Da oggi e per un po’ di tempo aprirò il mio archivio e vi racconterò alcune piccole storie all’interno della grande storia del secolo breve, il 1900: il focus sarà l’amataterra mia, l’amata terra nostra, con i suoi abitanti.
Sono convinto che anche in questo periodo complesso, tuffarsi nel passato possa darci un po’ di “conforto”. Il passato infatti con i suoi (pochi) insegnanti ed (i tanti) insegnamenti, sarà una medicina a rilascio graduale per comprendere che anche la notte più lunga finirà, che i giorni neri più tristi della notte verranno trasformati in giorni di luce! C’è una massima di Wayne Dyner che dice: “Cambia il modo di guardare le cose e le cose che guardi cambiano”. Il buio scomparirà e ne usciremo, forse un po’ sconfitti per quanto riguarda le nostre certezze ma non di certo rassegnati. Questo perché reagiremo e ci aggrapperemo a ciò che ci appartiene di più: al futuro! Sono consapevole che in quello che è stato c’è la lezione di quello che eravamo e che abbiam dimenticato di essere, c’è il riscatto che dobbiamo perseverare e realizzare domani.
Questa è la prima parte della storia che voglio raccontarvi:
–Cambia il modo di guardare le cose e le cose che guardi cambiano –
– Parte Uno –
“Mi chiamo Anselmo, avevo 9 anni e quel 1943 ne avrei compiuto 10, quello fu anche l’anno in cui mamma per punizione non mandò me e i miei due fratelli alla colonia [1].
Io lo meritavo, ma loro no! Ero un monello e, a fine scuola, giocando, caddi accidentalmente da un albero e per poco non finii stecchito… Papà non si arrabbiò, mamma non fu del suo stesso parere. Le dicevo che già mi ero fatto parecchio male e di essere buona con me! Di quel giorno, infatti, ne porto in fronte il segno, una cicatrice [2] che da sinistra va a destra per poi ridiscendere fino al sopracciglio opposto!
Erano i primi di luglio del 1943 quando gli americani sbarcarono in Sicilia e dunque intuimmo che sarebbero sopraggiunti anche in Calabria. Noi ne fummo sollevati, ma non tutti la pensavano così. A qualcuno il Duce piaceva, e pure molto, a me stava antipatico; nonno mi diceva che non ci si poteva fidare di quel ciarlatano che aveva ingabbiato milioni di italiani solo perché sapeva incantare quando apriva bocca <È un affabulatore> ripeteva! Catanzaro poteva diventare un luogo pericoloso ed iniziammo ad avere paura. Che cosa potevamo fare?
I miei genitori presi dal panico decisero di sfollare da un nostro lontano parente a Decollatura. Allora, prendemmo quel treno delle Calabro Lucane che ben conoscevo, perché spesso con i miei fratelli andavamo a trovare mia zia residente a Cosenza… Quella mattina fu una vera odissea, la gente era persino aggrappata sui tetti delle carrozze! Quasi per miracolo riuscimmo ad entrare e, a trovare posto. Papà conosceva un dipendente che lavorava nel magazzino e, grazie al fatto che gli regalò alcuni formaggi, riuscì ad avere un comportamento di favore… Il viaggio durò all’infinito, sia perché era rallentato dall’ingente carico umano e sia perché, più volte, a causa degli aerei che passavano fummo costretti a fermarci all’interno delle gallerie, come in quella di Gimigliano. Lì rimanemmo ore e ore. Era pericoloso uscirne.
Nel primissimo pomeriggio sostammo per un tempo che non riesco a quantificare presso l’odierna stazione di Madonna di Porto e visto che non partivamo, con gli altri viaggiatori, decidemmo di andare a pregare la Vergine perché ponesse fine alle ostilità. Il sole bruciava, allora scendemmo a rinfrescarci al fiume, nonostante il timore delle incursioni provvedemmo a cercare sollievo! C’erano bambini, donne, tanti anziani, giovani uomini pochissimi, la maggior parte erano al fronte a combattere… Questa cosa mi colpì molto, così come rimasi colpito quando mi avvicinai ad un ragazzo con i capelli ricci e gli occhi azzurri che poteva avere 20/25 anni, con una cesta di vimini svuotata di un contenuto importante, che a sua volta emanava uno strano odore, simile a quello dello sterco. Se ne stava in silenzio e con la testa bassa proprio davanti a me. Prendendomi di coraggio gli chiesi perché fosse con noi e non a combattere! La mia domanda non era sbagliata… Gliela ripetei due volte, la prima mi ignorò, la seconda, con molta titubanza mi sussurrò all’orecchio che stava cercando una <chiave >. Una chiave? Che significa gli dissi? Lui non rispose, ma si mise a giocare e, a scherzare con me! Quando tornammo sul convoglio alcuni anziani mi sussurrarono che era andato a cercare una raccomandazione in città per non andare in guerra, tentando di corrompere chi di dovere, con un capretto vivo, che aveva messo nella cesta! In cuor mio non ci credevo, ma se erano stati degli anziani a dirmelo non poteva esserci errore… La cosa mi sembrò plausibile e mi indignai e non gli rivolsi più la parola.
Con la mia famiglia scesi a Decollatura, lui proseguì…Il periodo dello sfollamento fu di prova, anche perché di bombe ne caddero persino nella zona in cui stavamo noi! Vidi molte persone che con dei carretti provarono a trasportare il poco che gli rimaneva, tentando di cercare un qualche rifugio di fortuna, un pollaio, una stalla o l’aria aperta. La guerra finì e spesso continuai a pensare a quel giovanotto misterioso. Mi ripetevo perché i suoi coetanei erano andati e combattere e, a volte, erano pure morti e lui nulla? Ovviamente ignoravo quello che sarebbe accaduto dopo tanti anni…
FINE PRIMA PARTE
E nella prossima puntata?
Passano gli anni ed Anselmo torna sulle rive di quel fiume, dove succederà qualcosa di inaspettato; le apparenze del passato si dissolvono in pochi attimi davanti alla realtà delle cose.
NB: Il racconto è di proprietà esclusiva dell’autore, qualsiasi riproduzione non autorizzata, anche dei disegni ivi presenti, realizzati da Francesca De Masi, che ringrazio, sarà perseguibile nei termini previsti di legge. La storia pubblicata sulle pagine del ilReventino.it è leggermente sfumata nei contenuti, in ossequio alle persone coinvolte e alle loro famiglie, e sintetizzata rispetto ad un racconto molto più ampio ed argomentato, di cui mi riserverò la possibilità di una pubblicazione in versione integrale e cartacea in un prossimo futuro.