Caro Tito, fin dall’adolescenza sono stato un “centralino” o, meglio dire, un frequente punto di riferimento per miei coetanei ed amici, specialmente per chi desiderava avere una consulenza o un aiuto socio-culturale o soltanto un momento di ascolto. Finora ho cercato di soddisfare tutte le richieste, a costo di lasciare indietro la mia attività personale e non solo. A parte questa mia attività di “volontariato altruistico”, sento anche l’esigenza personale di portare avanti personaggi e temi a me particolarmente cari e significativi del territorio, ricordando la mia missione di “fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (per come percepita fin dall’età di 17 anni, settembre 1967).
Così, in questi ultimi mesi ho ricevuto tanta posta (cartacea ed elettronica) di persone che, in maniera implicita o palese, mi hanno chiesto di trattare delle loro iniziative in queste nostre “Lettere”. Poiché ho sempre agito in modo del tutto gratuito e spesso persino eccessivamente generoso, mi sono sempre trovato ingolfato di impegni da soddisfare a favore di altri, quasi sempre tralasciando lavori miei, pure assai importanti. Cosa che finora ho fatto – in verità – con vero piacere, lieto di rendermi utile. Mi sono sempre socializzato!… Ed ho creduto nella condivisione e nella “giustizia” pure in queste cose!
Adesso, però, le forze psico-fisiche sono sempre di più insufficienti alla bisogna e quelle residue non mi permettono nemmeno di aiutare me stesso, per cui d’ora in poi non potrò essere più disponibile come prima a prestare tutta l’attenzione che vorrei. Giungo a ciò con molto dispiacere, ma, purtroppo, l’età e gli anni sono tali che, per forza di cose seppur malvolentieri, mi impongono un’esistenza più leggera ed essenziale. Mi tocca, dunque, spendere questa “Lettera n. 322 – Miscellanea” per dare visibilità e soddisfazione almeno minime ad alcuni di coloro i quali (amici, semplici conoscenti o addirittura sconosciuti) si aspettano un qualche gesto di attenzione da parte mia. E mi tocca chiedere loro scusa se non posso proprio fare di più. Ma – resti chiaro – ogni singolo argomento (qui ospitato in un necessariamente breve paragrafo) avrebbe meritato una “Lettera” a sé stante.
Le persone, i personaggi, le iniziative e gli argomenti da trattare e da evidenziare sono comunque così tanti che adesso mi tocca fare più di una puntata di MISCELLANEA. Ho più volte detto e scritto che dovrebbero essere le Istituzioni ad occuparsi di dare visibilità ai propri cittadini che andrebbero valorizzati per un migliore e maggiore bene e vantaggio comune.
Purtroppo, la nostra società (specialmente meridionale e calabrese, in particolare) non è organizzata in modo tale da dare “istituzionalmente” visibilità all’opera delle persone o delle associazioni, specialmente quando si tratta di attività di volontariato. E ho notato, in 60 anni di esperienza e partecipazione sociale, che nemmeno gli Enti locali, regionali e nazionali (con portafoglio, potremmo dire) hanno sistemi efficaci o metodi vantaggiosi di auto-promozione o di valorizzazione degli amministrati nel loro contesto. Ciò è dovuto a numerosi motivi, primo tra tutti una indolenza atavica che si porta dietro tutti gli altri difetti. Un secondo e condizionante motivo è dovuto alla “partitocrazia” e al più forte settarismo di categoria, secondo cui devono giovarsi soltanto gli associati, gli amici e gli amici degli amici.
Atteggiamenti cui non sono estranei i molteplici aspetti della corruzione. Personalmente ho sempre lavorato, in tutta la mia Wita, per realizzare una Politica “universale” che ci occupi indistintamente di tutti, anche nella Cultura. Ma ho sempre trovato consorterie, razzismi ed egoismi. In una parola, ho trovato “Spolitica”.
1 – LA SPOLITICA
Sulla natura ed il ruolo della Politica (con la P maiuscola) si sono interrogati, in ogni tempo e luogo, piccole e grandi menti (persino le più eccelse), le quali (in gran parte) hanno convenuto (spesso le une inconsapevoli delle altre) che la Politica possa e debba essere (ed in effetti è) l’Arte più completa e importante per i destini della società ma anche dell’intero genere umano. Purtroppo, la Storia ci dimostra che tale Arte viene ignorata quasi sempre; spesso per fare il contrario di ciò che sarebbe meglio fare.
In tal caso potremmo definirla non Politica bensì … “Spolitica”… i cui esempi sono molteplici e all’ordine del giorno, poiché provoca troppa sofferenza e spesso veri e propri disastri, tali che è necessario “ricostruire” quanto precedentemente distrutto con i crimini commessi.
Alcuni, per auto-giustificare la malafede, affermano che la politica sia “l’arte del possibile”.
Cosa certamente vero quando sono contrapposti interessi estranei ai compiti della equa amministrazione delle nazioni e dei popoli così come delle comunità e delle persone. In pratica la “Spolitica” stravolge a propri tristi scopi e interessi la realtà e la verità, ovvero travolge e convolge il bene di tutti.
2 – LA CULTURA NEGATA
Ormai è sufficientemente provato che tutto o quasi dipende dalla “buona o dalla cattiva cultura” di una persona, di una generazione, di un popolo, di un insieme di popoli e di civiltà. Finora ho notato che prima nemica della Cultura è proprio la Spolitica. La quale fa di tutto e di più per smantellare il pensiero che presiede le nobili azioni di ognuno, asservendolo alle degenerazioni della Politica e del conseguente Potere come dispotismo o semplice prevaricazione o colpevole indolenza o dolosa corruzione (con tutto ciò che deriva in assoluto e nella nostra vita quotidiana). Le istituzioni mostrano una “cultura di facciata” o strumentale al clientelismo “spartitico”.
Nella sostanza c’è una vera e propria discriminazione ed un quasi razzismo socio-culturale che fa addirittura paura. Quasi una dittatura. Ad esempio, in genere nei mass-media, in particolare nelle TV pubbliche o private, ad apparire e a parlare sono sempre gli stessi (quasi come “gerarchi” inamovibili di un sistema). Pure per questo mi sono sempre impegnato per dare (nel mio piccolissimo e per quanto mi è stato possibile) spazio e visibilità a coloro che non hanno modo o voce di espressione socio-culturale.
C’è una “Cultura negata” sia come fruizione che come espressione partecipata. Un Paese del genere non può andare lontano, anche se si vanta e si gloria di avere tanta Cultura, anche se spiffera ai quattro venti che la Cultura è o dovrebbe essere base della “coesione e identità” di un intero popolo e la prima industria nazionale, tràino per altre industrie importati come il turismo, i servizi, l’agricoltura e un immenso indotto. Il tallone della Spolitica si fa sentire proprio sulla Cultura, che ogni Potere sente pericolosa se non la può controllare capillarmente, chiudendola nei recinti del tornaconto spartitico-clientelare.
3 – ASSASSINI e MAGISTRATURA SANITARIA
La stessa cosa sta accadendo ormai da decenni con il diritto-dovere alla salute, nonostante pare sia espressamente garantito dalla nostra Costituzione. Infatti l’articolo 32 è tanto eloquente quanto snobbato e tradito. E lo stiamo verificando da tempo e specialmente adesso con la pandemia del Covid-19. Il precedente folle smantellamento del sistema sanitario nazionale pubblico (spesso a beneficio di privati) ha prodotto non soltanto enormi disagi alle popolazioni colpite dai tagli, ma alla fine ha penalizzato l’intero “sistema-Paese” a tal punto che si sarebbero potute e dovute evitare tantissime morti sia nell’ordinario quotidiano che nello straordinario del Covid-19.
Ci sono dei responsabili di queste morti che non pagheranno mai per i loro crimini, essendo l’ambiente sanitario praticamente una “zona franca” e persino troppo omertosa, mentre invece andrebbero prevenute e perseguite le carenze che generano le morti evitabili. Dobbiamo impegnarci tutti a difendere il Sistema Sanitario Nazionale pubblico, pur lasciando ai privati la loro giusta dimensione e non lo strapotere che esercitano a danno di tantissimi cittadini, specialmente quelli inermi e più poveri che pagano il maggior prezzo di sofferenze e di morti evitabilissimi. Lo notiamo specialmente adesso con la gestione del Covid-19. E ci sono già le prime clamorose proteste dei familiari delle vittime, cui nessuno chiederà perdono o darà risarcimenti e conforto.
