Anselmo ha 10 anni – questo paragrafo è una sintesi della prima parte per permettere al lettore di rientrare nella storia – e per sfuggire ai bombardamenti degli Alleati, decide di rifugiarsi nella Presila. Il viaggio sui treni delle Ferrovie Calabro Lucane, a causa del pericolo di un’eventuale incursione, è obbligato a subire innumerevoli soste. La più importante è presso Madonna di Porto, a Gimigliano. Lì parla con un ragazzo dagli occhi azzurri, il quale gli dice di essersi recato a Catanzaro per cercare una “chiave”. Una chiave? Che significa si chiedeva? Alcuni anziani gli suggerirono che era un poco di buono e che aveva tentato di corrompere dei militari per ottenere una raccomandazione e non fare la guerra. (Per leggere il primo episodio del racconto CLICCA QUI). Questo generò nel piccolo un sentimento negativo e di rabbia verso quel giovane e per oltre 30 anni non vide che una realtà, fino a quando nel 1978 lo rincontrò nel luogo in cui lo conobbe decenni prima.Anselmo divenuto oramai uomo rimase turbato, perché quel signore la guerra l’aveva fatta veramente, perdendo oltre ad una gamba molto altro… (Per leggere il secondo episodio del racconto CLICCA QUI). L’anziano gli aprirà il cuore ancora di più di quanto non abbia fatto fino a quegli istanti, con un racconto travolgente che rimarrà scolpito nel suo animo. Finalmente ci sarà una quadratura del cerchio; adesso sarà proprio quel “vecchio” che, per bocca di Anselmo parlerà.
La storia di Giuseppe
– Terza ed ultima parte –

“Mi chiamo Giuseppe e sono nato nel 1920 in minuscolo paesino calabrese; con la mia famiglia coltivavamo la terra per conto di ricchi possidenti, allevavamo anche delle pecore e dei maiali. Papà, a volte, per racimolare qualche lira aiutava uno dei miei zii in un’arrangiata, ma efficiente, officina di ferramenta.
Avevo due fratelli, uno nato nel 1916 e l’altro nel 1918; essendo il più piccolo mi avevano cresciuto e protetto fin da sempre. Il primo morì in Africa nel 1942, lasciando una donna di 22 anni vedova e con due bambini di 5 e 3 anni da accudire. Il secondo scomparì in Russia e non ne abbiamo più saputo nulla, forse morì per il freddo e gli stenti… Prestai servizio militare tra il 1938 e il 1940, poi rimasi in attesa di partire per la guerra. Fui richiamato alla visita di leva nel 1941, poi dal Distretto non mi fecero sapere più nulla fino al giugno 1943, quando fui ritenuto abile e idoneo… In realtà per qualche strano scherzo del destino, speravo non mi chiamassero più, pregavo perché si fossero dimenticati di me! Così facendo avrei aiutato in campagna e soprattutto avrei avuto l’occasione per stare con Francesca, di cui ero innamorato. Aveva 17 anni, con i lineamenti eleganti e tanto innocenti, bellissima e istruita.

Da un po’ di mesi per aiutare la famiglia in difficoltà prestava servizio da alcuni nobili a Catanzaro, ogni tanto riuscivamo a vederci di nascosto o in quel giorno a settimana in cui rincasava.
I nostri erano brevi ma intensi incontri, in cui riuscivamo solo a dirci il bene che ci volevamo, i progetti da portare avanti e, a scambiarci qualche furtivo bacio… Mi promise che non ci sarebbe rimasta a lungo da quella gente, perché intenzionata a passare il futuro con me, non certo con loro! Lo stipendio era misero ma ebbe l’opportunità di far arrivare a casa del cibo e persino alcune medicine utili alla cura della malattia di uno dei fratellini.
E così come tutti noi, nemmeno lei non possedeva un granché, però era tanto affezionata ad un Carillon regalatole dalla nonna Giulia e che da un po’ di tempo non riusciva più a far suonare… La ‘chiave’ che si inseriva all’interno del meccanismo si era spezzata! (dunque la “chiave” non era la raccomandazione che Anselmo pensava fosse, ascoltando l’erroneo parere di alcuni anziani).
Era dispiaciuta perché con la sua musica soave, esso le ricordava le cose belle della vita e le avrebbe ricordato anche me durante la mia assenza, mi diceva: <Non posso perderti e non ti perderò, so che tornerai presto e mi verrai a prendere >.

In quel giorno di luglio le promisi che avrei aggiustato la chiave o che ne avrei recuperato un’altra! Riuscii a trovarne una, ma non ero convinto ci entrasse e per la paura che non fosse buona non gliela portai… Mi mancò il coraggio! Le mandai delle lettere da cui non ebbi mai risposte [1]. Partii pochi giorni dopo alla volta della Grecia, non sapevo neppure dove fosse… A settembre 1943 rimasi ferito da un attacco smisurato che ci fecero i nostri ex amici tedeschi e lì rimasi gravemente ferito ad una gamba, dopo qualche settimana alcuni medici, forse della Croce Rossa, decisero che sarebbe stato meglio amputarla. Me la sarei cavata lo stesso, ero vivo, quello contava! Francesca avrebbe continuato ad amarmi? Si, l’amore era più prezioso di una gamba.
Nella tarda della primavera del 1944 grazie ad un trasporto internazionale fui trasferito a casa! I miei tirarono un sospiro di sollievo che almeno uno dei tre figli fosse in vita e non ci fu giorno che non ringraziarono Dio per questo [2]. Chiesi più volte di lei ma senza avere delle risposte convincenti. Più vaghi di loro i miei compagni del paese. Dicevano di non sapere nulla e cambiavano discorso. Era evidente che non era quella la verità! Cosa potevo fare? Decisi allora di alzarmi dal letto e piano piano con le mie due compagne fedeli (le stampelle), andai in Chiesa dal prete. Ero innervosito, lui per forza doveva darmi delle risposte! L’impressione era che tutti sapessero tranne l’interessato.
Il sacerdote appena mi vide si incupì, forse comprese che pretendevo notizie! Parlava a malapena, tentando di ricondurmi ad altri stupidi ragionamenti sul tetto cadente della Chiesa…Cosa poteva interessarmi del tetto? Allora, presi una stampella ed urlando la scaraventai su di un quadro, che ancora oggi porta lo squarcio di quel momento… Lui, leggendo la disperazione nei miei occhi, oramai senza più vita, mi spiegò chela mia amata Francesca a fine agosto del 1943, durante una delle tante incursioni, insieme ad altre centinaia di esseri umani era stata inghiottita dalle macerie, rimanendo vittima dei bombardamenti! – ‘NO, NON ERA POSSIBILE! NO NON POTEVA ESSERE MORTA. ERA INACCETTABILE, STAVA ASPETTANDO ME…’ – Il reverendo commosso anch’egli soggiunse che fu ritrovata abbracciata ad un Carillon con una bambolina sopra…”
Il racconto che è di esclusiva proprietà dello scrivente pur non finendo qui, idealmente e per mia espressa volontà si interrompe oggi. La storia pubblicata su queste pagine è leggermente sfumata nei contenuti, in ossequio alle persone coinvolte e alle loro famiglie, e notevolmente sintetizzata per ovvi motivi di spazio rispetto ad un racconto molto più ampio ed argomentato, di cui mi riserverò la possibilità di una pubblicazione ad hoc in versione integrale in un prossimo futuro.
Grazie.
[1] In realtà anche Francesca gli scrisse alcune lettere, che non gli furono mai recapitate.
[2] All’epoca del racconto nel 1978 i genitori erano ancora in vita.