La zona della Calabria centrale,interclusa tra i centri urbani di Nocera Terinese e Lamezia Terme, i cui limiti, da qualche tempo a questa parte, costituiscono i confini di quella che viene chiamata la Riviera dei Tramonti per un sentimento di reviviscenza di una similare definizione omerica, è da tempo coinvolta in una intensa diatriba che riguarda la collocazione degli scomparsi insediamenti urbani della Magna Grecia, rispondenti ai toponimi di Terina e Temesa.
Ci occuperemo principalmente di Terina, la cui collocazione geografica appare ancora controversa, mentre per Temesa, secondo la nostra opinione, è stata finalmente risolta. Infatti, con specifico riferimento a questo ultimo insediamento, gli scontri di opinioni si sono attenuati e tendono ad essere del tutto assorbiti da una condivisione di risultato di natura scientifico-archeologica e ciò da quando il compianto Prof. G. F. La Torre, Prorettore dell’Università di Messina, ha effettuato gli ormai notissimi scavi in territorio di Amantea, frazione Campora San Giovanni, contrada Imbelli, portando alla luce un tempio arcaico riferibile al territorio della Temesa omerica, oltre ad altro materiale interessante. Temesa non poteva essere allocata tanto lontana dal tempio rinvenuto e dagli altri reperti (I risultati e gli studi riguardante l’intera campagna di scavi sono tutti riportati in Gioacchino Francesco La Torre, Un tempio arcaico nel territorio dell’antica Temesa, Bretschneider Editore, 2002).
E’ motivo di moderato orgoglio da parte mia, il considerare che, nel lontano 1994, quando vide la luce, per i tipi delle Edizioni Brenner di Cosenza, il mio Temya-Temhsh, memorie storiche sull’antica città di Temesa, con particolare riguardo all’individuazione del suo sito, nel quale, seguendo le indicazioni degli storici (in modo particolare Strabone, che definì Temesa come sunekhs di Terina, ossia coabitante–coinquilina, talmente le due città erano vicine) dissi che il sito di Temesa era da ricercarsi in una ben precisakwra(così i Greci chiamavano il contado che circondava le loro città) e, cioè entro i seguenti limiti toponomastici: Forchie, Burrone Secco–Valle degli Angeli, Terre di Pulicicchio, a molto meno di un tiro di schioppo dalla sinecistica città di Terina, posta sul piano che da essa deriva ab immemorabili la denominazione di Piano di Terina.
Al contrario di Temesa, per la quale le discussioni hanno subito un arresto, riguardo alla collocazione di Terina, le logomachie tra storici, archeologi, numismatici e quanti altri, nei quali ultimi (mi riferisco a quanti altri) mi ricomprendo anch’io, continuano tuttora, anche se sembrano essere calamitate esclusivamente da due soli toponimi, il Piano di Terina nel territorio di Nocera Terinese e la Piana di Lamezia Terme in territorio di Nicastro. Tale biforcazione, riguardo alla pretesa successoria da parte delle due località, la si deve particolarmente a Francois Lenormant, storico e numismatico della Francia. Infatti, antecedentemente al suo viaggio in Calabria si era instaurata una certa pacificità nel considerare Terina ubicata sul Piano di Terina. Allineati entro questa ultima opinione, ricordiamo, in modo particolare, il Quattromani, il Cluverio, l’Olstenio, il Cellario, l’Aceti, il Grimaldi, il Morisani, il Romanelli, il Bisogni, i quali, concordemente, la ponevano nel territorio dell’attuale Nocera Terinese, mentre il Barrio, il Marafioti, il Fiore, il Grimaldi, il Pagano, l’Amato la collocavano direttamente sul Piano di Terina, che, come sappiano, si trova, e da sempre si è trovato, ubicato entro la giurisdizione amministrativa di Nocera Terinese.
Quasi tutti gli storici sopra nominati hanno affermato nei loro scritti che ai tempi in cui sono vissuti, era possibile vedere sul Piano di Terina i resti delle mura della città, una torre di avvistamento, un cenotafio con un epitaffio che è stato riportato integralmente nella sua originaria lingua greca (il quale, dopo tanti secoli, è stato da me decifrato e tradotto nella parte in cui il pensiero trascritto sulla parete sepolcrale risultava espresso in acronimi, sempre tramite lettere dell’alfabeto greco), i resti di importanti acquedotti che da località Portavecchia adducevano l’acqua al Piano di Terina, nonché una serie di ritrovamenti archeologici, per così dire, non ufficiali, essendo venuti alla luce per lo più spontaneamente a seguito di aratura del terreno per finalità agricole, atteso che sul Piano non sono stati mai eseguiti scavi organizzati da quei settori dello Stato che sono preposti a tali incombenti.
In verità, non sono riuscito mai a comprendere perché non si debba dare credito agli storici che precedono quando affermano di avere osservato personalmente e de visu i resti che essi indicano dettagliatamente. A questo punto, ritengo che si debba porre una alternativa categorica, entro la quale dovere esprimere una opinione basata sulla logica e non già sugli interessi di parte: o si afferma che gli storici nominati quando dicono di avere osservato ciò che dicono di avere osservato, sono dei bugiardi, allegando la correlata dimostrazione della opinione espressa, oppure si deve credere a ciò che riferiscono che, fra l’altro, non risulta essere in contrasto con verità storiche o archeologiche accertate aliunde.
Questo indirizzo pacificamente unitario si trovò, come abbiamo sopra accennato, ad essere improvvisamente sovvertito, quasi sottoposto ad una scossa sismica, in seguito e a causa di due viaggi, avvenuti in modo alquanto frettoloso e assolutamente superficiale, esauritisi in appena alcune ore, effettuati in Calabria da parte del Lenormant negli anni 1879 e 1882.
In tali occasioni, senza avere fatto una esplorazione minuziosamente scientifica (anzi lo studioso francese, in più di un luogo letterario delle opere che ci ha lasciato, ha espresso lamentele per la totale mancanza di reperti archeologici), egli sentenziò che Terina non poteva trovarsi nel territorio di Nocera Terinese, bensì in quello di Lamezia Terme. Di tale sentenza il Lenormant non offrì alcuna valida motivazione che ne potesse giustificare la proposizione. Si è trattato di un vero e proprio ipse dixit senza possibilità di discussione.