Con la salute, la vita e la morte delle persone e delle comunità non si gioca e non si scherza, assolutamente, altrimenti si diventa criminali! Ed oggi ci sono pure i “criminali del Covid”. E poiché, a mio parere, non bastano i N.A.S. (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) dei Carabinieri, sono decenni che invoco (anche attraverso ripetuti articoli giornalistici) l’istituzione di una vera e propria “MAGISTRATURA SANITARIA” che controlli, direttamente in presenza, strutture, carenze di protocollo e controllo, persino gli interventi chirurgici e quanto altro sia necessario per evitare morti inutili in corsia, nelle sale operatorie e per altri motivi.
Si pensi alle infezioni ospedaliere, alle colpevoli o colpose inefficienze che sono alla base di migliaia di decessi l’anno, molti dei quali evitabilissimi. A fronte di tanti operatori sanitari scrupolosi e lodevoli (a volte veri e propri eroi come nel combattere il Covid) ci sono però pochi ma pericolosi soggetti che provocano, direttamente o indirettamente, lesioni o morti improprie. Pure nella sanità ci sono veri e propri “assassini” che vanno scovati e allontanati, pure per salvaguardare l’onorabilità e la dignità degli onesti. Gli assassini non sono soltanto alcuni “camici bianchi” ma anche e soprattutto i burocrati della Sanità, così come in altri settori della vita sociale, come, ad esempio, nei luoghi di lavoro. Ritengo che bisognerebbe effettuare una rigorosa ricognizione di personale e situazioni critiche che producono vittime in ogni settore lavorativo. Sarebbe interesse pure delle società di assicurazione intervenire a riguardo, oltre che dei sindacati e di altre “presenze” di garanzia.
4 – ANGELO PALOMBA
Nel pomeriggio di venerdì scorso 05 marzo 2021 a Poggio Sannita (Isernia), a 12 km circa da casa mia, si sono svolti i funerali del “postino” Angelo Palomba, il quale, morto prematuramente per Covid a 53 anni, ha lasciato moglie e due figli in tenera età. Voglio ricordarlo pure qui, non soltanto perché vittima della pandemia (presumo a causa del suo lavoro porta a porta), ma soprattutto per la nostra vecchia amicizia e per il suo essere stato davvero un’ottima persona, sempre molto disponibile e generosa, sorridente e cordiale.
Tanto è che questa perdita ha commosso davvero molto le comunità di Poggio (dove viveva con la famiglia e il fratello Tonino, già sindaco del paese) e di Agnone (dove lavorava nella distribuzione della corrispondenza, passando per tanti anni pure dal mio condominio). Ritengo che bisognerà istituire un “Tribunale Covid-19” per accertare responsabilità sulle morti dubbie o palesemente accertate per dolo o imperizia, sia a livello sanitario che amministrativo ed organizzativo. Un Tribunale come quello di Norimberga per i crimini di guerra, dal momento che tale pandemìa sta producendo in tutto il mondo danni e vittime proprio come in una guerra.
Ciò andrebbe esteso pure per le speculazioni assassine dei vaccini e di altre situazioni che giocano con la salute e la vita delle persone.
5 – CONCETTA CARIOTI
Caro Tito, in questo e nei prossimi due paragrafi, ti presento la testimonianza di tre carissime amiche della signora Angelina Pàparo di cui ho riportato il racconto dei cinque anni trascorsi come “mondina” in una cascina nella cintura periferica nord di Milano dal 1958 al 1962 dove lavoravano anche numerose altre giovani donne del nostro comprensorio di Soverato.
Mi riferisco, in particolare a quanto scritto ed evidenziato in << https://www.costajonicaweb.it/lettere-a-tito-n-320-la-difficile-emigrazione-femminile-matrimoniale-e-contadina-in-italia-da-sud-a-nord-1945-1985/ >> che hai pubblicato alle ore 19.44 di mercoledì 24 febbraio 2021. Così ti presento, qui di sèguito e in ordine d’intervista, Concetta Carioti, Pina Dolce e Pina Procopio. Tutte hanno confermato, per filo e per segno, quanto mi aveva già raccontato Angelina Pàparo, magari con qualche particolare personale in più.
Comincio con il presentarti la signora Concetta Cariòti (nata a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio il 10 febbraio 1942). Nella conversazione telefonica di venerdì 05 marzo 2021 (dalle ore 17.10 per 28 minuti e 34 secondi) mi ha confermato in tutto e per tutto ciò che mi aveva detto la signora Angelina Pàparo riguardo la loro permanenza come “mondine” da marzo a novembre per alcuni anni nella grande (innominata ed innominabile) grande azienda agricola sita nell’hinterland nord di Milano, tra la seconda metà degli anni cinquanta e la prima metà degli anni sessanta dello scorso secolo 20°.
Concetta Cariòti, spinta dall’intermediario signor Totino (che pare essere dello stesso suo paese di Sant’Andrea e non di San Sostene), ha partecipato alla prima stagione degli orti nel 1956, quando aveva appena 14 anni. Mi dice sùbito che ha la schiena rovinata proprio dai lavori agricoli, iniziati già all’età di 9 anni quando, al sèguito di sua madre e di altre donne del paese, si recava a raccogliere olive nelle piantagioni di Cirò, nel crotonese (a 150 km circa da casa).
Dei cinque anni trascorsi nella “ortaia” milanese ricorda la nebbia (“non ti vedevi da un metro all’altro, l’una con l’altra mentre lavoravamo!”), il freddo e il gelo e soprattutto le suore severe ed inflessibili che trasformavano in un “carcere” quella loro residenza in cascina, per nove lunghi mesi. Mi dice di quando una suora costrinse la sorella Sara a cambiare il reggiseno poiché (a suo dire) quello che aveva la rendeva molto provocante (e pensare che Sara non poteva essere comunque vista da altri se non dalle sole donne residenti in cascina!) …. ma quelli erano gli anni, quella la mentalità (soprattutto cattolica-monacale).
La signora Concetta insiste nel dirmi che ai suoi tempi (anni 50 e 60) c’era tanta povertà ma anche molta onestà, educazione, rispetto ed armonia tra le persone. E pure lei (come la signora Angelina) tornava a lavorare ogni anno in quella cascina-carcere (nonostante tutti i ben noti sacrifici) per il solo gusto di stare in compagnia di quell’affezionato gruppo di donne della nostra zona jonica tra Badolato e Davoli. Viva la bella Amicizia!
Devo dirti, caro Tito, che mi ha commosso enormemente questa voglia di bell’amicizia, di complicità tutta femminile e di solidarietà comunitaria tra queste nostre ragazze joniche della generazione dei troppo difficili anni 50-60, quando c’era molta povertà e, a volte, anche fame, ma tanta voglia di vivere, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.
Tanto è che lei, raccoglitrice di olive a Cirò ad appena 9 anni di età, era costretta (in mancanza di altro) a mangiare il cibo degli adulti, ovvero quel “biancomangiare” o “bianchetto” fatto di micro-pesciolini in salsa molto piccante (detta << sardella >> oppure << ‘nduja del mare >> o << caviale dei poveri >> o anche << rosamarina >>). Concetta Cariòti si è poi sposata a 20 anni, nel 1962.
Ci tiene a dare, tramite me, un messaggio ai giovani d’oggi … “ che hanno tutto ma sperperano la loro gioventù, in vizi e divertimenti, mentre la sua generazione ha dovuto patire troppo per poter sopravvivere e farsi una famiglia ed una posizione dignitosa”. E me lo dice con voce assai concitata ed accorata: << Siano più morigerati e si impegnino per sé stessi, la propria famiglia ed il proprio paese e non vadano dietro le mode del momento ma siano essenziali, senza abbandonare i valori degli anziani e, in particolare, di coloro che la vita l’hanno sofferta più di tutti e sanno che sapore ha il pane >>.
Devo ricordare che quella della signora Concetta Carioti, di Agelina Paparo, di Pina Dolce e di Pina Procopio è la generazione della “ricostruzione post-bellica dell’Italia” e artefice del cosiddetto “boom economico” (o “miracolo economico”) specialmente del Nord Italia!?…
6 – PINA DOLCE
E’ stata la preferita e continua ad essere ancora la migliore “amica del cuore” della signora Angelina Pàparo, sua collega di lavoro alla Cascina lombarda dal 1958 al 1960. “Sembravamo fidanzate” – mi dice divertita e sorridendo sonoramente al telefono – “Guai a chi me la toccava!… Non potevamo fare a meno l’una dell’altra. E’ davvero una bella e lunghissima storia di amicizia! Eravamo meglio di sorelle”.
