
L’attesa è finita! Il cinema calabrese ha un nuovo protagonista, consacrato dalla recentissima assegnazione del Premio Vittorio De Seta, nell’ambito della 18ª edizione del Magna Graecia Film Festival, sezione Clorofilla, realizzata con il circolo Legambiente di Catanzaro.
Quest’anno, l’“alberino con le foglie di pellicola”, segno tangibile e fortemente simbolico di questo Premio, è andato a Mattia Isaac Renda e al suo documentario L’attesa.
Il cortometraggio, della durata di 11 minuti, mette a fuoco gli effetti di lunga durata che derivano dallo stato di assoluta precarietà che da sempre attanaglia la Calabria, analizzandoli nella loro forma più consueta e distruttiva: l’abbandono dei luoghi che segnarono il dominio di una civiltà contadina ormai presente solo nei racconti oleografici e falsamente nostalgici.
Così non è per L’attesa, che parte da un contrasto netto e già in sé programmatico: il montaggio alternato tra la carcassa di una vecchia automobile abbandonata e gli scheletri di alberi invernali in controluce, che già introducono al bianco e nero che sarà la scelta cromatica – paradossalmente la più realistica possibile – adottata dall’autore per gran parte del “metraggio”.
Poi si mostrano gli ambienti e gli spazi vuoti di un casolare diruto e dei suoi dintorni, in parte risvegliati da sporadiche tracce del passaggio dell’uomo, sotto forma di echi di rumori improbabili, e dalla presenza sorprendente di un favo d’api, forse l’unico segno evidente di vita animale, che – da solo – si merita il privilegio del colore.
Mattia Isaac Renda, ricorrendo a immagini secche, forti nei contrasti, di oggetti, detriti, muri sbrecciati, spiragli di luce che tagliano l’aria rendendola almeno più tollerabile, vuole dirci che siamo e restiamo in attesa, ma in attesa di cosa è difficile perfino ipotizzarlo. Forse qualcosa che è in bilico tra il recupero dei valori di una dimensione umana del vivere e la completa distruzione del nostro passato per inseguire un futuro carico di incognite.

Questa la dettagliata e più che lusinghiera motivazione con cui il premio gli è stato meritatamente assegnato: «L’opera L’attesa di Mattia Isaac Renda ci porta con delicatezza, a distanza di molti anni, in quel mondo rurale raccontato da De Seta attraverso le sue opere del Mondo perduto. In quei luoghi, però, non si celebrano funerali e non si riesumano salme. Piuttosto, gli oggetti, le pietre, i segni impressi dal tempo, come testimoni vivi, parlano alle nostre coscienze. Così le immagini, che non necessitano di essere accompagnate da parole, si fanno messaggere di suoni, di vite, di memorie. Esse testimoniano le assenze, le colpe, le mancanze nei confronti di un mondo, quello contadino che, così come denunciato con acume e lungimiranza dal maestro Vittorio De Seta, è stato colpevolmente e velocemente accantonato, insieme alla cultura popolare che lo animava. Colpisce che a veicolare tali emozioni sia l’opera di un autore così giovane che con sensibilità lancia un monito a noi tutti, nell’attesa, forse, che una nuova consapevolezza consenta ai luoghi narrati di trovare nuovo ascolto e, forse, anche una nuova vita».
La considerazione che Mattia Isaac Renda ha solo 21 anni e la constatazione che questa – seppure dimostri una grande maturità e una notevole padronanza del linguaggio filmico – è pur sempre la sua opera prima, così come l’accostamento a un grandissimo maestro come Vittorio De Seta, lasciano senz’altro ben sperare per il suo futuro personale e per quello di tutto il movimento del cinema calabrese.
Raffaele Cardamone