Per un sortilegio, di cui, in verità, non si riesce a comprendere il sostrato, tutti gli storici precedenti e contemporanei del Lenormant (anche quelli che avevano scritto di avere appreso la situazione de visu) vennero messi da parte, bollati di insipienza e ignoranza, nonché, com’è ovvio, sospettati anche di essersi inventato quanto avevano scritto sul Piano di Terina e come conseguenza di tutto ciò, la precedenza assoluta fu data al numismatico francese.
Questa ingiustificata predilezione mi ha naturalmente spinto ad approfondire la questione prendendo l’abbrivo proprio dallo scrittore francese, più precisamente da quanto ebbe a scrivere in proposito, e ciò in quanto preferisco dare un giudizio su argomentazioni provenienti ex ore suo, anziché tramite notizie riportate da terze persone che si siano rese interpreti dell’altrui pensiero.
Il riferimento non può che essere fatto ai due testi scritti che Lenormant ha lasciato ai posteri sulla questione, ossia La Magna Grecia-Greci e Normanni nel medio Tirreno calabrese, traduzione di Antonio Coltellaro, Grafichéditore 2021 e La Magna Grecia, Paesaggi e Storie, 3 voll., Rub3ettino Editore, 2021-2022.
Dell’ intera opera scritta dal Lenormant, il nostro riferimento sarà limitato, come è ovvio che sia, soltanto ai capitoli che si riferiscono a Terina e, in modo tangenziale, anche Temesa, atteso che le due città magno-greche sono state dall’autore accomunate nella trattazione. Debbo precisare, ora per allora, che quanto l’autore francese ha scritto su Terina e Temesa nel volume singolo costituisce la copia interfacciale e gemellare, coincidente perfettamente con quanto riportato nei tre volumi sopra indicati e precisamente nel terzo, per cui è sufficiente fare riferimento ad uno dei due titoli per ricomprendere automaticamente anche l’altro.
L’incipit della descrizione (pag. 59) è alquanto particolare, atteso che Lenormant afferma quanto segue:
“Ciò che m’attirava a Nicastro non era la località di per se stessa, dove sapevo già che non avrei trovato quasi niente per i miei studi, ma il desiderio di esaminare il terreno in vista di una delle questioni restate sinora tra le più oscure della topografia della città greche dell’Italia meridionale; questione ch’è collegata con i dintorni immediati di Nicastro”.
Subito dopo il luogo letterario sopra riportato, l’autore spiega che il riferimento è alla città di Terina, della quale, cogliendo l’occasione, si pregia di illustrare le monete ritenute le più perfette dell’arte del conio degli Elleni: la specialità della sua ricerca scientifica riguardando, infatti, la numismatica, non ci consente di aggiungere altro sulla bellezza delle monete terinee.
Proseguendo nel suo scritto, Lenormant lascia intendere di non nutrire alcun dubbio che la scomparsa città magno-greca fosse da ritenersi ubicata nelle immediate vicinanze di Nicastro. E questa è la prima lacuna che viene riscontrata tra tutte le sue asserzioni, in quanto dichiarando di non avere dubbi circa il luogo ubicativo della città, omette dal denunciare su quali e quanti elementi di natura scientifica poggia tale sua certezza, al punto che, oggi, non possiamo stabilire se la sua sia una fondatezza di natura storica oppure archeologica, ossia oggettivamente valida per tutti quanti o, invece, cosa molto più probabile, del tutto onirica e, quindi, valida soltanto per lui stesso.
Proprio in questo luogo vicino Nicastro, dice l’autore, i Crotoniati fondarono una città, aggiungendo di suo che, prima della deduzione di tale sub-colonia,”sui posti doveva esserci stato (?) per lo meno un santuario degli abitanti indigeni, in quanto ciò sembra risultare quasi certamente dal fatto che a Terina si mostrava la tomba della sirena Ligea”.
Perché, ci domandiamo, non è andato a leggere gli autori che hanno scritto di avere visto il sepolcro della sirena ? Da costoro avrebbe appreso certamente anche in quale lembo di terra tale sepolcro era situato!
Come ognuno comprende, il passo non è commentabile: si tratta di ipotesi, solo di ipotesi, seguite da altre ipotesi, smentite, fra l’altro, in modo incontrovertibile, ne citiamo uno per tutti, da Girolamo Marafioti (Croniche et Antichità di Calabria), il quale scrive che sino al suo tempo vedevasi in un vecchio muro di poco alzato da terra all’uscita del fiume Lavato (Ocinaro-Savuto, N.d.A), sotto la città, nei tempi antichi Terina, in questi presenti Nocera della Pietra della Nave di Arata (oggi Nocera Terinese, N.d.A), la seguente scrittaLIGEIA QANEI Z. D. R.
A motivo della esposizione di tali argomentazioni, a noi è venuto il sospetto (e diciamo ciò con tutta la serenità possibile e immaginabile)che, mentre Lenormant scriveva ciò che abbiamo riportato, l’autore dovesse, tramite i suoi pseudo risultati raggiunti, compiacere qualcuno.
Subito a seguire, Lenormant annota alcuni brevi cenni storici riguardanti gli stanziamenti demotici in Calabria, sia di natura pacifica, sia quelli avvenuti manu militari, riferendosi in modo particolarmente specifico ai primi abitatori della Calabria, ossia al popolo dei Bruzi.
A causa delle ingarbugliate vicende storiche a partire dall’anno 353, si ebbe una vistosa decadenza della città di Terina, della quale si finì di parlare sino alla seconda guerra punica.
Conclusa questa sua breve parentesi di natura storica, Lenormant torna all’epicentro della sua trattazione (Cap. II, pagg. 65 e segg), affermando che:
“E’ certo che Terina si trovava molto vicina al mare, poiché essa dava il nome al golfo e, inoltre, tra i due fiumi che portano attualmente i nomi di Savuto e Lamato. Su questo non c’è nessun dubbio; tutti i geografi sono d’accordo. Ma in un luogo così determinato qual era il suo sito preciso? Qui inizia il mistero e gli eruditi che si sono occupati della questione sono in completo disaccordo; ognuno indica una posizione diversa. La maggior parte, è vero non ha mai visitato il luogo e non ha avuto a disposizione che carte molto imperfette. Io speravo di giungere a qualcosa di più preciso andando a studiare il problema sul posto”.