Pure adesso, che gli anni sono diventati molto pesanti, si sentono spesso per telefono, ma in passato, quando la salute l’accompagnava, Pina Dolce dalla Lombardia (dove vive con la famiglia ormai da oltre 60 anni) trascorreva il periodo delle ferie a Badolato pure perché il 14 gennaio 1961 aveva sposato il badolatese Pasquale Garretta, con cui ha avuto cinque figlie. La signora Pina non sta molto bene, infatti al telefono la sentivo affaticata ed ho potuto parlare con lei soltanto 13 minuti e 31 secondi dalle ore 18.31 di domenica 07 marzo 2021, però è stato un tempo sufficiente per capire come e quanto sia sempre stata assai importante l’amicizia tra lei e Angelina Pàparo, verso la quale era protettiva negli anni trascorsi all’ortaia milanese, con i suoi quasi 4 anni in più, essendo nata il 29 dicembre 1940 (a Cutro, dove sua madre lavorava nelle terre del Marchesato, pur essendo di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio).
Nella Cascina degli orti Pina ci ha passato ben 7 anni, fin da ragazzina, dedicando a quel lavoro la sua migliore giovinezza (mi dice). Pure lei ci tornava per la forte e bella amicizia che aveva con Angelina e con le altre ragazze della nostra zona jonica. Faceva il lavoro delle altre mondine, ma un’ora prima staccava per andare in cucina ad aiutare le suore a preparare il pranzo o la cena per tutte le altre. Mi ha detto che il menù era deciso dai proprietari e dalle suore.
Mai, comunque, un dolce o altra minima gratificazione gastronomica, nemmeno a Pasqua o a Ferragosto! Pina ha sempre amato il quieto vivere ed essendo conciliante (oggi diremmo “diplomatica”) non ha avuto scontri con le suore anche se erano troppo rigide come in una qualsiasi famiglia patriarcale di quegli anni cinquanta-sessanta.
7 – PINA PROCOPIO
Caro Tito, domenica 07 marzo 2021 dalle ore 17.36 per 44 minuti e 57 secondi sono stato al telefono con la signora Pina Procopio nata a San Sostene (paese del nostro comprensorio di Soverato, a pochi km da Badolato) il 14 settembre 1935. Sposatasi a 18 anni nel 1953 e rimasta vedova con un figlio, si è poi risposata il 22 febbraio 1960 con un cugino (nato il 01 aprile 1933) da cui ha avuto due figli. Vive ancora a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. E’ rimasta vedova pure del secondo marito il 18 ottobre 2018.
Per due stagioni (1958 e 1959) ha lavorato alla stessa ortaia milanese con l’allora quattordicenne Angelina Pàparo con la quale non si è mai interrotta una davvero tanto splendida amicizia … “grandi amiche sempre” – mi dice – “ma ci volevamo bene con tutte le altre colleghe di lavoro!… L’amicizia e la solidarietà ci tenevano unite pure per superare i grandi sacrifici e le restrizioni di quella cascina-caserma che somigliava più ad un carcere che ad un luogo di lavoro. Con me lavorava pure mia sorella Rosa (1938 – 2018) la quale è stata quella che più di altre si ribellava al dispotismo delle suore, noncurante che le venivano comminate multe con il conseguente decurtamento della paga. Le suore, tra l’altro, avevano il pallino o forse il preciso compito di cercare, tra noi giovani donne, qualcuno che si facesse monaca come loro. Ci hanno tentato, ma invano, con tutte e specialmente con le nostre più ìntime amiche Angelina Pàparo e Pina Dolce!”.
La signora Pina Procopio mi racconta dei grandi problemi affrontati in tutta la sua vita. Da bambina ha sofferto la guerra e nel milanese i grandi sacrifici del lavoro, della precarietà abitativa e il “razzismo permanente” (come lo definisce, quasi che essere meridionale fosse un marchio indelebile e costante).
Le dico che ne so qualcosa pure io per quel poco tempo in cui, da ragazzo, sono stato in Lombardia, a Desenzano (1960-61) e poi proprio Sesto San Giovanni (in vari periodi e situazioni dal 1963 al 1966). Mi ha riferito che negli anni dell’ortaia tra lavoratrici meridionali e lombarde c’era poco dialogo, pure perché le une non capivano il dialetto delle altre e quindi, a volte si creavano degli equivoci sulle parole dal diverso significato per le une o per le altre (ad esempio “vacca” nel sud e “mucca” al nord).
A parte i costanti insulti “razzistici” verso le meridionali. Parlavano e davano ordini in dialetto persino il padrone e le caposquadra. Insomma era un’Italia che non riusciva capirsi e ad integrarsi in quei difficili e caotici anni sessanta del 20° secolo, a distanza da un secolo dalla cosiddetta “unità d’Italia”. Ma questa situazione era ancora presente nel febbraio 1976 quando ho fatto il servizio militare di leva e nella caserma del C.A.R. di Cosenza c’erano ragazzi di ogni parte d’Italia che, in buona parte, parlavano il dialetto e spesso si sentiva qualcuno dire a qualche altro “Ma parla tricolore! (cioè italiano).
Tra le cose che non erano emerse dalle conversazioni con Angelina Paparo, Concetta Carioti e Pina Dolce, la signora Pina Procopio mi ha detto che nell’ortaia lo stacco dal lavoro veniva dato da una sirena come in fabbrica. Dopo i due anni trascorsi come “mondina” e dopo il secondo matrimonio del 1960, Pina Procopio ha lavorato nei servizi manutentivi della Breda Siderurgica, dove il marito era operaio. Ma siccome allora la vita degli operai era assai grama per i bassi stipendi e per l’esagerato costo della vita in città, il marito era costretto a fare due lavori pure al fine di pagare il mutuo dell’appartamento.
Le dico che pure a Badolato mio padre a quei tempi doveva fare un doppio lavoro per poter campare la famiglia. Per gli operai non c’era (allora come adesso, alla fin fine) alcuna differenza nella pur forte discriminazione tra Nord e Sud. Un divario che tuttora non si tenta nemmeno di ridurre, figuriamoci se “colmare” come sarebbe opportuno e giusto!…
Infine, tengo a ribadire ciò che ho accennato nella “Lettera n. 320” … se la signora Angelina Pàparo fosse stata aiutata (dallo Stato o da privati), sicuramente avrebbe potuto diventare una grande manager per come, in seguito, ha dimostrato di saper creare e gestire una qualsiasi attività che (se localizzata, ad esempio, a Milano o altra città della Padania) sarebbe diventata una vera e propria industria con centinaia di dipendenti.
Infatti, dopo l’esperienza dell’ortaia, Angela Pàparo e Pina Procopio si sono riviste, entrambe sposate, a Sesto San Giovanni e si sono inventate il lavoro di ripulire i cantieri edili (specialmente gli appartamenti appena terminati) da piccoli e grandi detriti lasciati dalle ditte di costruzioni. Per dire quale fosse il loro successo anche economico, le due donne guadagnavano singolarmente con il metodo del cottimo da tre a quattro volte lo stipendio mensile dei rispettivi mariti. Ma quelli degli anni sessanta erano ancora tempi in cui non si concepiva la donna imprenditrice, la quale doveva essere pure moglie, madre e casalinga. Ruoli inconciliabili con il lavoro imprenditoriale.
Ragion per cui, entrambe le amiche, Angelina e Pina, hanno dovuto desistere dal proseguire quell’attività che rendeva molto economicamente ma che non era ancora sostenuta né dalla mentalità né da efficienti servizi sociali a sostegno di lavoratori e famiglie. Tuttavia hanno dimostrato le loro capacità imprenditoriali e di concreta forte indipendenza economica. Altri tempi!
8 – VOLUME SUI GRUPPI MUSICALI 1964-1969
E’ appena stato pubblicato (ed è fresco di stampa da Color Art spa di Rodengo Saiano, Brescia) il primo volume dell’enciclopedia << I COMPLESSI MUSICALI ITALIANI, la loro storia attraverso le immagini >> che è stato scritto da Maurizio Maiotti (pure editore) e Graziano Dal Maso, dedicato ai gruppi i cui nomi iniziano con la lettera A per gli anni “1964 – 1969”. Composto da ben 608 pagine in formato cm 24 x 28, evidenzia 307 schede di band musicali di provincia con migliaia di fotografie d’epoca e la storia della musica e del costume sociale di quei mitici anni. Di tale enciclopedia sono già usciti i primi due volumi (anni 1944-1963), adesso in via di esaurimento. Magari ne scriverò più lungamente in una apposita lettera, poiché è un’opera assai importante per quella che io chiamo LA GENERAZIONE MUSICA (vale a dire la mia generazione che è cresciuta a “pane e musica” specialmente dagli anni sessanta in poi).
Qui mi limito a segnalare di aver scritto la scheda relativa alla Calabria, che si trova alle pagine 96-97 dove, tra tanto altro, ricordo il famoso complesso de I BRUZI di Nicastro (CZ), L’ORCHESTRA MUNIZZA di Catanzaro città, I JOKERS di Marina di Gioiosa Jonica (RC), ULISSE E LE OMBRE (cioè la band di Pino Ranieri di Catanzaro), IL QUINTETTO INTERNAZIONALE del cosentino Rocco Granata (autore della famosa canzone “Marina” cantata pure da Mina) ed ho accennato anche al mio complesso degli EURO UNIVERSAL, nonché a quello delle QUINTE COLONNE, entrambi di Badolato Marina.
