Ho conosciuto Adelina [1] in un giorno d’estate di qualche anno fa e nel corso del tempo innumerevoli sono stati i nostri incontri, intrisi di umanità e, a volte, di malinconie e strazianti silenzi. Non c’era volta che, quando entravo a casa sua, non mi emozionavo, dicevo a me stesso: “tu così piccolo davanti ad una donna così tanto grande!”. Certo che ero piccolo [2] di fronte all’immenso supplizio di una mamma che la mattina del 23 dicembre 1961 aveva perso il suo unico figlio, Domenico, morto a 15 anni con la speranza di divenire ingegnere. Era il suo futuro, la sua linfa vitale, la sua ragion d’essere! Ben 71 esseri umani, 31 di questi di Decollatura, quasi tutti adolescenti, non hanno fatto più rientro a casa dai loro affetti più cari e amorevoli, a causa del salto nel vuoto e dello schianto di quel treno rimorchio precipitato dal viadotto della Fiumarella.
Sul suo volto distrutto dal dolore più grande si intravedeva un’apparente serenità, un sorriso gentile e ben disposto, che nonostante tutto le era rimasto come tratto distintivo della sua persona. Per lei, così come per tutte le altre mamme e familiari, il tempo si è fermato per sempre a quell’antivigilia di Natale. Il dolore si è sedimentato declinandosi in un modo di pensare e di essere. Pensiamo che, Adelina ha mantenuto intatta e immacolata la stanza del figlio, con il lettino sistemato e pronto ad accogliere un suo improbabile ritorno. Lei che, dopo quasi sessant’anni sulle federe dei cuscini ancora ricamava le iniziali del suo fiore più bello: D. P. – Domenico Potente – No, una mamma non può dimenticarsi di un figlio, mai! Nemmeno se non è fisicamente più presente.
Nel mio libro, I ragazzi della Fiumarella, rieditato a dicembre 2019 per la sua ottava ristampa in una nuova veste grafica e contenutistica, affermava: “Sono partiti per andare a salutare i professori e non sono tornati più! (…) Mio figlio inventava barzellette e formulava indovinelli; non mi ha mai dato problemi, per questo, con la nonna, gli regalammo la televisione! Faceva le passeggiate, giri con la bicicletta e sull’altalena. Cantava, suonava, possedeva un giradischi, gli piaceva giocare a calcio e quando segnava gli facevamo il battimano! (…) La mattina del 23 lo chiamarono – ‘Micuzzu andiamo che perdiamo la littorina!’ – Lo avvertii dicendogli di alzarsi che erano passati i suoi compagni – ‘Vai che la perdi!’ – Si sbrigò e non si mise neppure la catenina che di solito si toglieva, perché, mentre dormiva rischiava di spezzarla, la lasciò sul comodino. Uscì in fretta, scappando, fece giusto in tempo a darmi un bacino. Il nostro ultimo bacino! Mi sentii in colpa per averlo chiamato, forse se non l’avessi fatto sarebbe qui. Mi rimase questa sensazione! (…) Mi manca il suo sorriso, mi diceva: giochiamo a carte? Pur essendo impegnata mi prestavo, perché sapevo che mi avrebbe stretto con tanto amore. Se qualcuno, per una sola volta ancora, gli desse l’opportunità di tornare qui da me, gli direi ‘bentornato’…” [3]
Penso a quante volte avrà sognato il suo “Micuzzu” e la notte di Pasqua del Signore 2020, proprio nel sonno è andata via. Si, ne sono convinto, l’amato figlio è venuto a chiamarla! Dopo averla baciata, le avrà sussurrato: “mamma vieni, ti sto aspettando…”. Lei non attendeva che questo momento… Una delle ultime volte mi disse “sta aspettandu a mie /sta aspettando me”. Adesso Adelina è con lui. Adesso sono insieme. Adesso dopo quasi sessant’anni sono felici, sono in Paradiso.
Alla memoria dei ragazzi della Fiumarella, di coloro i quali sono diventati per me dei compagni di viaggio. Alle loro amate e mai dimenticate mamme. A chi continua ad amarli e a ricordarli per sempre.