Da genitore di un bambino che frequenta la scuola primaria (un soggetto “fragile”, peraltro, come si preferisce dire oggi) non posso che essere grato al sindaco del mio paese, Soveria Mannelli, per aver voluto, saggiamente, prorogare la chiusura delle scuole almeno fino alle vacanze di Natale.
So che questa mia posizione non incontra il favore di tutti, specie di quanti, giustamente, in queste ore si battono perché il diritto all’istruzione, specie dei bambini, venga rispettato. Voglio dunque sgomberare sin da subito il campo da ogni possibile equivoco. Sono perfettamente consapevole di quanto la relazione umana – fisica, sarebbe meglio dire – sia importante in un rapporto educativo; so che la didattica a distanza non potrà mai sostituire quella in presenza, so che che questo sistema finisce per aumentare le differenze sociali che la scuola si sforza di accorciare… lo so, ma allo stesso tempo so che quando ci si trova a scegliere tra due priorità, l’una diventa necessariamente meno prioritaria dell’altra e, per me (ma so anche che non tutti condividiamo la stessa scala di valori) la salute viene prima di tutto. Certo, mi si dirà, anche il senso di isolamento e di smarrimento che molti bambini vivono in questo periodo è “mancanza di salute” ma le conseguenze psicologiche e fisiche che un’infezione da Covid può avere su un nucleo famigliare, specie se questa è causa di ospedalizzazione per uno o più membri della famiglia non sono certamente da meno.
Sono convinto, e credo di poterlo dimostrare, che la questione della scuola in Italia sia stata affrontata a colpi di slogan cui non ha fatto seguito un impegno reale e concreto. Proverò a spiegarvi il perché.
Molti ricorderanno che in primavera il nostro Governo si era impegnato solennemente a risolvere la questione del rientro a scuola.
Uno dei primi slogan fu: “mai più classi pollaio”. Risulta a qualcuno dei lettori che le classi siano state sdoppiate e che si siano create (come è avvenuto per esempio in altri paesi europei), come pure si era annunciato, “bolle” di 10-12 alunni? A me no. Non solo; in molti comuni montani si è persino provveduto ad accorpare classi che non raggiungevano il numero minimo di alunni previsto per legge.
Sorvolo per carità di patria sull’idea romantica del fare lezione all’aperto (ricordate? A maggio – basta fare una ricerca su Google per verificare – imperava l’idea che in Trentino si sarebbe fatta lezione nei boschi, a Roma nei parchi e a Milano nei musei)… belle intenzioni naufragate di fronte al rigore della realtà.
L’altro slogan che risuona continuamente è: “Le scuole sono posti sicuri. A scuola non ci sono contagi”, slogan che, di fronte alla realtà di focolai nati qui e là, veniva rafforzato dall’altro slogan “ci si contagia fuori non dentro le aule”.
Bene. Cominciamo con il dire che asserire con certezza che un contagio non sia avvenuto in aula ma al di fuori del cancello della scuola è molto difficile da dimostrare; ma poi per quale ragione a scuola non ci si dovrebbe contagiare? Forse che le pareti scolastiche hanno particolari poteri antivirali o che le misure prese a scuola siano davvero così rigide da impedire che le classi si trasformino in piccoli focolai?
Vogliamo parlare della misura di prevenzione che potremmo definire cardine ovvero la distanza interpersonale? Bene, mentre in tutti gli ambiti si è stabilito che la distanza interpersonale minima debba essere di un metro a scuola questa distanza è minore! Sembrerà assurdo ma è così.
Come si calcola in genere la distanza tra persone sedute? Come sono state calcolate le distanza nelle sale d’attesa, nei cinema ecc.? Prevedendo che tra una seduta e l’altra vi fosse appunto almeno un metro. Ecco, per quel che concerne la scuola, superata la parentesi romantico-ecologista delle aule all’aperto, ci si è resi conto che se si fosse rispettata la distanza di un metro tra un banco e l’altro le aule non sarebbero state sufficienti a ospitare gli studenti che negli anni sono stati ammassati in spazi angusti, si è allora risolto brillantemente la cosa stabilendo che la distanza non andava calcolata tra seduta e seduta bensì tra una “rima buccale” e l’altra cioè stabilendo che a scuola (e solo lì) il metro andava calcolato tra lo spazio in cui ipoteticamente si dovrebbe trovare la bocca di un bambino e quella di un altro. Peccato che i bambini non sono statue e non rimangono dunque immobili, ragion per cui il metro non è mai rispettato (sempre che di “metro” in questo caso possiamo parlare). Se aggiungiamo a questo che fino al DPCM del 3 novembre i famosi protocolli scolastici supersicuri prevedevano che nel momento in cui uno studente era seduto al banco non doveva indossare la mascherina, il risultato è stato che i bambini e i ragazzi sono rimasti in un ambiente chiuso per molte ore (nella scuola primaria anche 7-8) a distanza ben inferiore a un metro. Ciò nonostante – dicono i famosi slogan ministeriali – a scuola i contagi sono stati pochissimi. Già, ma qualcuno ha mai visto dei numeri?
