Alcuni uomini si lasciano dietro le spalle grandi storie e, quando se ne vanno, per nostra fortuna non le portano con sé, ma ce le lasciano in eredità. La storia di Peppino Leo è legata a filo doppio con il lanificio che porta il suo nome. Oggi un mirabile esempio di archeologia industriale che ha la peculiarità di essere perfettamente funzionante e felicemente riconvertito in un’attività produttiva più che moderna, futuribile, che mira al design e alla riscoperta di una tradizione continuamente reinterpretata e piegata alle esigenze della creatività. Un progetto del figlio Emilio Salvatore, che lui aveva evidentemente condiviso e aiutato a sviluppare.
Una visita al Lanificio Leo, fino ad appena qualche anno fa, significava vederlo letteralmente saettare tra le sue macchine, metterle in funzione con una sapienza accumulata negli anni e una manualità che conservava anche in età avanzata, per farle ammirare con orgoglio e ammirarle lui stesso con quel suo sguardo sempre capace di meraviglia.
E quelle macchine hanno realizzato cose che ora gli sopravvivono. In tutte le case di Soveria Mannelli c’è almeno una coperta del vecchio lanificio, con i suoi bei disegni arabescati, che ai tempi era spesso l’unico rimedio per i nostri inverni rigidi di montagna. E nessun visitatore andava via da qui senza un tessuto del lanificio. Così ora, questi atomi, frutto del suo “fare”, sono sparsi per il paese, per la Calabria, per l’Italia, forse per il mondo, come segni tangibili del suo viaggio su questa Terra.
Nella foto che rappresenta un passaggio di consegne del “luogo” lanificio, tra padre e figlio, tra Peppino ed Emilio Salvatore, provocatoriamente la parola “tradizione” è stampigliata sulla mano del figlio, la nuova generazione, e la parola “innovazione” su quella del padre, in un incrocio simbolico e simbiotico di saperi, progetti, sogni.
È da qui che bisogna partire per scoprire o riscoprire la storia che Peppino ci lascia in eredità, che ha trascritto nelle trame infinite dei suoi tessuti, fino a essere parte di un futuro che forse lui stesso non avrebbe mai osato immaginare.
Raffaele Cardamone