Il moto di indignazione che si è subito diffuso tra larghe fette della società civile calabrese in seguito all’approvazione lampo del provvedimento sui vitalizi, la reazione che ha prodotto con la raccolta di firme per chiederne l’abolizione e l’attenzione che ha destato in alcuni media, ha fatto sì che il consiglio regionale tornasse rapidamente sui suoi passi, promettendo una rettifica immediata, la correzione di un atto gravissimo che è stato liquidato come un semplice «errore».
Ma io credo che questa “ammissione di colpa” non si sarebbe mai verificata se il tutto fosse passato sotto silenzio, proprio come è accaduto tante, tantissime volte, nel passato più o meno recente di questa nostra regione.
Questo significa che la società civile può incidere sulle scelte politiche, se lo vuole, se ne ha la forza, se ne avverte − impellente − la necessità. Ma per fare questo deve mantenere alta l’attenzione e utilizzare i nuovi media (i social, soprattutto) per una volta in modo proficuo.
Vedere il video che è stato diffuso sul web in cui il presidente del consiglio regionale in pochi secondi faceva approvare all’assemblea quel provvedimento, vedere il consigliere che, invitato a illustrarlo, si limitava a dire «si commenta da sé», è stato illuminante per i calabresi che hanno ancora voglia di non dichiarare una resa senza condizioni a questa classe politica che, a dirlo con le loro stesse parole, «si commenta da sé!…»
E si può facilmente ipotizzare che quello stesso «si commenta da sé» rappresenterà una fonte decisiva per i ricercatori del futuro (sociologi e politologi), una “frase chiave” indispensabile per capire cos’era la politica in Calabria all’inizio del Terzo millennio.
«Quis custodiet ipsos custodes?» (Chi custodirà i custodi?), scriveva Giovenale nelle Satire. In questa occasione, abbiamo avuto la risposta. Dobbiamo essere tutti noi a operare un controllo su chi gestisce la cosa pubblica, per fare in modo che la gestisca non per il proprio squallido tornaconto ma solo per il bene comune.
di Raffaele Cardamone