Le affermazioni dello studioso francese lasciano, a dir poco, perplessi.
Che Terina fosse città marittima non è stato messo in dubbio da alcuno degli studiosi che si sono interessati ad essa, anzi è stata inclusa da sempre, a partire dai tempi più antichi, tra le poleisparaqalattioi (le città marittime) della Magna Grecia calabrese.
Che abbia dato il nome al golfo nel quale era inserita (megale colpos terinaiwn= il grande golfo terineo), risulta altrettanto pacifico.
Che la sub-colonia crotoniate fosse allocata tra due fiumi così vicini tra loro da costituire una caratteristica particolare e peculiare inconfondibile e non ripetibile, è altrettanto pacifico.
Quello che, al contrario, non risulta pacifico, rectius, che risulta contrastato da tutte le fonti che trattano il problema, è che i due fiumi che lambivano Terina così da presso fossero, il Savuto e Lamato, dei quali il primo (anticamente detto Ocinaro da Licofrone a causa della violenza di scorrimento delle sue acque) lambisce effettivamente il lato nord-ovest del Piano, mentre il secondo, Lamato, allocato all’incirca ad una ventina di chilometri dal primo, scorre nella Piana lametina, circostanza, questa, che porta ad escludere, in modo categorico e definitivo senza possibilità di repliche conducenti, che esso possa costituire uno dei due elementi della caratteristica che distingueva la città di Terina da tutti gli altri insediamenti umani della Calabria.
Con l’affermazione che precede, Lenormant dimostra, ove ve ne fosse ancora bisogno,di essersi fermato solo alle apparenze e, conseguentemente, di sconoscere totalmente la realtà dei luoghi, come, altresì, dimostra di sconoscere anche le fonti storiche,attinenti e pertinenti, che non vengono da lui richiamate neppure una sola volta (unica eccezione, in verità,la quale, quindi, conferma la regola, è costituita da un breve e fugace riferimento a Gabriele Barrio).
Se Lenormant avesse ragione nella individuazione dei due fiumi, così come è stata da lui prospettata, è consequenziale che i due corsi d’acqua non costituirebbero una caratteristica peculiare della città di Terina, sia perché essi si trovano allocati in un intervallo geografico notevole e rilevante (venti chilometri circa), sia perché in tale intervallo tra il Savuto e il Lamato si possono contare innumerevoli altri fiumi e torrenti, che, in riferimento alla teoria del Lenormant, verrebbero ad interrompere le contiguità e concomitanza tra il Savuto e il Lamato.
Inoltre, come abbiamo altre volte affermato, se fosse vero quello che scrive Lenormant e, cioè, che i due fiumi che bagnavano Terina erano da ritenersi il Savuto e il Lamato, ciò non potrebbe ritenersi una caratteristica peculiare della scomparsa città magno-greca, in quanto, in tutta la costa tirrenica della Calabria non esiste alcun insediamento urbano, piccolo o grande che, a causa della particolare orografia della regione, non sia posto infra duo flumina.
Ergo, il Lamato non può essere l’altro corso d’acqua del binomio terineo.
Che la vicinanza dei due fiumi che lambivano Terina (e che tuttora ne lambiscono il locus del suo insediamento, cioè, il Savuto e il Grande, posti a poche centinaia di metri uno dall’altro), fosse una caratteristica inconfondibile e irripetibile dei luoghi, lo dimostrano, ancora, ben due atti amministrativi, successivi di alcuni secoli all’epoca in cui Terina era una fiorente città della Magna Grecia.
Ci riferiamo, in primo luogo, all’Editto emanato da Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (il quale, lo ricordiamo a noi stessi,fu l’artefice della fondazione dell’Abbazia benedettina di Sant’Eufemia), che conteneva nel suo testo la disposizione tramite la quale venivano infeudate alla costituita neo Abbazia alcune terre, a partire da quelle limitrofe del vicino Neocastro fino a ricomprendere quelle relative a “…territoria Veteris Civitatis infra duo flumina…”.
Se i territori della vecchia città posta tra due fiumi, secondo l’espressione dell’Editto, fossero quelli limitrofi o, addirittura, quelli su cui sorgeva l’Abbazia, come qualcuno ha anche sostenuto, situati, cioè, nella stessa Piana su cui sorgeva l’edificio religioso, non vi sarebbe stata alcuna necessità che gli stessi fossero ricompresi nell’Editto, in quanto, anche ai tempi ai quali ci stiamo riferendo, i cosiddetti beni pertinenziali, in base al diritto positivo vigente all’epoca, non necessitavano di alcun titolo specifico rispetto al titolo principale del diritto di proprietà, essendo tale diritto ricompreso, ipso jure e, ancora, jure et de jure, automaticamente, nel titolo stesso.
Dal testo letterario dell’Editto richiamato si ricava, in modo pacifico che, al fine di individuare i beni immobili infeudati all’Abbazia, non era affatto necessario riportare la denominazione topografica dell’Ente Territoriale nell’ambito del quale i beni erano posti, essendo sufficiente indicarne la caratteristica costituita dalla sua posizione infra duo flumina, al punto che non si correva il rischio che l’atto amministrativo potesse riferirsi ad un cosiddetto locum incertum, in quanto la città infra duo flumina era, per una antonomasia escludente qualsiasi altra ipotesi, solo ed esclusivamente,la città di Terina posta sull’omonimo Piano e, dunque, venivano infeudate le terre del comune di Nocera Terinese, nella giurisdizione amministrativa della quale, all’epoca di Roberto il Guiscardo, erano ricomprese le terre dell’antica Terina, compreso il Piano. E’ dato storico, poi, non contrastabile in alcun modo, che Nocera Terinese, sub specie ecclesiae,dipendesse all’epoca proprio dall’Abbazia lametina.
