Grazie e W la Scuola
(Per Chi volesse vedere lo spettacolo ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=velvw_wx5xw )
P.S. Qui non bastano le congratulazioni. Aggiungo la segnalazione che inoltrerò a Sua Eccellenza il Prefetto di Catanzaro, nelle vesti di semplice cittadino, perché l’Istituto “G. Rodari di Soveria Mannelli” fisicamente nelle Persone che lo rappresenteranno, venga considerato meritevole di una onorificenza per meriti culturali, nella prossima tornata in cui si faranno le scelte dei riconoscimenti a Persone, a Enti, ad Aziende e ad Associazioni.
L’opera, nei tempi in cui è stata realizzata, per come è stata pensata, tecnicamente strutturata e finalizzata, richiede una attenzione istituzionale. Al di la delle premiazioni che potrà ottenere con la partecipazione a Concorsi.
D’altra parte ho da sempre notato che le Cariche dello Stato, a cominciare dalla Presidenza della Repubblica, quando si tratta di nominare Cavalieri del Lavoro, di attribuire Medaglie Onorifiche e distintive, trascurano di considerare i buoni meriti diffusi e i nobili esempi di impegno presenti nella Scuola. Se la considerazione è condivisa, si potrebbe inviare una sorta di segnalazione unica sottoscritta.
di Angelo Falbo