“La Sambucina. Una grande abbazia nell’Europa Medievale” di Luzzi, in provincia di Cosenza, è un libro di cui è autore Flaviano Garritano. A tal riguardo di recente si è svolta a Luzzi, nella sala conferenze del Liceo Classico-Artistico, la presentazione di un prezioso e lungo lavoro di ricerca storico-archivistica, frutto anche di un fruttuoso lavoro di collaborazione con il geologo Ernesto Bellomo e il botanico e docente presso l’Università di Messina Alessandro Crisafulli, che hanno fornito una contributo prezioso indagando la geologia e la botanica dei luoghi dell’Abbazia, aspetti assai interessanti per scoprire, e così facendo, e apprezzare le attività economiche strettamente legate alla vita dei Monaci e alla loro quotidianità.
Il titolo scelto dall’autore per il corposo volume “La Sambucina. Una grande abbazia nell’Europa Medievale” lascia intendere già da queste parole come lo sguardo lungo di Flaviano Garritano non si è limitato solo a fermare il suo lavoro di studioso su ciò che resta, in verità non molto, di quella che era davvero un monumentale edificio, per la grandezza fisica e per i suoi particolari architettonici di grande pregio, di cui abbiamo un esempio nel grande e raffinato portale d’ingresso fortunatamente conservatosi, pur nell’inarrestabile incedere dei secoli gravato da rovinosi terremoti che costrinsero a ricostruzioni prima e poi al definitivo abbandono, bensì ha cercato, anche con viaggi di conoscenza, di inserire l’Abbazia di Luzzi in quell’Europa dei Secoli X-XI-XII durante i quali il nostro continente vide la nascita di numerosissime Abbazie in ogni nazione, compresa l’Italia, con un interesse focalizzato su quelle sorte nel Sud dell’Italia dove erano arrivati i conquistatori del Nord Europa, i normanni che ne favorirono la creazione anche per soppiantare il rito greco con quello latino in virtù della loro alleanza con il papato cristiano.
Un destino, quella della decadenza, simile a quanto accadde ad un’altra grande abbazia, più o meno coeva della Sambucina: ci riferiamo a Santa Maria di Corazzo, i cui imponenti resti si ammirano ancora oggi nel territorio della frazione Castagna del Comune di Carlopoli in provincia di Catanzaro.
In realtà quel che qui resta non è la primitiva Abbazia, nata come benedettina e poi diventata cistercense e retta per ben 10 anni dal beato Gioacchino da Fiore, originario di Celico, bensì le ricostruzioni effettuate in due riprese, dopo i terribili terremoti del 1638 e del 1783, il secondo del quali costrinse i monaci ad abbandonarla. Ciò che sopravvisse a queste catastrofi naturali venne poi salvato dagli abitanti del paesi limitrofi, quali altari, acquasantiere, dipinti ed altro ancora andando a costituire l’arredo delle chiese di Soveria Mannelli, di Castagna e degli altri centri del versante orientale del Monte Reventino.
Nel suo lavoro, frutto di certosina ricerca e di ricucitura di eventi succedutesi nel secoli, specialmente nel primi della esistenza della Sambucina, Garritano sottolinea come la vita dei monaci, improntata al motto “Ora et Labora“, avesse prodotto una serie di vantaggi ai territori da loro condotti direttamente con l’introduzione di tecniche agricole e anche di miglioramenti ambientale a vantaggio delle popolazioni rurali che gravitavano intorno all’Abbazia stessa.
A tal riguardo egli ha condotto, da altri studiosi luzzesi iniziata prima di lui, una ricerca sulla regimentazione delle acque e sulla creazione di un vero e proprio acquedotto che raccoglieva le acque sorgive sgorganti vicino alla Abbazia e anche a monte di questa, con la creazione di condotti e di pozzetti, ancora oggi in grado di funzionare, per frenare la potenza delle acque nella loro discesa a valle per portare il prezioso liquido al centro importante che stava sorgendo ai piedi, potremmo così dire, dell’Abbazia.
Ma oltre a ciò, egli racconta con passione i rapporti degli abati dell’Abbazia con il mondo religioso più vasto della provincia di Cosenza e non solo. Così sottolinea il legame stretto tra la Sambucina e il Duomo di Cosenza, che conserva nelle sue linee chiari riferimenti cistercensi, “trait d’union“ rappresentato dalla storica figura di Luca Campano, prima abate a Luzzi e poi vescovo di Cosenza, che del Duomo volle e curò la ricostruzione dopo il terremoto, devastante, del 1184.
Un cenno infine vogliamo darlo all’organizzazione del volume, ricco di immagini e riproduzioni.
Esso si compone di:
“Capitolo I° – Architettura, Geo-materiali e Paesaggio Naturalistico”, nel corso del quale si sviluppano gli interventi puntuali e precisi del geologo Ernesto Bellomo sullo studio delle rocce impiegate per la costruzione dell’Abbazia e quello dello studio floristico-vegetazionale del territorio di pertinenza dell’Abbazia ad opera del Botanico dr Alessandro Crisafulli ;
“Capitolo II° – Notizie storiche sulla Vita Monastica e i Possedimenti nell’Italia Meridionale”, nel cui svolgimento si dedica grande evidenza ai possedimenti in Sicilia e alle trasformazioni dovute al passaggio dal Rito Greco a quello Latino imposto dai Normanni in virtù del loro accordo e del sostegno alla Chiesa di Roma, e altresì alla grande attenzione rivolta dai Monaci alla trasformazione agricola del territorio, collegandola ad un uso razionale e decisivo dell’Acqua e alla sua regimentazione;
“Capitolo III° – Gli Abati, i Monaci e le Opere d’Arte “ , nel corso del quale si descrivo le importanti personalità che transitarono dalla Sambucina e la resero grande centro di Cultura e di Studio;
“Capitolo IV° – La Noara”, in cui si descrive con precisione quello che fu il primo insediamento cistercense in Sicilia, a Novara di Sicilia antico borgo dove si trova l’Abbazia di S. Maria la Noara, in località Badia Vecchia. con particolare interesse alla figura di S. Ugo Abate, nativo della Borgogna in Francia, che transitò dalla Sambucina prima di recarsi in Sicilia.
In conclusione voglio rivolgere un plauso non formale al dr Flaviano Garritano per questo suo prezioso e impegnativo lavoro che viene a colpare un vuoto ormai insostenibile circa gli studi sulla Sambucina, se pensiamo che uno studio di un certo impegno, prima di questo suo, risale agli anni ’20 del secolo scorso.
L’importanza di questo suo volume sta nel fornire un quadro moderno, nel senso di aggiornato, intorno a questo importante monumento del territorio di Luzzi, ambito peraltro assai importante e da sempre dal punto di vista storico ed archeologico: voglio solo ricordare il ritrovamento fondamentale della Tomba di tipo alla cappuccina di epoca romana detta del “chirurgo” per il ricco corredo di attrezzi in metallo pertinenti ad una figura di medico.
L’augurio è che questo volume, davvero prezioso per la miniera di informazioni che contiene, possa avere una adeguata diffusione e fornire spunti preziosi per future ricerche. Sarebbe il modo migliore e più positivo per il riconoscimento dell’impegno dell’amico Flaviano Garritano.
Gabriele Emilio Chiodo