L’altra fonte scritta è costituita dal testo del Privilegium, tramite il quale Federico II ebbe a precisare quali fossero i beni infeudati dall’Editto di Roberto il Guiscardo, ampliandone coevamente, i benefici e concedendo altri beni, quali: ”…Terram nostram Noceriae, medietatem casalis Apriliani cum omnibus militibus, burgensibus et aliis omnibus franchis, villanis in eis morantibus, cum omnibus pertinentiis appendicis, juribus suis, praedicta permutatio cum consensu et voluntate praedicti conventus…Abbas humiliter supplicavit quod cum dictus Mattheus tempore permutationis ipsius, Portum Maris, qui dicitur Navis de Arata de tenimento dictae terrae Noceriae cum predicta Terra, medietate ipsius casalis, praedicta quidem permutatio promissa, tamen quia sua interesse non dicebat dictum Portum, eundem Abbatem cum nostra speciali licentia, mandato, ut dictam Terram Noceriae, cum predicto Portu Maris, medietate predicti Casalis Apriliani, prout provisum est, permissum per eundem Mattheum tempore permutationis ipsius eidem Abbati, monasterio predicto, successoribus suis in perpetuum concedere firmare dignaremur. Nos autem quod predictum Monasterium semper prosequi intendimus gratia, favore, volentes conditionem ipsius semper augere, facere meliorem de Imperialis benignitatis Gratiis predictam Terram Noceriae cum predicto Portu Maris, qui dicitur Navis de Arata, medietatem predicti Casalis Apriliani, cum hominibus, Militibus, Burgensibus, franchis, villanis cum omni jure, oneribus suis, aquis dulcibus, salatis, nemoribus, pascuis. Ad huius autem concessionis, permutationis nostram memoriam, robur in perpetuum valiturum praesens Privilegium per manus Jacobi de Bonita fidelis Notarii nostri scribi sigillo cere pendente Majestatis nostrae jussimus communire. Actum Fogiae Anno Domini, incarnationis millesimo ducentesimo quadragesimo mense februari quartae inditionis Imperiis Domini Federici”
Il Privilegium federiciano, sopra riportato in parte qua, rappresenta, a ben guardare,
la prova del nove delle esattezze storico-topografiche contenute nel precedente Editto di Roberto il Guiscardo, al quale si fa specifico riferimento, apportandovi, anzi, una efficace chiosatura testuale.
Tutti gli elementi sopra addotti dimostrano, al di là di ogni possibile dubbio, come Lenormant abbia preso un abbaglio e un abbaglio molto grosso, navigando del tutto fuori rotta.
E’ storicamente provato aliunde come le terre che vennero infeudate all’Abbazia di Sant’Eufemia arrivassero sino a Nocera Terinese e, precisamente al suo porto.
Riportiamo sull’argomento quanto ebbi a scrivere nel mio TERHNEWN, Memorie storiche sull’antica città di Terina, Pungitopo Editrice 1984:
“Il testo riportato (Editto) è tratto da Fiore (op. cit.), il quale afferma di possedere la copia legalizzata del Privilegium.Tale documento non fa che confermare l’ipotesi da noi formulata, secondo cui l’atto di fondazione dell’Abazia da parte di Roberto il Guiscardo, infeudando i territoria Veteris Civitatis infra duo flumina, si riferiva ai territori di Terina ubicata al Piano che da essa fu detto (e viene detto) di Terina. Federico II,poi, a distanza di circa due secoli, infeudò alla stessa Abbazia i territori di Nocera Terinese compreso quel Porto di mare detto Nave di Arata. E’ evidente che il porto cui allude il documento è il porto di Terina,non avendo Nocera Terinese mai avuto un suo porto. E’ interessante ancora notare come questo porto si chiamasse Nave e ciò conferma, ancora una volta, l’ipotesi da noi formulata che la Pietra della Nave, non è altro che l’antico porto di Terina detto così a motivo della traduzione del nome greco della città, Terhnewn= Asilo delle Navi. Si noti come le denominazioni dei luoghi siano rimaste intatte e invariate anche a distanza di svariati secoli.
Per completezza aggiungiamo che la sottomissione dei territori di Nocera Terinese all’Abbazia Benedettina di Sant’Eufemia si protrasse sino al 1580 circa, dopo che Nocera passò, riferisce il Fiore (cit.) alla Sacra Religione di Malta. La notizia tràdita dal Fiore è esatta: infatti, Nocera che era stata, con il riportato privilegio, infeudata all’Abbazia di Sant’Eufemia, in cambio del Castello di Nicastro che si apparteneva all’Abbazia stessa, passò, intorno al 1580, con Sant’Eufemia ed altre terre del cosentino, sotto il Baliaggio di Capua del Sovrano Militare Ordine di Malta (S.M.O.M.). Nel 1638, l’Abbazia, come abbiamo ricordato, fu distrutta dal terremoto (a causa del quale Nocera Terinese ebbe 44 morti”.
Proseguendo nella descrizione del suo viaggio, Lenormant manifesta tutta la sua delusione in quanto i posti da lui visitati non offrivano, secondo le sue stesse affermazioni,“rovine visibili sopra il suolo“,dall’esame e studio delle quali potere trarre certezze scientifiche. Pur tuttavia, egli ritiene di essere in grado di potere affermare “che una località antica è esistita là dove Roberto il Guiscardo costruì l’abbazia di Sant’Eufemia e che tra quelle che si conoscono (?)è il punto che possiede meglio le condizioni necessarie per essere identificata con Terina; ma non si potrebbe andare più in là di questa probabilità”.
Non sfuggirà all’ermeneuta che Lenormant ha confessato che quelle sue non erano altro che semplici probabilità e allo stesso tempo ha fatto in modo di non rivelare quali siano stati i dati esaminati tra quelli positivi e quelli negativi attraverso l’esame dei quali è pervenuto alla conclusione enunciata: Terina era posta in Territorio di Nicastro.
Dopo avere, in limine litis, effettuato una violenta frenata sulle probabilità relative al pensiero da lui espresso, Lenormant prosegue affermando che ”nei luoghi visitati esistono due località che offrono sufficienti rovine per essere riconosciute con certezza come resti di città antiche. Dapprima è Nocera, ancora oggi piccola città di tremila anime di popolazione, situata a una grande altezza su un promontorio tra due torrenti,a poco più di due chilometri in linea d’aria dalla riva sinistra del Savuto…Vi si vedono dei resti di bastioni costruiti secondo la moda ellenica, in grandi blocchi di pietra a forma di parallelogrammi regolari sovrapposti senza cemento, pezzi di muratura romana e altri resti di antichità”.