Chiudo rivolgendo un appello a quei complessi musicali che sono stati attivi negli anni 1960 – 80 … Per essere inseriti con testo e foto in tale enciclopedia si rivolgano prima possibile all’editore Maurizio MAIOTTI – Viale Certosa 299 – 20151 Milano (telefono 349-2268370 [email protected]) oppure al coautore Graziano Del Maso tel. 333-1351115 ([email protected]), presente pure su Facebook come “Complessi beat italiani”.
9 – PASQUALE BARONE E NATUZZA A PARAVATI
<< A Mimmo e Bambina, per cercare le radici del mistero di Natuzza Evolo, dalla parte alta in Cielo … e dalla parte bassa nella storia di Paravati sullo sfondo religioso e sociale della Calabria e del Sud più profondo. Sac. Pasquale Barone. Paravati, 25 giugno 2018 ore 15.00 >> Questa è la dedica autografa che leggo ancora nella prima pagina bianca del libro “TESTIMONE DI UN MISTERO” scritto dallo stesso don Pasquale Barone e dato alle stampe da Adhoc Edizioni di Vibo Valentia nel giugno 2013. In questo volume di 314 pagine, l’Autore racconta, in modo autobiografico e con sincerità disarmante, il suo essere stato molto vicino per decenni (anche come confessore) alla signora Natuzza Evolo, la nota veggente e mistica calabrese di Paravati, un piccolo borgo, frazione del Comune della Città di Mileto, prima capitale dei Normanni attorno al 1080, oggi in provincia di Vibo (ex provincia di Catanzaro).
Don Pasquale Barone, in quel caldo pomeriggio di lunedì 25 giugno 2018, ha accompagnato me, mia moglie ed un gruppo di pellegrini siciliani a visitare i luoghi della nota mistica Natuzza: la casa, la cappella che ospitava la tomba, la nuova immensa chiesa (tre anni fa non ancora inaugurata), con un vastissimo piazzale in grado di ospitare una folla oceanica, e ci ha indicato, da lontano, il grande edificio che avrebbe dovuto ospitare una comunità di anziani non autosufficienti e altri servizi di carità alle persone e al territorio.
Mi sono sentito onorato che sia stato lo stesso sacerdote a guidarci, descrivendoci con dovizia di particolari (anche emotivi e personali) ogni aspetto di quanto da noi osservato, specialmente nella magnificenza dell’imponente chiesa. Lo scorso lunedì 15 marzo 2021, il noto musicista Angelo Laganà di Roccella Jonica ha dedicato a Natuzza Evolo un proprio brano musicale che accompagna per oltre 10 minuti un bel video a colori dei luoghi di (santa) Natuzza a Paravati di Mileto ( https://www.youtube.com/watch?v=IGvzRZhFDUY ).
10 – L’EGOTISMO RELIGIOSO
Caro Tito, ho sempre lavorato per la “sana aggregazione” però non ti nascondo il mio disagio di fronte alla costruzione di così imponenti (e a volte “lussuosi”) edifici di culto, come questo di Paravati (che è costato quasi due milioni di euro, come 4 miliardi delle vecchie lire). Capisco che ogni cosa parta da buone intenzioni, abbia una sua logica che possa giustificare l’evento, tuttavia non riesco ancora a capire come mai si possa continuare a costruire chiese quando (a mio modesto parere) le risorse andrebbero spese a dare lavoro-dignità e per migliorare la salute (specialmente) delle persone, anima e corpo. In particolare, la Chiesa Cattolica (che si autodefinisce “l’Anima del Mondo” e “Maestra di Vita” basandosi su Gesù e il suo Vangelo, che spesso disattende) dovrebbe avere ben altre priorità, specialmente in presenza di emergenziali situazioni di bisogno che mettono in pericolo troppe persone e comunità, addirittura interi popoli.
Non mi capacito ancora, dopo tanti decenni di dubbi, dell’egotismo delle Chiese cristiane come di tante altre religioni che preferiscono insistere nei ritualismi e in talune vanità piuttosto che intervenire massicciamente là dove si combatte quotidianamente tra la vita e la morte, per fame o per malattie, per diritti negati o mancanza di futuro. Concordo con Papa Francesco che la Chiesa dovrebbe essere un “ospedale da campo”, poiché tale è la natura assegnatale da Cristo suo fondatore. Senza troppi fronzoli, superflui ritualismi o fatali distrazioni!
Comunque sia, ognuno, specie se spinto da un irresistibile ed onesto moto interiore, può fare ciò che vuole, purché almeno non sia nocivo ad altri. Però mi chiedo: l’omissione di manifestata missione salvifica non è forse cosa altrettanto nociva dello stesso male fatto più apertamente?… Lo sto chiedendo pure per me stesso, per la mia vita, spesa altrimenti, nonostante le iniziali buone ed oneste intenzioni.
Così, con questo stato d’animo, dopo Paravati (che avevo già visitato nel giugno 2007 con la presenza della stessa Natuzza Evolo, nata nel 1924 e morta nel 2009) sono andato a vedere, per la prima volta, un altro imponente complesso edilizio religioso (diocesano), sul lato jonico della nostra Calabria, alla Madonna dello Scoglio, sulle colline del comune di Placanica (in provincia di Reggio Calabria) a pochi chilometri dal mare e a 35 km circa da Badolato Marina.
11 – FRATEL COSIMO E LA MADONNA DELLO SCOGLIO
E nel territorio del comune di Placanica, in contrada Santa Domenica (a 5 chilometri dal paese) in un’umile e dignitosa famiglia di contadini il 27 gennaio 1950 è nato Cosimo Fragomèni, il quale da bambino avrebbe avuto ripetute apparizioni della Madonna. Da questi eventi è nata (come in altri luoghi e situazioni simili più note e meno note, tipo Lourdes, Castelpetroso, Fatima, Medjugorje, Ischia, ecc.) la venerazione popolare di Nostra Signora dello Scoglio, in una località semidesertica, a circa 10 km dalla strada statale 106 jonica.
Qui da decenni, ormai, si radunano periodicamente migliaia di fedeli e di curiosi (provenienti pure da altre regioni italiane e persino dall’estero) affascinati dalla figura di “Fratel Cosimo” che tante testimonianze affermano abbia fatto e continua a fare autentici miracoli di guarigioni fisiche e spirituali. Da laico ho sempre voluto farmi almeno una minima idea di tali fenomeni, per cui, subito dopo aver visitato i luoghi di Natuzza a Paravati di Mileto in quel mese di giugno 2018, ho voluto recarmi per la prima volta, assieme a mia moglie, nei luoghi di Fratel Cosimo. Il quale, non so perché, mi fa venire in mente lo scrittore sardo Gavino Ledda (Siligo 30 dicembre 1938), anche come vaga somiglianza fisica. Su “youtube” ci sono numerosi video sonori su Fratel Cosimo e sulle attività del Santuario della Madonna dello Scoglio di Placanica. Ad esempio, giusto per avere un’idea, uno è il seguente ( https://www.youtube.com/watch?v=mgHWNb48rTs ).
Giunti al santuario, non abbiamo incontrato nemmeno una persona (che dicasi una, anche se era giorno feriale) nelle quasi due ore che siamo rimasti lì a visitare quel luogo che, oltre allo scoglio delle apparizioni, presentava una grande chiesa in costruzione pluripiano, un immenso piazzale e alcuni altri edifici più piccoli e precedenti. Per quanto riguarda me personalmente, nessuna emozione.
Piuttosto forti perplessità, come nelle mie visite a Lourdes (1967 e 1997), a Fatima (1999), a Loreto (1963 e 2018), nella vicina Castelpetroso (più volte dal 1982) ed in tanti altri magnifici ed affollati luoghi di culto (anche di altre religioni, come in Thailandia nel 1977 o in Tunisia nel 1991 o in Grecia nel 1992 o nella stessa Roma multiculturale e multireligiosa). Tuttavia, le masse accorrono e la Storia ci dice che le masse hanno sempre ragione, pure perché manifestano così le loro più impellenti necessità spirituali che, spesso, suppliscono a carenze concrete provocate da molto precarie situazioni socio-politiche o anche economiche. Ma è pure un modo di tendere all’assoluto, all’infinito, all’eternità.