Nei giorni passati la nota rivista Wired è riuscita a ottenerli dal Ministero della pubblica istruzione scoprendo che dall’inizio della scuola (che, ricordiamo, in molte regioni d’Italia è iniziata a fine settembre) al 31 ottobre, il numero di bambini e personale scolastico contagiato è di 65 mila unità. Mica male in un mese soltanto di scuola! Certo qualcuno si sarà contagiato anche a casa ma di sicuro molti contagi saranno avvenuti a scuola, dove comunque l’infezione si sarà in ogni caso diffusa.
Ma, non essendo io uno scienziato – mi si dirà – come faccio a sostenere che quelle misure di cui sopra non sono sufficienti ad evitare la diffusione della malattia?
A fine ottobre il quotidiano spagnolo «El Pais» ha pubblicato uno studio in cui (clicca qui per vedere la traduzione diffusa dal repubblica.it https://lab.repubblica.it/2020/coronavirus/cosi-si-trasmette-il-contagio-in-un-salotto-un-bar-e-una-classe/) si vede chiaramente come, qualora un docente sia positivo, in una classe di 24 alunni con i ragazzi sono seduti distanziati e senza mascherina (esattamente come avveniva fino al DPCM del 3 novembre in Italia), dopo due ore gli studenti contagiati sarebbero stati 12 (la metà).
Ma anche nel caso in cui tutti gli alunni e il docente indossino la mascherina il rischio non è azzerato. Secondo lo studio citato infatti, in questo caso, dopo due ore, a essere contagiati sarebbero cinque ragazzi su 24. Per ridurre al massimo il rischio si dovrebbe fare lezione con le mascherine e le finestre aperte, soluzione che in inverno (specie nei nostri paesi) non è certamente praticabile.
Ma lasciamo da parte le questioni generali e andiamo al particolare. Quali sono le garanzie che ai nostri ragazzi vengono offerte alle nostre latitudini?
Mi preme ricordare a tal riguardo che ci sono intere classi in Calabria che, dopo il rientro a scuola, hanno registrato un caso di positività tra un compagno e un operatore scolastico e sono ancora in attesa, da settimane, dell’esito dei tamponi, con famiglie gettate nell’angoscia e nella paura.
Vogliamo poi parlare dei numerosi casi di positività emersi da tamponi privati e comunicati alle autorità che risultano del tutto assenti dai conteggi delle ASP perché le stesse non hanno provveduto poi ai tamponi e al contact tracing? Tutti noi hanno fatto esperienza di numerosi contagi nel proprio comune di residenza dove invece l’ASP ne registra solo qualcuno o addirittura nessuno.
Sapete poi che nel caso in cui un contatto stretto di un tampone positivo rilevato da un laboratorio privato decidesse di frequentare la scuola nessuno potrebbe impedirglielo? Perché quel tampone non ha alcun valore ufficiale!
Che dire ancora del sistema di registrazione dei tamponi positivi che – stando a quanto riferito dai giornali in questi giorni – in alcuni ospedali calabresi viene fatto a mano su fogli di carta con inevitabili errori di inserimento nei database informatici ufficiali?
D’altro canto non sono certo io a dirlo ma è stato l’Istituto Superiore di Sanità a definire, il 4 dicembre, la situazione della Calabria a “rischio alto” perché l’indice di trasmissibilità qui non è valutabile proprio per via della disorganizzazione del sistema sanitario!
Credo che i lettori del «ilReventino» abbiano letto dell’appello dei pediatri della provincia di Cosenza alle autorità competenti affinché sia rinviata a dopo le feste l’apertura delle scuole proprio per via del caos tamponi… e non ci deve sfuggire come la famosa ordinanza di Spirlì poi annullata dal TAR di chiusura delle scuola abbia fatto seguito alla richiesta delle ASP di chiudere le scuole proprio perché non si riusciva a dare seguito alle richieste di tamponi. Al di là della nomina del nuovo commissario non mi pare che la situazione della sanità in Calabria sia cambiata di molto né, stando ai numeri dei contagi (che, pure, dicevamo, sono assolutamente lacunosi e incompleti) la diffusione del virus sia stata significativamente ridotta.
Concludendo mi si consenta un’ultima osservazione: in epoca pre-covid le scuole sono state chiuse (legittimamente) per ogni folata di vento, ogni qual volta la protezione civile ha diramato una qualsiasi allerta meteo cui spesso non ha fatto seguito alcun disastro…anzi, tutti ricordiamo le splendide mattinate di sole con le scuole chiuse… certo – mi si dirà – c’era comunque un potenziale pericolo cui i sindaci avevano il dovere di porre un argine, ma cosa c’è di diverso nella situazione attuale?
di Antonio Cavallaro