Si badi bene come lo scrittore francese si stia riferendo proprio al nucleo urbano di Nocera Terinese e non, come ci saremmo aspettati, al Piano di Terina, nella marina nocerese. Questa osservazione è fondamentale per quello che diremo dopo, da qui a poco.
L’altro luogo, dopo Nocera, è quello chiamato Le Mattonate, ”più vicino al mare di tre chilometri e mezzo e situato vicinissimo alla Torre del Casale sul piccolo altipiano che incorona lo scoglio che sovrasta la spiaggia di Pietra-La Nave…in questi luoghi, nell’esecuzione dei lavori agricoli frequentemente si raccolgono medaglie greche, soprattutto di Terina e Temesa”.
E’ da sottolineare come quest’ultimo luogo letterario, sempre escerpto dal monovolume di Lenormant, è l’unico nel quale l’autore francese dimostra di essersi accorto del Piano di Terina, non sussistendo alcun dubbio che, quando egli si riferisce alla Torre del Casale sul piccolo altipiano che incorona lo scoglio che sovrasta la spiaggia di Pietra della Nave, altro sito non possa essere se non proprio il Piano di Terina. Per il resto il Piano diventa invisibile agli occhi dello scrittore francese, dal quale non viene più nominato. Il suo interesse principale, con ogni evidenza, è tutto rivolto verso la Piana.
Ciò che lo studioso francese scrive in prosieguo, diventa un vero e proprio rompicapo, in quanto non si riesce a comprendere se ciò che dice sia affermazione seria e sentita, oppure se affermato tanto per scrivere qualcosa.
Infatti, dopo avere premesso che lo scrittore calabrese, Gabriele Barrio, seguito dal francese Cluvier,si era schierato a favore della tesi in base alla quale la città greca si trovava a Nocera, il Lenormant, usando immediatamente la spada di Damocle, decapita la tesi del Barrio, affermando, letteralmente, che ”è assolutamente impossibile ammettere che Terina sia stata a Nocera. Sin dai tempi dei due scrittori, era facile per tutti confutare la loro opinione con questa sola osservazione che Nocera è troppo lontana dal mare, a più di sei chilometri dalla riva attuale, a cinque dalla riva antica e che, in più, essendo situata nel bacino del Savuto, essa si trova a nord di Capo Suvero, cioè fuori dal bacino del golfo al quale Terina dava il nome”.
Non v’è dubbio alcuno che il Lenormant, quando afferma che Nocera non può essere il luogo dove sorgeva l’antica città greca di Terina, abbia inteso riferirsi proprio a NoceraTerinese-Centro e non già a Nocera Terinese-Piano di Terina, ricompreso da sempre entro la giurisdizione territoriale amministrativa di Nocera. Ciò si ricava agevolmente, sic et simpliciter, sia dalla espressione letterale delle frasi da lui usate, sia, soprattutto, dalla susseguente descrizione del luogo che corrisponde perfettamente a quello su cui è posto l’insediamento urbano nocerino. A ciò si aggiunga le distanze chilometriche riportate dal Lenormant,le quali sono quelle riferibili, con ogni evidenza di lettura, non già al Piano di Terina, ma a Nocera Terinese-Centro.
Il ragionamento che segue a questa sua affermazione negatoria conferisce alla sua visione dei luoghi una interpretazione che non si può non definire se non aberrante ed extravagante: nessuno, dico nessuno, nemmeno Barrio e Cluvier, hanno mai sostenuto che il sito di Terina coincidesse con quello dove, poi, sorse Nocera Terinese.
A conferma di tale nostro pensiero e a confutazione delle affermazioni di Lenormant, riportiamo, qui di seguito, quanto ebbe a scrivere Gabriele Barrio sul tema (in Antichità e Luoghi della Calabria, Ed. Brenner 1979, dell’antica edizione del 1737, quindi, già esistente ai tempi del Lenormant):
“Presso il mare sono visibili (oggi non esistono più-N.d.A.) le vestigia della città di Terina. Il luogo di Terina è alto, d’ogni parte circondato da rupi; ivi continuamente spirano benigni venticelli; la pianura (allude al pianoro che incorona il Piano di Terina-N.d.A.)è capace di una città abbastanza grande; vige un clima amenissimo e saluberrimo, dista da Amantea dodicimila passi…Fu distrutta dagli Agareni al tempo del beato Nilo (910-1004)…Il fiume una volta detto Ocynarus scorre nei pressi di questo colle Sabazio, le cui radici il mare bagnava, ma di recente si è ritirato un poco e à lasciato in secco lo scoglio di Terina, ricordato da Plinio che i naviganti chiamano Nave”
Non siamo in grado di indicare da quale fonte l’autore francese abbia ricavato le notizie da lui riportate; possiamo solo affermare come, certamente, sia da escludere in modo categorico che egli le abbia prese da Gabriele Barrio che, invece, ha scritto cose che vanno allocate esattamente agli antipodi.
Subito dopo avere scritto le sue riflessioni, che, in verità, non possono che censurarsi, non essendo concepibile che si possa scrivere ciò che si vuole, avulso da ogni sostegno e puntello storici, archeologici o, anche, semplicemente logici e farli passare per veri, al punto che sono parecchi quelli che vi hanno prestato cieca e piena fiducia, a partire da tutti quegli Enti a cui spetta la tutela del patrimonio antico di una Nazione.
Ma, non crediate che la stranezza di questo autore sia finita qui; egli va ben oltre. Procedendo nelle annotazioni su Terina, Lenormant fa alcune considerazioni sulle distanze di alcuni noti toponimi urbani della zona in rassegna, riferendosi, in particolare, a Cerillae (Cirella), Clampetia (Amantea), Consentia (Cosenza), e finisce, ancora una volta, con il cadere in un ulteriore strafalcione da censura didattica con matita blu, connotato dalla circostanza che egli confonde le distanze miliari pertinenti alla via Annia-Popilia meridionale (la quale, provenendo da Cosenza e raggiungendo la statio Ad Sabatum flumen nei pressi di Martirano Vecchio, passava, seguendo la riva sinistra del Savuto, dinanzi la porta di Terina[oggi ancora nomata Portavecchia] e da qui proseguiva verso la Piana, per raggiungere ivi le note località di Ad Turres e Aquae Angae) con quelle della via Traiana.