Ognuno di noi, infatti, ha una percezione ed un desiderio di eternità che cerca di realizzare nel suo piccolo come meglio può e crede!… Nonostante ciò, resta il fatto concreto che l’Amore (e/o il Vangelo di Cristo) esige (con immediatezza) la salvezza dei fratelli che stanno peggio di noi. E bisogna soccorrere senza perdere un minuto nemmeno in preghiere o rituali! Il Vangelo di Gesù parla chiaro a riguardo e senza alcuna ombra di dubbio o di interpretazione, senza poter tergiversare! Invece, si perde tempo, si tergiversa, si trovano mille scuse per non realizzare l’ospedale da campo cui fa riferimento papa Francesco, basandosi sul dettato evangelico!…
Nel corso dei decenni ho seguìto indirettamente l’attività che si svolgeva alla Madonna dello Scoglio, sia perché vi partecipavano amici e parenti e sia perché due famiglie di Agnone del Molise (dove abito) mi hanno chiesto di metterli in contatto con Fratel Cosimo. In sèguito ho saputo che parecchi suoi fedeli seguaci hanno abbandonato quei luoghi, così come ho saputo che Fratel Cosimo si faceva cucire su misura le camicie a Badolato Marina, dal maestro Giuseppe Rèpice (ex Pirega ed ex Regal), il quale (da fervente comunista ateo) è stato poi convertito alla religione proprio da Fratel Cosimo.
In verità ci aveva tentato il nostro parroco padre Silvano Lanaro che era legato a mastro Peppino da fraterna e grande amicizia. In vari momenti storici, precedenti o seguenti alla conversione del “compagno Repice”, altri ferventi comunisti badolatesi (alcuni di questi in punto di morte) si sono convertiti al cattolicesimo. Invece, attorno al 1960, ho visto con i miei occhi un compagno comunista sputare l’ostia (l’Eucarestia, la comunione) appena avuta durante la messa del suo matrimonio nella chiesa parrocchiale di Badolato Marina! E’ stato il massimo gesto ed il più clamoroso dell’ateismo comunista (forse non solo) a Badolato “Roccaforte rossa”!!!…
12 – LA SPIRITUALITA’ CALABRESE
Caro Tito, non è certo questa la sede per commentare i luoghi e il senso della spiritualità calabrese, in particolare quanto sta avvenendo nei luoghi di Natuzza e di Fratel Cosimo. Tuttavia non possiamo essere (almeno antropologicamente e sociologicamente o come calabresi) indifferenti a tale fenomeno, non fosse altro perché ha origini antichissime, dal momento che pure i valori della Prima Italia sono nati nella sana aggregazione dei “sissizi” di Re Italo. Sissizi che sono una manifestazione di unità comunitaria e di sacralità conviviale, da cui poi, molti secoli dopo, pare abbia avuto origine addirittura l’Eucarestia cristiana, come afferma il filosofo Salvatore Mongiardo. Ed è centrale presenza religiosa lo stesso “bue di pane” che lo stesso Mongiardo dà per certo essere stato originato da Pitagora di Crotone forse sul precedente italico (con la scoperta dell’agricoltura stanziale dopo il nomadismo e, quindi, del grano) e proprio come atto centrale della mensa comune tra affiliati ad un grande sistema di valori comunitari e salvifici.
La Calabria è da sempre e senza dubbio una delle terre più ricche di elevatissima e costante spiritualità. Spiritualità che solitamente viene espressa prevalentemente in eremi, grotte, piccole o medie chiese e santuari rurali, ma anche da filosofi e teologi rimasti nella Storia. Però, per quel che so, le grandi chiese e gli immensi piazzali (tipo quelli di Paravati e della Madonna dello Scoglio) non appartengono alla tradizione devozionale e religiosa del nostro popolo. Possiamo ben dire che, comunque, la spiritualità è una componente essenziale, addirittura maggioritaria ed imprescindibile dell’identità dei calabresi. Lo attesta pure o persino lo stemma ufficiale della Regione Calabria (adottato con legge regionale del 15 giugno 1992) che evidenzia quattro simboli che possiamo considerare prettamente “spirituali” o attinenti alla forte e diffusa spiritualità territoriale o appartenenza e identità religiosa. Infatti, il pino larìcio è emblema della più ancestrale religione animistica, naturalistica ed ascetica, prevalentemente silvestre ed agro-pastorale della nostra Terra. Le altre tre figure (il capitello di un tempio dorico, la croce bizantina e la croce potenziata) esaltano la religiosità magno-greca, quella bizantina e quella cattolica-romana di impronta latino-normanna che evoca pure il grande valore di dodicimila Crociati calabresi che combatterono per la liberazione di Gerusalemme, durante la prima crociata (1096 – 1099).
Voglio sperare che il pino larìcio voglia significare ed evocare (consapevolmente da parte delle Istituzioni regionali) pure la civiltà autoctona della “Prima Italia”, precedente alla tanto, troppo celebrata Magna Grecia a scapito dell’epoca anteriore all’ottavo secolo avanti Cristo, quando appunto è iniziata la colonizzazione greca vera e propria.
Infatti, non sarà mai troppo tardi che la Calabria, anzi l’intera Italia, possa e voglia scoprire e valorizzare il millennio tra il 18° e l’8° secolo, proprio quella età in cui è nata e si è sviluppata la vera prima Italia.
L’attuale stemma della Regione Calabria sancisce, testimonia e dichiara apertamente ed ufficialmente l’essere terra colonizzata da sempre, dalla Magna Grecia in poi, mentre invece la nostra Terra ha avuto un regno autonomo e autoctono con re Italo e i suoi successori. Sarebbe utile a tutti che ne scoprissimo storia e valori fondanti. E che il nostro maggiore ente territoriale si denominasse proprio CALABRIA PRIMA ITALIA, poiché il resto è una Calabria colonizzata, dall’ottavo secolo a. C. ad oggi. Non so se mi sono spiegato?!!!… Fin qui la cultura regionale privilegia mostrare e dimostrare la Calabria colonizzata e non la Calabria che ha dato vita all’Italia “motu proprio” (di propria ed originale iniziativa).
13 – EDMONDO DATTOLA
Del mio viaggio in Calabria del giugno 2018, oltre a ciò che ho visto a Paravati di Mileto (VV) e alla Madonna dello Scoglio di Placanica (RC), ricordo con particolare simpatìa la Villa sul Mare a Mèlito Porto Salvo (RC) gestita come “bed and breakfast” dal giovane ed efficientissimo Edmondo Dàttola. Un edificio, proprio a forma di tipica villa, con verde attorno, posizionato sul lungomare con vista diretta sulla Sicilia e, in particolare, sul vulcano Etna, di cui potrebbe essere possibile vedere (quando sono in atto) le spettacolari eruzioni. Inoltre, tale stupenda villa è ubicata proprio a pochi metri dal punto continentale più a sud della Calabria e dell’Italia (terzo in Europa dopo Punta Tarifa in Spagna e Capo Sunio in Grecia), ma anche a pochi metri dove il 19 agosto 1860 è sbarcato Garibaldi con il suo esercito proveniente dalla vicina Sicilia, nella conquista armata “conto terzi” del Regno delle Due Sicilie. Due giorni fa, 17 marzo 2021, sono stati celebrati i 160 anni della cosiddetta “unità d’Italia” che per noi meridionali significa l’inizio della decadenza e della colonizzazione dei soliti inveterati popoli del nord. Puoi seguire quanto descritto, a voce e in immagini, nel video di 20 minuti ( https://www.youtube.com/watch?v=w3qassSxaOs ).
Ho avuto modo di parlare anche di “Capo Sud” con Edmondo Dattola e da ciò che mi ha detto ho capito meglio perché quel mio “Progetto” ha avuto così poco sèguito in Melito Porto Salvo e dintorni. Dovrei mettermi l’anima in pace, tuttavia continuerò (per ciò che mi è possibile) a portare avanti la migliore sensibilizzazione su questa iniziativa che, nata nell’estate 1999, reputo qualificante per quel territorio della Città Metropolitana di Reggio Calabria, in particolare per l’Area grecanica.
Perché talune idee si possano affermare ci vogliono anni e, spesso, generazioni, ma alla fine le buone proposte saranno realizzate, a volte persino dopo secoli. Ho fiducia che “Capo Sud” sarà una bella realtà, prima o poi! Intanto, consiglierei a tutti di andare a visitare “Capo Sud” anche come transito per i paesi della zona grecanica (da Capo Spartivento a Capo d’Armi) o per il magnifico “borgo disabitato” di Pentadattilo che trovasi a pochi km dalla Villa sul Mare di Edmondo. Godere di questo evocativo punto più a sud è un vero privilegio che raccomando a chiunque.
Edmondo Dàttola ([email protected] tel. 346-5327425 Eddy), a riprova che la calabresità è sempre un grande valore, ha donato a me e mia moglie, all’atto di congedarci, alcuni prodotti dell’orto della Villa sul Mare, cosa che ci ha fatto molto piacere non soltanto perché erano buonissimi, ma per il gesto di familiarità e per il significato dell’antica ospitalità e della fratellanza jonica. Non vedo l’ora di ritrovarmi a “Cap Sud” e sicuramente godrò dalla Villa sul Mare di Eddy le amenissime azzurrità dello Stretto di Messina e la magica visione di “zia Sicilia” che tanto posto ha nel mio cuore fin da quando ero bambino!
