Non sono certo molte, e d’estate in particolare, le occasioni di sentir parlare e con conoscenza e competenza di due personaggi come Dante e Gioacchino da Fiore. Se poi il tema dell’incontro è “Dante e Gioacchino”, è impossibile non cogliere l’opportunità offerta. Così, insieme ad un amico caro, ci siamo recati in quel di S. Giovanni in Fiore dove l’Abate “di spirito profetico dotato” visse per anni e fondò un Monastero che ancora oggi resiste alle intemperie dei tempi e degli uomini.
L’incontro era organizzato dal Comitato Promotore del Club UNESCO di San Giovanni in Fiore, presieduto dall’Avv. Maria Gabriella Morrone, e vedeva assisi al tavolo dei convegnisti, oltre alla già citata Avv. Morrone, il Prof. Riccardo G. Succurro, presidente del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, il Dr. Diego Bouché, DG dell’USR della Calabria, il Prof. Silvio Mastrocola, last but not least, relatore principale del convegno e Docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Dopo l’introduzione ai lavori da parte dell’Avv. Morrone, intratteneva magistralmente l’uditorio, davvero numeroso ed interessato, il Prof. Succurro che già dall’inizio lasciava intravedere il taglio alto del suo intervento.
Davvero Gioacchino influenzò il pensiero di Dante? E se questo avvenne, in che termini e modi culturali l’incontro tra i due pensatori si realizzò? Bastano già queste due domande ad esprimere il livello delle sue argomentazioni in merito.
Intanto, da subito, la citazione famosa, già ricordata qualche rigo sopra. A parer di Succurro, e “ragionando” con criteri attualissimi, Dante fu un promotore inconsapevole, non lo sapremo mai, di Gioacchino e delle sue elaborazioni filosofiche.
La vita di Gioacchino, ricorda Succurro, scorre in anni fondamentali per la storia della penisola (l’Italia come nazione e come popolo era di là da venire ), anni che vedono emergere nel Meridione d’Italia personaggi come Ruggero I di Sicilia e sua figlia Costanza d’Altavilla (Costanza I di Sicilia), sposa di Enrico VI e madre di Federico II, lo Stupor Mundi.
Noi non sappiamo se Gioacchino, nato a Celico nel 1135 e morto a Pietrafitta il 30 marzo del 1202 abbia mai incontrato Costanza e Enrico VI, però da questi fu sicuramente incentivato e favorito con la donazione di vasti terreni in prossimità di S. Giovanni in Fiore dove egli cominciò a costruire il Protomonastero di “Jure Vetere” a cui seguì dopo pochi anni la fondazione della Congregazione Florense che fu approvata da Papa Celestino III il 25 agosto del 1196.
Negli anni precedenti egli aveva avuto la nomina di Abate presso l’Abbazia di s. Maria di Corazzo, in territorio di Carlopoli, retta per circa dieci anni, durante i quali egli compì molti dei suoi viaggi in Europa ed in Terrasanta.
Dante peraltro, precisa Succurro, colloca, nel XII Canto del Paradiso, Gioacchino tra gli Spiriti Sapienti, due schiere di 12 Saggi ciascuna, ponendolo quindi in una posizione di preminenza tra gli ispiratori del pensiero religioso di quei secoli. E cita, a tal proposito, il Liber Figurarum un cui esemplare fu visto con ogni certezza da Dante.
E qui il nostro relatore parla con dovizia di particolari della figura dell’Aquila, che in Gioacchino è il Simbolo per eccellenza della contemplazione. E altrettanta importante citazione dedica ai Cerchi Trinitari, in cui è facile identificare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, tripartizione sottolineata dai tre colori, Verde, Ceruleum, Rosso. Appare chiaro dalle pur poche parole di Dante come la figura ed il Pensiero di Gioacchino fossero segno di speranza per il futuro.
Su quest’ultima intuizione di Dante si sofferma altresì il Dr Bouchè il quale aggiunge che Dante e Gioacchino, pur in epoche diverse, auspicavano la nascita di un mondo nuovo, guidato da un Clero “pulito”, in ciò entrambi vedendo il realizzarsi di una renovatio che segnasse ed attraversasse i secoli in maniera profonda e duratura.
Infine il Prof. Mastrocola, di cui si scopre essere nato a san Giovanni in Fiore, intrattiene il sempre più interessato ed avvinto pubblico e introduce un’idea nuova per molti degli astanti. Quella di un Dante “Filosofo” e non più soltanto poeta e scrittore. Egli sostiene che Dante fu arricchito nelle sue conoscenze dalle traduzioni delle opere dei filosofi arabi Avicenna ed Averroè, fortemente volute da Alfonso X.
Ed è anche leggendo quelle opere, fortemente intrise di concetti filosofici nuovi, estranei all’Europa, che Dante viene a conoscenza di Gioacchino e delle sue opere. E, ribadisce il Mastrocola, non è forse Dante colui che spera, anche per le sue “delusioni” politiche in Firenze, culminate nel suo esilio dalla città del Giglio, in una renovatio attraverso l’arrivo in Italia di Arrigo VIII nel quale ripone le sue speranze destinate a rimanere vane?
Tre furono i Maestri “religiosi” di Dante, San Pietro ovvero la fede, San Giacomo la speranza, San Giovanni la carità, virtù indispensabili per credere in un mondo nuovo!
E dalla delusione di Dante, nonostante l’aiuto di Beatrice, qui da intendere forse più metaforicamente che realmente come incarnazione della speranza, riusciamo a cogliere anche quella che era anche la convinzione di Gioacchino: che il mondo andasse verso il male!
Ma nonostante gli accadimenti sfavorevoli, nonostante le delusioni “politiche”, Dante appare al prof. Mastrocola, così come Gioacchino, per nulla nostalgico di epoche passate, anzi proiettato verso il futuro, in questo essendo ben consapevole dell’amor di Dio verso il futuro del mondo.
Il suo amor intellettualis è propriamente amor dei, assai simile se non coincidente con quello che è l’amore di Gioacchino per il mondo in cui visse da protagonista e che aveva conosciuto profondamente nei suoi viaggi.
Abbiamo provato a darVi, cari lettori, una sintesi di quanto abbiamo ascoltato, consapevoli di esserci riusciti solo molto parzialmente, ma ugualmente felici di ciò se riusciremo ad attrarre il vostro interesse per un argomento così distante dalla quotidianità di cittadini del XXI secolo.
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