Nelle vicinanze, infatti, della località di Portavecchia di Terina e, prima di giungere alla porta della città, dalla via Annia-Popilia si dipartiva una viabilità, diverticolare e secondaria che, dopo avere scavalcato il fiume Savuto (in località che ancora oggi viene denominata Passu du Piru, ossia il Passo di Pirro con riferimento evidente allo storico condottiero dell’Epiro) puntava verso Clampetia e gli altri successivi insediamenti umani sino a raggiungere Cosenza: tale viabilità secondaria veniva chiamata, come già sopra abbiamo detto, via Traiana. Lenormant ha sul punto specifico una visione unilaterale e distorta della viabilità confondendo quella interna, (via Annia-Popilia meridionale, proveniente ab Capua e diretta ad Fretum, che percorreva, in prevalenza, siti montani) con quella allocata più vicina alla costa,ossia la via Traiana,la quale si snodava in un percorso interurbano di natura, diciamo locale, molto più breve, limitandosi a fornire la viabilità agli insediamenti urbani della costa, a partire da Temesa e Clampetia e sino a raggiungere Cosenza. Per questo motivo il calcolo delle distanze effettuato dallo scrittore francese è assolutamente errato e fuorviante.
Anche le proposizioni su Temesa, effettuate dal Lenormant, non posseggono alcun pregio. Inverosimile è l’affermazione secondo la quale egli ritiene di avere intravisto durante il suo viaggio in Calabria, i resti delle miniere di Temesa, resti che sarebbero stati costituiti dalle fabbriche in mattoni semidiroccate, esistenti nella località denominata Le Mattonate.
E’ stato dimostrato (Massimo Guarascio, Un contributo di dati e metodi della ricerca geomineraria in archeologia: il caso di Temesa, in Atti del colloquio di Perugia e Trevi, 30/31 maggio 1981, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, Taranto, 1982, p. 125 e ss.), tramite un’accurata ricerca mineralogica condotta in tutta la regione Calabria, comprendente, per quanto ci interessa, anche la zona sopra richiamata che, nel luogo che è posto tra Clampetia (Amantea) e l’antica Temesa (territorio di Campora San Giovanni) e neppure nelle zone limitrofe, non esistevano miniere da cui trarre la materia prima per gli artigiani di Temesa. Ciò è tanto vero che a Temesa viene normalmente praticato il baratto(sistema di scambio commerciale oramai in disuso nell’ambito della avanzatissima Magna Grecia) di ferro con il bronzo, così come fa anche il falso Mente quando si reca a Temesa. Né Omero nell’Odissea ha mai fatto cenno a ipotetiche miniere site nei pressi dell’insediamento, mentre, come abbiamo già dimostrato in altro nostro lavoro (Temya-Temhsh, cit.), Strabone (Geograph.), quando si riferisce a Temesa e alla bravura dei suoi artigiani, adotta nella sua lingua madre una inequivocabile terminologia,calkourgeia, termine composito del greco antico,in quanto rappresenta il risultato della composizione di due termini: il sostantivocalkos(bronzo) e la radice del verboergwmai, ossiaerg (lavorare), che, quindi,va correttamente tradotto non già come miniere di rame, ma come officine per la lavorazione del rame. A parte ogni altra considerazione, è notorio come la radice ERG abbia ottenuto il diritto di piena cittadinanza anche nella nostra lingua madre (es.: ergonomia, ergatoplasma, ergastolo, ecc. ecc.).
Concludendo sul punto, diciamo che, quando Lenormant decise di avere visto le miniere di rame a Le Mattonate, egli racconta un vero e proprio miraggio, in quanto anche la stessa onomastica conservata nei secoli dal luogo (Mattonate) è indice non già di una miniera, ma di una costruzione in mattoni, ovverosia di una officina dove i minerali venivano lavorati, sapientemente, aggiungiamo noi, al punto che Mente si diparte dalla sua terra per ottenere il prodotto della lavorazione temesina, così ricercato in tutto il bacino del Mediterraneo.
Per completezza espositiva, ho il dovere di scrivere che la tesi derivante dalla corretta traduzione del termine greco, che io ho esposto per primo in seno al più volte richiamato mio libro su Temesa, non solo è stata riportata, quanto è stata ampiamente condivisa, dal Prof. Bruno Currie dell’Università di Oxford, nel suo scritto Sicily and Italy in the Odyssey, in Hesperia-37, Studi sulla grecità di Occidente, 2020.
Assolutamente prive di alcun pregio e, quindi, da scartare sono,poi, le considerazioni del Lenormant, laddove (Cap. III, pagg. 75 e ss. di entrambe le sue opere) egli si prefigge di dimostrare che l’antica Terina fosse allocata nella Piana lametina in una località insignificante e poco difendibile per la sua posizione topografica, che sarebbe stata scelta dall’eciste crotoniate, il quale, essendo passato dinanzi il Piano di Terina, avrebbe fatto in modo di non notarlo, ignorandolo e preferendogli una posizione assolutamente anonima quale era, e sarebbe anche oggi, il luogo sul quale sorge il monastero basiliano fondato da Roberto il Guiscardo per consegnarlo all’abbate Grandmesnil, suo parente.
Ma c’è di più, in quanto, ai tempi di riferimento, il luogo indicato dallo scrittore francese non esisteva, nel senso che si trovava sommerso dall’acqua del mare Tirreno, essendo pacifico che l’attuale Piana di Lamezia Terme, di natura prevalentemente alluvionale, è il risultato dello arretramento del mare dalla zona immediatamente pedemontana, dove si trovava nell’VIII secolo a. C.- Per non considerare, ancora che, come abbiamo dimostrato attraverso la corretta traduzione di altri versi dell’Odissea (Cfr., Ulisse naufrago nella terra dei Feaci su Il Reventino) che si riferiscono a tale luogo, il punto della Piana lametina, che ospita il monastero, era sommerso dall’acqua del Tirreno. La costa di Lamezia antica era, di conseguenza, molto distante da quella attuale e, precisamente, verso l’interno della terra calabra in zona pedemontana, da dove aveva inizio la Terra di Scheria(anche qui, come abbiamo dimostrato in altri lavori, il traduttore dell’Odissea incorre in un grave inciampo linguistico, laddove ritiene di potere tradurre il termine omerico gaihs con isola,e ciò al fine di puntellare un erroneo e aprioristico convincimento soggettivo,secondo il quale la Terra dei Feaci era un’isola [e il pensiero andava subito all’isola di Corcira, l’odierna Corfù], mentre la traduzione corretta è terra), che era abitata dal popolo dei Feaci, per cui la Piana può,questa volta legittimamente, vantare un’altra diversa e importante storia, addirittura più antica, che non coincide, però, perché non può coincidere, con quella di Terina.Prima della Piana, così come al momento essa si presenta, la configurazione geografica del luogo era completamente diversa da come attualmente la si vede. Al suo posto era la terra di Scheria, la terra dei Feaci, di re Alcinoo, della regina Arete e della principessa Nausicaa.