14 – GIANNI VERDIGLIONE
Nato a Badolato il 14 ottobre 1956, Gianni Verdiglione (che ha frequentato l’Accademia d’Arte di Brera a Milano) è essenzialmente uno scultore, ma è anche un artista assai simpatico, carismatico, molto versatile e fantasioso. E, quel che più conta, è uno dei personaggi jonici più amati. Andrebbe valorizzato pure come Poeta, ma la sua ìndole troppo schiva e riservata non sempre lo permette. In due occasioni, mi ha permesso di evidenziare la sua ottima Poesia: nel 1977 quando ha dato alle stampe l’opuscolo “Addio, banchi di scuola!” (di cui ho scritto la Presentazione) e quando ha realizzato la mostra personale di 40 Sculture e un Poema “Noi, tra il giorno e la notte” prima in Badolato Marina, dal 20 dicembre 1981 al 06 gennaio 1982, nei locali della Biblioteca comunale da me gestita, e poi nel mese di febbraio 1982 al Palazzo della Provincia di Catanzaro. Un vero grande successo!
Nell’estate 1987 Gianni ed io abbiamo realizzato un monumento di memoria di Badolato Superiore sulla piazza della chiesa di Badolato Marina consistente nel poggiare nell’angolo estremo (ben visibile a tutti) una colonna proveniente dall’antico castello normanno. Era un modo di ricordare che il nuovo paese sul mare deriva, per gemmazione, dal millenario borgo antico. Purtroppo quell’Amministrazione comunale non ha capito il valore di tale monumento e lo ha rimosso.
Peccato perché nella Marina non c’è niente che ricordi (anche ai turisti) le origini di provenienza dei suoi abitanti. Anzi ci dovrebbe essere una grande targa che ricordi la nascita ufficiale di Badolato Marina il 24 marzo 1952, pure per battezzata dal capo del governo Alcide De Gasperi!!!… Purtroppo, le classi dirigenti locali hanno mancato spesso di memoria sociale ed identitaria e portano avanti soltanto eventi e situazioni di autoesaltazione. O similari!
Nell’aprile 1988, ho fondato l’Istituto di Tanatologia assieme a Gianni Verdiglione, al prof. Vincenzo Squillacioti (futuro presidente e direttore del periodico cartaceo LA RADICE di Badolato) e al dottore Gianni Pitingolo di Soverato. Una associazione culturale con l’intento di “studiare la morte per amare di più la vita”. Poi ho rivisto Gianni Verdiglione domenica mattina 5 novembre 1995 quando (a metà percorso della strada provinciale n. 135 Badolato Marina – Badolato borgo) ha inaugurato con una suggestiva “performance” artistica la “Strada della Poesia” … evento ed iniziativa che ho evidenziato alla pagina 78 del libro << VILLACANALE IL PAESE DELLE REGINE >> (edito nel giugno 1996), alle pagine 364-365 del quinto volume e alla pagina 35 del settimo volume del << LIBRO-MONUMENTO PER I MIEI GENITORI >>.
Mi spiace che non ha avuto un buon sèguito questo bel progetto della “Strada della Poesia” (che mi auguravo proseguisse da Badolato fino a Tropea o Pizzo). Ad un mio amico poeta, il medico Antonino Picciano, era piaciuta l’idea della “Strada della Poesia” che avrebbe voluto realizzare nel chilometro del viale d’ingresso al suo paese di origine, Campochiaro in provincia di Campobasso.
Qualche settimana fa, nel febbraio 2021, ho ritrovato Gianni Verdiglione ancora attivo con la Poesia, poiché ha voluto ornare alcuni grossi sassi di Piazza Castello a Badolato borgo con piastrelle di ceramiche con sopra incisi i versi di numerosi poeti locali, italiani ed esteri … tanto che Badolato potrebbe essere indicato come “il borgo della Poesia”.
Inoltre, a Badolato borgo, assieme ad altri amici (come Giuseppe Argirò, Vincenzo Invento, Guerino Nisticò, Aldo Pacicca) sta portando avanti il posizionamento di piccole targhe di marmo con su scolpite brevi frasi per descrivere fatti e personaggi degli ultimi secoli. Sono le cosiddette “Pietre della memoria”. Te ne ho scritto mercoledì 03 marzo scorso (https://www.costajonicaweb.it/badolato-cz-il-paese-in-vendita-in-calabria-si-racconta-con-le-pietre-della-memoria/) con un articolo che è stato ripreso da altri siti web e persino da un sito curdo ( https://rojname.com/8684588 ) e due giorni fa, il 17 marzo, pure dal quotidiano cartaceo “Il Quotidiano del Sud”.
Caro Tito, mi spiace davvero tanto che il mio esilio da Badolato non mi abbia permesso di proseguire quella utile e fruttuosa collaborazione artistico-culturale con Gianni Verdiglione iniziata nel 1977.
Così come mi dispiace di essere stato interrotto, nel maggio 1987, così bruscamente ed amaramente nel mio lungo, articolato, vocazionale ed appassionato lavoro di valorizzazione di tutto ciò che riguardava Badolato e dintorni.
Da lontano posso fare poco, ma lo faccio sempre con molto piacere, specialmente per amici ed artisti come Gianni che meriterebbe di avere un riscontro, effettivo e costante, anche a livelli internazionali.
15 – DOVE E’ NATA L’ITALIA?…
Il dottore Nicola Mastronardi (nato in Agnone del Molise nel 1959) è giornalista e scrittore, a volte anche autore televisivo Rai. Dal 2013 insiste (scrivendo libri, andando in giro per scuole, trasmissioni televisive nazionali e periodici cartacei e web) nell’affermare che l’Italia politica è nata in centro Italia (durante la cosiddetta “guerra sociale” tra i popoli italici e Roma dal 91 al 88 a.C.). Cosa vera solo in parte, così come in parte è (a mio parere) la sua verità che in un primissimo tempo aveva persino insinuato che il nome “Italia” fosse nato in Abruzzo-Molise (come ho potuto constatare personalmente nel gennaio 2013 al Teatro Itali-Argentino di Agnone quando ha presentato il suo primo libro “Viteliu”). Adesso (nell’insistere ancora a dare all’Abruzzo-Molise la priorità della “nascita dell’Italia”) ha corretto il tiro dicendo che è “l’Italia politica” che è nata in Abruzzo-Molise (in particolare a Corfinio, ora in provincia dell’Aquila), lasciando però intendere che (nientemeno) la storia d’Italia inizia con la guerra sociale (91-88 a.C.). Lo ha affermato pure alle ore 14.50 di sabato 06 marzo 2021 durante la trasmissione di Rai Uno “Linea Bianca” dal Teatro sannita di Pietrabbondante intervistato dalla conduttrice.
Ma – chiedo io – quando inizia la storia di un uomo, se non con la sua nascita e l’assegnazione della sua identità con un preciso nome?!… Ad esempio, la vita e l’identità di Nicola Mastronardi ha avuto inizio dal momento stesso in cui è nato e gli è stato dato il nome, non certo quando si è laureato o ha fatto una grande impresa!!!… Oh no?… Perciò sarebbe più appropriato e completo che egli dica che la storia d’Italia ha avuto inizio con il suo nome (che – guarda caso – è nato in Calabria tra il Golfo di Squillace e il Golfo di Lamezia, come certificano i più attendibili storici e scrittori antichi) e che (caso mai) << l’Italia politica >> possa avere avuto una delle sue numerose tappe con la guerra sociale del 91-88 avanti Cristo, quando ha cominciato (fino ad altra prova contraria) a coniare moneta con il nome ITALIA. Ovviamente e più logicamente, l’Italia politica è nata almeno con il suo primo governo, rappresentato da re Italo nel territorio dell’odierna Calabria quasi quattro mila anni fa.
Si sa che uno Stato, per essere considerato tale (e quindi con valenza politica), deve almeno avere un territorio con dei confini, un popolo, una lingua, un governo … tutte cose che re Italo aveva nella parte più estrema della nostra penisola ben “16 generazioni prima della guerra di Troia” come affermano antichi scrittori. Inoltre, a sancire l’Italia politica di Italo c’è il fatto che egli governasse effettivamente,con le “leggi” e la “dominazione”, come attestano sempre antichi autori, come, ad esempio, Antioco di Siracusa (figlio di Senofane) nel quinto secolo avanti Cristo «L’intera terra fra i due golfi di mari, il Nepetinico [S. Eufemia] e lo Scilletinico [Squillace], fu ridotta sotto il potere di un uomo buono e saggio, che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli altri con la forza. Questo uomo si chiamò Italo che denominò per primo questa terra Italia. E quando Italo si fu impadronito di questa terra dell’istmo, ed aveva molte genti che gli erano sottomesse, subito pretese anche i territori confinanti e pose sotto la sua dominazione molte città».
