I paesi della Calabria, fino ad un recente passato, venivano identificati anche per il caratteristico vestito femminile, più noto come ‘u costume e pacchiana’, che differenziandosi da comunità a comunità, caratterizzava l’area geografica d’appartenenza. Il vestito delle donne della Calabria centro-settentrionale era caratterizzato dal colore rosso purpureo del panno, quello indossato dalle donne della Calabria meridionale dal colore azzurro, mentre per quello di origine arbreshè era dominante il colore scarlatto.
Nel XVII secolo la donna appartenente al ceto medio, che indossava il tradizionale costume calabrese prende il nome di “pacchiana: se indossato quotidianamente, era detto “da tutti i giorni”, “da festa” se indossato nelle occasioni più gioiose, come matrimoni e battesimi, “da lutto” se indossato dopo la perdita di un caro. In alcuni paesi, come Tiriolo, vi era anche la differenza tra vestito “da nubile ” e vestito “da coniugata“.
Con l’emigrazione dall’Italia meridionale, dopo la fine della seconda guerra mondiale (1945), le donne cominciarono a cambiare abbigliamento, preferendo adeguarsi ad un genere più comodo, anche se una piccola parte di esse ha continuato ad indossare ‘u costume e pacchiana’ per tutta la vita, scomparendo quasi definitivamente ai nostri giorni.
Nell’anno 2002 nasce l’idea da parte dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Tiriolo (guidato da chi scrive), accolta immediatamente dal sindaco Domenico Stefano Greco e fatta propria dall’amministrazione comunale, di iniziare a raccogliere i costumi calabresi in una struttura museale, lavorando su un progetto finalizzato alla creazione di un Museo del costume tradizionale calabrese.
Ci si accorse in quel periodo che l’attenzione e la vivace curiosità dei visitatori, in occasione delle visite presso il Museo Archeologico di Tiriolo, ricadeva su un vestito tradizionale tiriolese esposto in un locale adiacente, e narrato da tanti viaggiatori italiani e stranieri fin dal Settecento per la bellezza del “vancale”, che avvolgeva le spalle della donna.
Il Museo del costume tradizionale calabrese, cofinanziato dalla Regione Calabria, dalla Provincia di Catanzaro e dalla Comunità Montana dei Monti Reventino – Tiriolo – Mancuso, inaugurato il 13 maggio del 2006, alla presenza del Prof. Luigi Maria Lombardi Satriani, valorizza una parte del patrimonio etnografico appartenente alla storia della Calabria e dell’Italia meridionale.
Alcuni dei costumi esposti nel Museo del costume tradizionale calabrese sono originali, altri sono fedelmente riprodotti, attraverso la cucitura a mano, dalla maestra artigiana tessile Mirella Leone con la collaborazione scientifica dello studioso Tommaso Leone. Sono esposti i costumi di: Tiriolo (nubile – matrimoniale – festivo – giornaliero – lutto), Gimigliano (festivo), Castrovillari (festivo), Caraffa di Catanzaro (festivo), Guardia Piemontese (festivo), Settingiano (festivo), Marcellinara (festivo), San Pietro Apostolo (festivo), Miglierina (festivo), Curinga (festivo), Gagliano (festivo), Cortale (festivo), Lamezia Terme (festivo), San Floro (festivo), Petrizzi (festivo), Nocera Terinese (festivo), Serrastretta (festivo) e Stalettì (festivo).
Il Museo dà la possibilità al visitatore di viaggiare con la fantasia nel tempo, in quel tempo dove le donne, oltre ad essere belle, sfoggiavano vestiti di una eleganza e ricercatezza unica.
Gli abiti femminili erano, in quel periodo, il frutto del lavoro sartoriale della donna calabrese che si dedicava, tra le altre cose, a curare l’aspetto estetico legato all’abbigliamento.
Il vestito doveva essere, soprattutto nei giorni di festa, bello, radioso e vivace. Cucito e ricamato con pizzi, orli e merletti, trovando in esso armonia vari tessuti, come la lana, il velluto, il lino, il cotone e la seta. Il Museo merita di essere visitato sia per la bellezza dei costumi tradizionali calabresi in esso esposti, dando la possibilità a chi lo visita di trascorrere una piacevole giornata, sia per approfondire un periodo della storia calabrese e dell’Italia meridionale. Il Museo del costume tradizionale calabrese può diventare il centro di aggregazione di etnografi per lo studio e gli approfondimenti degli usi, dei costumi e delle tradizioni popolari calabresi.
di Luigi Guzzo