A questo punto, ritengo doveroso fare riferimento all’opera di uno scrittore calabrese, nato e vissuto a Nocera Terinese. Il motivo di tale riferimento, al di là dall’essere doverosamente inclusivo, appare del tutto pertinente e chi avrà la pazienza di continuare nella lettura ne capirà la motivazione.
Si tratta di Ignazio Ventura, autore della monografia sul nostro paese di origine, dal titolo Nocera Terinese, storia d’una terra di Calabria, Napoli Stabilimento tipografico G. Genovese, 1955, ristampato a cura della Banca Popolare di Nicastro dall’Editrice F.lli Gigliotti, nel maggio 1990. Nel cui incipit può leggersi la presentazione di quell’altro illustre nocerese che risponde al nome di Ernesto Pontieri.
Questo storico, come si può agevolmente ricavare dal suo patronimico, Ventura, era imparentato con quella agiata famiglia di Nocera Terinese di cui fu, veloce e fugace ospite, proprio Lenormant, quando si trovò per poche ore nel territorio nocerino. Per la precisione, fu proprio un personaggio della famiglia Ventura (precisamente il genitore di Ignazio) che lo accompagnò in Campodorato da dove il Lenormant emise, primo assoluto tra tutti gli studiosi che si sono occupati di Terina, la sua infondata e fantasiosa sentenza, in base alla quale Terina non poteva essere allocata a Nocera Terinese per le motivazioni sopra riportate.
Abbiamo già visto come Lenormant, quando boccia la candidatura nocerina quale erede legittima di Terina, non allude alla candidatura del Piano di Terina, ma a quella del centro abitato di Nocera Terinese.
Riprendiamo, comunque,il testo di Ignazio Ventura per riportare quanto segue:
“Parlando di Nocera, non mi è stato possibile obliare la città della Magna Grecia che sorgeva nel suo territorio, nella contrada denominata <<Piano di Terina>>, (che
gli storici, tutti concordemente, fino alla seconda metà del secolo scorso, e la costante tradizione locale, hanno sempre identificato per Terina), perché avrei dovuto trascurare quanto è ad essa legato, cioè le origini di Nocera, le reliquie dell’antichità ancora esistenti, i numerosi reperti archeologici, disseminati nel suo territorio. Come è noto, la Calabria deve alle pazienti indagini ed al lavoro compiuto dall’illustre e compianto archeologo senatore Paolo Orsi se ha potuto lumeggiare vivamente la sua vetusta civiltà, che era rimasta oscura per secoli; noi di Nocera rimpiangiamo che le sue ricerche su Terina, iniziate nell’inverno 1913-1914, non poterono svolgersi per l’inclemenza della stagione,anzi, sospese per il sopraggiungere della guerra 1915-18, esse non vennero più ripigliate; in conseguenza l’ubicazione della nostra Terina resta ancora controversa” (Introduzione, pagg.9-10).
Riferendosi, poi, alla grande e prosperosa civiltà fiorita in Calabria, qualificata dall’autore come una tra le più grandi che siano mai fiorite nel Mediterraneo, scrive: ”Ci restano oggi, a testimonianza del grado di civiltà raggiunta, le monete di bronzo e di argento di bellissima fattura, le numerose pietre dure incise dette corniole, anfore, idrie, ciotole, cocci di ceramica rustica o smaltata, monocroma o policroma, i frammenti bronzei, i mosaici, gli oggetti ornamentali, i numerosi avanzi di sepolcreti, ritrovamenti archeologici tutti rinvenuti, o che si rinvengono, nella parte bassa dell’agro nocerino e segnatamente sull’altipiano chiamato di <<Terina>>, ove detti avanzi affiorano in seguito ad abbondanti piogge o a lavori di scasso del terreno. Personalmente ho avuto occasione di osservare numerosi esemplari di monete, ceramiche, cocci, corniole, mosaici, sepolcreti ecc.” (Pag. 16).
Aggiungo, per ciò che mi consta personalmente, di avere sentito varie volte affermare a mio nonno, Michele, che, ai tempi della sua giovinezza, era possibile osservare su uno dei fianchi del Piano di Terina, alcuni grossi anelli di acciaio o ferro che servivano per fare attraccare le navi che entravano nel porto terineo.
Oggi, tutto ciò che era possibile vedere sul Piano ed attorno ad esso, è sparito, così come ai nostri giorni (parlo del 2008), durante i lavori di ammodernamento dell’autostrada SA-RC, è letteralmente sparita una estesa necropoli greca di almeno ottanta tombe, di cui si sconosce se i contenuti siano stati prelevati, dove siano stati custoditi, se il ritrovamento sia stato attribuito al territorio di Nocera Terinese, località Portavecchia. Il problema vero e proprio è stato costituito, nel caso sopra accennato, dal fatto che le tombe siano rimaste scoperte per mesi e mesi, con il loro contenuto alla mercé di quivis de populo, non avendo avuto l’accortezza gli operatori addetti di erigere un capannone mobile dove custodire gli arredi funebri venuti alla luce. Ma, c’è di più!
La notizia del ritrovamento non è stata divulgata tramite i canali ufficiali, ma è stata appresa per puro caso, dai giornali, mentre il comune di Nocera Terinese, in particolare il suo sindaco o, almeno, l’U.T.C., non è stato avvisato dell’avvenuto ritrovamento.