Ed anche Aristotele (383 – 322 a.C.) nella sua opera “Politica” (VII, 10, 2-3): «Italo, re degli Enotri, da lui in seguito presero il nome di Itali e Italìa l’estrema propaggine delle coste europee delimitata a Nord dai golfi [di Squillace e di S. Eufemia], di lui dicono che abbia fatto degli Enotri, da nomadi che erano degli agricoltori stabili, e che abbia imposto loro nuove leggi, istituendo tra l’altro per primo le sissizie».
E altresì Dionigi d’Alicarnasso (60 – 7 a.C.) in “Antichità romane” I, 12, 3 ha scritto: «Antioco figlio di Senofane scrisse sull’Italia le notizie più degne di fede e più vere derivanti dalle antiche tradizioni: questa terra, che ora si chiama Italia, anticamente la occupavano gli Enotri ». Più chiaro di così!
Caro Tito, fin dall’ormai lontano 1983 e in particolare da quando nel gennaio 2013 insiste l’equivoco di Nicola Mastronardi e di altri (specialmente sul web) sulla origine della Prima Italia, ho chiesto ripetutamente aiuto alle Istituzioni (dai vari presidenti della Repubblica che si sono succeduti ai responsabili della Regione Calabria) di fare luce sulla Prima Italia, pure per sfatare il continuo ricorso alla Magna Grecia come inizio della stessa Calabria. Dico e propongo sempre che forse basterebbe un apposito convegno o settimana di studi a livello universitario o di massimi cultori della materia per chiarire una volta per tutte come stanno le cose, eliminando le nebbie che nuocciono alla verità ma anche alla dignità di una nazione che non sa o non vuole conoscere la propria più antica Storia, distinguendo i fatti dal mito e ponendo fine agli speculatori che, in buona o cattiva fede ma comunque assai deleteri, attentano alla reputazione del nostro popolo, scippandolo addirittura del nome e dell’identità.
16 – PRIMA ITALIA E DIETA MEDITERRANEA
Caro Tito, colgo l’occasione per dire, seppure brevemente, che la dieta mediterranea sembra essere nata proprio con re Italo, nella prima Italia e cioè proprio nell’attuale territorio della Calabria. Lo si deduce da alcuni elementi molto convincenti. Innanzi tutto per il fatto che re Italo ha trasformato il suo popolo (gli Enotri) da nomade e pastorale in agricoltore stanziale (o, meglio, in agro-pastorale stanziale). Poi perché lo stesso re Italo ha istituito i cosiddetti “sissizi” cioè i pasti comuni in cui si consumavano essenzialmente i prodotti della terra. Tale dieta si può immaginare che fosse prevalentemente vegetariana (legumi, verdure, cereali, olive, castagne, frutta fresca e secca, vino, ecc.). Lo lascia intendere lo stesso Aristotele quando afferma “di lui dicono che abbia fatto degli Enotri, da nomadi che erano degli agricoltori stabili, e che abbia imposto loro nuove leggi, istituendo tra l’altro per primo i sissizi”. E i sissizi furono imitati e adoperati in tutto il Mediterraneo, come affermano altri antichi storici e lo stesso Aristotele. Ma ancora prima, Omèro (celebre autore dell’Iliade e dell’Odissea) descrive l’odierna Calabria come la terra che fruttificava tutto l’anno (come ancora adesso) per un particolare clima, per la fertilità del suolo e per l’abbondanza d’acqua. Lo asserisce Salvatore Mongiardo, il filosofo di Soverato, in parecchi suoi recenti scritti, riportando i versi omerici.
Una recente riprova che in terra di Calabria esiste da sempre e in modo naturale la cosiddetta “dieta mediterranea” è il fatto storico che circa 60 anni fa (dal 1957 al 1969) il fisiologo americano Ancel Keys ebbe dal governo americano l’incarico di svolgere uno studio riguardante la mortalità data dalle “malattie del benessere” (cioè infarti, diabete e obesità, ecc.) molto diffuse nelle zone del globo più sviluppate. Il Dott. Keys confrontò i risultati di analisi effettuate su abitanti di sette paesi in tre continenti diversi (Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Iugoslavia, Paesi Bassi e Giappone) riguardanti il rapporto tra abitudini alimentari e patologie cardiovascolari. Ne risultò che tra gli abitanti dei paesi rurali del sud Italia, in modo particolare i cittadini di Nicotera in Calabria, vi era il tasso più basso di malattie cardiovascolari, dovuto al modo di nutrirsi con i prodotti tipici della terra in cui vivevano. Da qui il nome di “dieta mediterranea”, che abbonda in alimenti di origine vegetale mentre è povera di carne, zucchero, burro e grassi di origine animale. Un’alimentazione basata sulla dieta mediterranea è sana, equilibrata ed è ritenuta in tutto il mondo la dieta più completa e corretta, il miglior esempio di sana alimentazione, tanto da essere stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’Umanità il 16 novembre 2010. Ovviamente Nicotera potrebbe equivalere, più o meno, ad ogni altro paese calabrese o del meridione italiano, tanto è che nel Cilento (a Pòllica, in provincia di Salerno) esiste un << www.ecomuseodietamediterranea.it >> ed un impegno istituzionale per valorizzare tale prezioso patrimonio, cosa che in Calabria non si fa. Il dato di re Italo resta, comunque, come quello anticipatore e prototipo dei popoli che si sono dedicati all’agricoltura stanziale e, quindi, ad una dieta agro-pastorale.
17 – ABRUZZO E MOLISE LIVE NEWS
Fabrizio Fusco (a sinistra nella foto) è un collega giornalista ed integerrimo amico di lunga data. Abita a Castel di Sangro, bella cittadina in provincia de L’Aquila, ma al confine con l’Alto Molise, molto più vicina ad Isernia che al suo capoluogo. E’ stato a lungo direttore di www.teleaesse.it (Tele Alto Sangro) che aveva pure una versione web quotidiana. Vittorio Labanca è il collega agnonese che mi ha agevolato l’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti tramite la mia collaborazione al “Corriere del Molise” dal 1991. E’ mio amico dagli anni ottanta e poi anche collega di lavoro. Da un trentennio è direttore responsabile del mensile cartaceo “L’Eco dell’Alto Molise” nel cui staff redazionale ha sempre figurato dall’anno della fondazione 1981 quando direttore era l’indimenticato Costantino Mastronardi. Insieme, Fabrizio e Vittorio, hanno appena dato vita ad una nuova testata web-tv “Abruzzo e Molise Live News” (www.amolivenews.it) che pubblica spesso i miei comunicati-stampa.
Agli auguri di rito per questa neonata creatura di preziosa informazione sociale del territorio di confine abruzzese-molisano, voglio aggiungere la lode per tali due amici e colleghi, sempre attenti alle problematiche e alle esigenze di queste popolazioni montane. Pure per tale motivo, tempo fa sono stati premiati dall’Università delle Generazioni. Il loro racconto quotidiano è sempre utile riferimento storico al di là della cronaca, pure perché fornisce alle nuove generazioni il migliore orientamento per trovare amore ed impegno per queste aree interne assai disagiate, che la politica regionale e nazionale spesso ignorano o trascurano. Vittorio e Fabrizio, come due Dioscuri, sono nello stesso tempo “sentinelle”, narratori e difensori di un territorio che ha bisogno davvero di tanto amore e tante cure per poter sopravvivere e significare, nel contesto di uno spopolamento e di una indifferenza sempre maggiori. In bocca al lupo, ragazzi!
18 – LA CALABRIA NELLA DIVINA COMMEDIA
Caro Tito, la professoressa Anna MIGLIANO, docente di lettere al triennio dell’Istituto tecnico tecnologico “Giovanni Malafarina” di Soverato (ex Geometri), mi ha fatto leggere un “articolo giornalistico” scritto da un suo alunno di quinta classe (maturando in CAT – costruzione, ambiente e territorio), Pio Giuseppe CEPI di Chiaravalle, con la collaborazione per le ricerche dei seguenti altri studenti: Adriano Pàparo di Davoli, Andrea Pittelli di San Sostene e di Simone Totino di San Vito sullo Jonio. Poiché pochi sono a conoscenza di quanta Calabria ci sia nella Divina Commedia, ritengo opportuno riportare qui di seguito il breve elaborato di questi bravi studenti del nostro Comprensorio. Ed ecco l’articolo titolato proprio “La Calabria nella Divina Commedia di Dante”.