Ma torniamo a quanto scrive Ignazio Ventura:
“Non potrei terminare questo paragrafo, senza fare un fugace cenno sull’antica Terina e sulla sua ubicazione, divenuta controversa solo in questi ultimi anni, mentre per il passato, per concorde parere di tutti gli antichi scrittori o per una millenaria tradizione locale è stato sempre indicato il sito col nome di <<PIANO DI TERINA>>, detto dai Nocerini <<CHIANU DE TIRENE>>(per metatesi subita dalla parola) dove, come già abbiamo detto, si son sempre rinvenuti avanzi archeologici.
I più antichi scrittori che ricordano questa città sono SILONE, Peripl., par. XII e LICOFRONE, La Cassandra, traduzione di Gargiulli, vv. da 726 a 1008, il quale ultimo ricorda anche la tradizione della sirena Ligea. Numerosi sono gli scrittori, che in epoche meno remote, sulla scorta degli antichi, la ricordano” (Pag. 17).
(A questa punto, il Ventura riporta un breve elenco di autori che si sono riferiti nei loro scritti alla scomparsa città magno-greca: G. BARRIO, De antiquitate et situ Calabriae;G. FIORE, La Calabria illustrata; D. MARTIRE, Calabria sacra e profana; E. CIACERI, cit.; MARINCOLA PISTOIA, Di Terina e di Laio; J. BERARD, La colonisation grecque de l’Italie meridionale et de la Sicilie dans l’antiquité, l’histoire et les legendes; E. AMATO, Pantopologia Calabra).
Quindi, l’autore riprende la trama interrotta:
“L’importanza di Terina fu in relazione alla sua posizione marittima, dotata di un porto naturale (che fu poi il porto di NAVE DE ARATA in terra di Nocera, di cui tratteremo in seguito, situata in un ameno altipiano che si eleva di oltre 100 m. sul mare, che batteva alle sue pendici, in sito forte per natura e facilmente difendibile militarmente”(Pag. 17).
Ciò che segue è fondamentale:
”Alla fine del secolo XIX, il primo storico che mise in dubbio la suddetta ubicazione fu Lenormant. Egli, in seguito ad una fugacissima visita nel 1882, della durata di poche ore fatta a volo d’uccello dalla pianura di Campo di Arata, ove era giunto per via rotabile, ad un miglio da Terina(come mi raccontava mio padre di cui fu ospite, in una sua proprietà ivi posta), escluse che Terina (Terina o Nocera?-Domanda D. A.) potesse sorgere in quel posto, per la considerazione che il mare doveva lambirne le pendici, mentre ora ne distava circa un chilometro. Non pensò che oramai erano trascorsi 25 secoli, durante i quali il mare, per bradisismo, se ne era allontanato e che la originale topografia aveva subito alterazioni dovute alla erosione del torrente Grande e del fiume Savuto, che scorrono ai suoi piedi. Poiché in quei giorni, in seguito ad una alluvione, era stata rinvenuta casualmente, da alcuni porcari, presso S.Eufemia, una corazza di oro di antico guerriero, egli fu da ciò deviato nelle sue dotte ricerche e scrisse che Terina doveva sorgere a S.Eufemia” (Pag.18).
Il lettore attento, certamente ricorderà, come da noi sia stato riportato supra l’originale pensiero del Lenormant, espresso in modo e maniera autografi, e come egli, collocando Terina nella Piana, abbia negato che la scomparsa città magno-greca potesse essere ritenuta allocata, non già sul Piano di Terina, ma nella città di Nocera: egli, cioè, ha escluso che Terina possa ritenersi ubicata a Nocera, intendendo riferirsi proprio al nucleo urbano nocerino.
Ignazio Ventura conclude il suo discorso su Terina affermando che, subito dopo l’enunciazione della teoria del Lenormant, ebbe occasione di leggere una pubblicazione di Paolo Orsi “nella quale quest’ultimo era arrivato alle stesse conclusioni del Lenormant, deviato forse anch’egli dai ritrovamenti archeologici di S. Eufemia, ove sorgeva l’antica città di Lamezia. Quivi i forti detriti alluvionali sfociati dai torrenti hanno coperto le vestigia del passato, che pertanto oggi si rinvengono numerose,mentre per Terina è avvenuto il fenomeno inverso, con l’aggiunta delle continue spoliazioni verificatesi durante millenni” (Pagg.18-19).
Concludendo il riferimento che abbiamo fatto a quanto ha scritto lo storico nocerese, Ignazio Ventura, sento l’inevitabile necessità di sottolinearne la correttezza professionale, deontologicamente ineccepibile, in quanto, appartenendo alla Famiglia Ventura, un cui ramo era, ed è, proprietario del Piano di Terina, avrebbe avuto un vantaggio ad allinearsi alla teoria dello studioso francese. Proprio per questo, quando riferisce le sue esperienze personali, riferendo di essere stato testimone oculare di numerosissimi reperti venuti alla luce al Piano di Terina e quando, inoltre, egli afferma che, secondo la tradizione orale di tipo demotico che ab immemorabili ha indicato sul Piano l’ubicazione di Terina, abbiamo il dovere di credergli, trattandosi di una verità oggettiva e non già costruita a tavolino.
In conclusione, è del tutto aberrante e incomprensibile come si sia potuto dare credito alle teorie fantastiche, sia che siano state propalate in buona fede, sia che la buona fede latiti del tutto, di Francois Lenormant e di quei pochi altri che ne seguirono acriticamente e ciecamente il cammino. In questo modo, si è finito con l’ accreditare, quello che non si può non ritenere un vero e proprio falso storico, in base al quale l’antica città della Magna Grecia, Terina, sarebbe stata allocata nella Piana di Lamezia Terme, in un luogo, cioè, che non ha alcunché da spartire con la storica città scomparsa.
Non esiste alcuna prova validamente storica, né altra di natura archeologica, che dia la dimostrazione che Terina fosse ubicata nella Piana di Lamezia Terme. Le prove storiche sono tutte a favore del Piano di Terina nel comune di Nocera Terinese; quelle archeologiche non possono essere esibite in quanto i ritrovamenti si sono succeduti quasi tutti in modo fortuito e, per la maggior parte, clandestino, mentre gli scavi ufficiali sono stati sempre accuratamente evitati da parte di chi avrebbe avuto il dovere di programmarli ed eseguirli.
Così,Nocera Terinese e i Noceresi hanno ben donde se oggi ritengono di essere stati defraudati del loro naturale DNA,sia sotto il profilo storico, che sotto quello geografico.