<< Nel 2021 ricorrono i 700 anni della morte di Dante Alighieri. Se ci riferiamo alla sua Divina Commedia potremmo pensare che la Calabria non ne abbia nulla a che fare, in realtà ci sbagliamo. Da molti studi, sia moderni che datati, possiamo ben notare che il rapporto tra Dante e la Calabria è sancito da diversi elementi che si possono evidenziare dalla lettura del suo capolavoro. In particolare, troviamo uno di questi elementi nel lessico. Infatti, Dante, nella stesura della sua opera, usa diversi termini tipicamente calabresi. Secondo Apollo Lumini, che si occupò della ricerca dei vocaboli, nella Divina Commedia ne sono contenuti 59. Per citare alcuni esempi: “ammucciare” (nascondere), “guerciu” (cieco), “jumara” (fiumara), “iettare” (buttare), “vacante” (vuoto). Il rapporto non si ferma qui, infatti possiamo trovare vari riferimenti a luoghi del nostro territorio.
Nell’opera troviamo per l’appunto citazioni in merito ad essi, tra cui nell’ottavo canto del paradiso Dante scrive: “e quel corno d’Ausonia che s’imborga di Bari, di Gaeta e di Crotona da ove Tronto e Verde in mare sgorga”. In questi versi viene citata Crotona, riferimento più che scontato alla odierna città di Crotone, però secondo alcune traduzioni non si cita Crotona bensì Catona, un comune all’estrema punta della Calabria.
Altro riferimento troviamo in merito a Cosenza, la quale viene nominata nel canto III del Purgatorio al verso 124, e in merito a Scilla. A quest’ultima, Dante, accenna nel VII canto dell’inferno, dove scrive: “Come fa l’onda là presso Cariddi, che si frange con quella in cui s’intoppa”.
Cariddi è un luogo dello stretto di Messina in cui le acque del Tirreno si mischiano a quelle dello Jonio, creando un vortice pericoloso per i naviganti, i quali rischiano di schiantarsi contro lo scoglio di Scilla.
Così come per il lessico e i luoghi, riscontriamo diversi accenni che Dante rivolge ad alcuni personaggi calabresi. Nello specifico individuiamo Gioacchino da Fiore e il Pastor di Cosenza. Il primo, abate, teologo e scrittore calabrese, viene posto da Dante nel IV Cielo, dove vengono collocati i dottori in filosofia e teologia, esaltandolo spiritualmente e solennemente. In merito al secondo, si pensa che si riferisca a Bartolomeo Pignatelli, il quale fu Arcivescovo di Cosenza dal 1254 al 1267. A quest’ultimo Dante fa riferimento nel III canto del Purgatorio, dove nella spiaggia tra il mare e il monte del Purgatorio, insieme a Virgilio, incontra una schiera di anime, gli scomunicati. Tra di essi notiamo Manfredi, il quale rivolge a Dante queste testuali parole “Se il pastor di Cosenza, che alla caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia”. In conclusione, possiamo soffermarci sul legame che la Calabria ha con Dante, più nello specifico con il suo Capolavoro. Quest’ultimo si vide coinvolto, dall’800 in poi, in un gran numero di traduzioni, ben 150, in tutti i dialetti d’Italia. Tra tutte le regioni protagoniste delle traduzioni, la Calabria ne vanta il maggior numero. Infatti, la Divina Commedia, oltre che essere il classico più tradotto, è anche quello più studiato e approfondito. >>
19 – IN RICORDO DI GIUSEPPINA CAPORALE
Caro Tito, alle ore 11,25 di domenica 21 febbraio 2021, tra le braccia dei diletti figli Domenico e Myriam, è serenamente volata in Paradiso la signora Giuseppina Caporale, persona a me tanto cara pure perché mi sono cresciuto sotto i suoi occhi fin da bambino, essendo vicini di condominio dal 1956 all’Ina-Casa di Badolato Marina (CZ). Donna solare, sempre sorridente e gentile, la “signora Giuseppina” era nata il 14 agosto 1932 a Badolato borgo dai noti ed amatissimi maestri di scuola elementare Nicola e Franca Cùppari, secondogenita di otto figli. Sabato 07 novembre 1953 aveva sposato l’insegnante Rinaldo Rovito della confinante Isca sullo Jonio, che però ha perso molto prematuramente nell’aprile 1984.
Per me entrambi i coniugi Rinaldo e Giuseppina sono stati assai importanti e significativi perché vivevano una bella e grande storia d’amore anche familiare e mi sono stati di immenso e bell’esempio. Erano assai intensi e felici. La mia adolescenza ha avuto come sottofondo il canto lieto e continuo della signora Giuseppina, quasi una colonna sonora che mi ha fatto riflettere assai sulla natura dell’amore e sull’amore coniugale in particolare. Non ti nascondo che li ritengo i miei primi insegnanti di dolci sentimenti, di tenerezza e di forte attaccamento verso la persona amata. E spesso ho tratto da loro ispirazione nel rapportarmi con delicatezza alle donne dei miei amori. Tuttora mi torna in mente il loro corteggiarsi con gli occhi e con i gesti, tanto che il signor Rinaldo le faceva compagnia pure in cucina, quando la signora Giuseppina era impegnata ai fornelli. Mi davano la bella impressione che non sapessero stare un minuto distanti l’uno dall’altra, nemmeno in casa. Vorrei che i figli scrivessero qualche loro testimonianza, pure in merito a questo, sui loro genitori e in particolare sulla signora Giuseppina che era protagonista di una socialità assai affettuosa e luminosa, sincera ed empatica con tutti, mentre il signor Rinaldo era persona assai riservata. Sembravano proprio gli opposti che si compensavano meravigliosamente.
Nei giorni del lutto, ho avuto io stesso (nei messaggi email o whatsapp) ampia dimostrazione di affetto e di ammirazione da parte di badolatesi residenti altrove che usavano aggettivi inediti e spesso iperbolici per raccontare la splendida “signora Giuseppina”. Mi ha confortato pure una mia cugina che mi ha scritto: “Ho percepito che pure tu stai elaborando il lutto per la scomparsa di una signora così brillante…”. Sapeva infatti che il rispetto, l’affetto e la cordialità che univa le nostre due famiglie erano tali che ci potevamo considerare come parenti. E spesso e volentieri Lei ripeteva che mi ha sempre considerato come un figlio. Pure nell’ultima videochiamata dello scorso mese di settembre, quando la sorella Luisetta ci ha messo in collegamento. Purtroppo è stato l’ultimo dialogo a distanza. I figli mi hanno incaricato di ringraziare, anche tramite questo ricordo, tutti coloro che sono stati loro vicini in questo immenso dolore. Una sincera e sentita solidarietà che è arrivata davvero dai cinque continenti.
La figlia Myriam, in una recente email che accompagnava le foto che ho qui inserito, mi ha scritto: << Molte persone hanno visto mia madre come una donna con una forte personalità, una donna socievole, gentile e “una donna che nella sua vita ha seminato i fiori del bene e ne ha lasciato il profumo per tutti noi “ (come ho letto in un bigliettino di condoglianze) >>.
Dietro alla foto del “ricordino” c’è scritto: << La tua forza, la tua fermezza, il tuo amore e la tua fede saranno per noi sentiero terreno da seguire, consapevoli che tu vivrai sempre nei nostri cuori e nello splendore della Luce Eterna>>.
20 – POETESSA NICOLINA CARNUCCIO
Caro Tito, voglio concludere questa prima “Miscellanea” con due brevi ma intensi componimenti della grande poetessa dialettale badolatese Nicolina Carnuccio. Uno sul “Destino” e l’altro sulla “Fortuna”. Entrambi, Destino e Fortuna, giocano un ruolo assai rilevante nella nostra cultura popolare e mi sembrano coerenti con lo spirito e i temi presenti in questa “Lettera n. 322”. Di Nicolina ti ho già scritto il 30 gennaio 2014 (Lettera n. 74), il 09 gennaio 2015 (Lettera n. 100) e il 07 gennaio 2020 (Lettera n. 265). Ma, chi lo volesse, può leggere numerose sue poesie alle pagine del seguente link (https://www.liberodiscrivere.it/autori/schedaautore.asp?AnagraficaID=20604).
U DESTINU – L’ attru jornu / ‘u distinu ncuntrài / nci dissa / dinnu ca eu ti fìcia / cu hri mani mei / ‘on era cosa ‘a tua / ni rispundìu / fazzu tutt’eu / e ffazzu ‘e testa mìa / ah distinu / potìvi èssara menu / agràru cu mmìa / eu on ti canùsciu / ni rispundìu / ‘on sàcciu nenta ‘e tìa / ‘on sàcciu nenta ‘e nuhyu / passu e ddugnu /e ppatra comu ngarra. IL DESTINO – L’altro giorno ho incontrato il Destino. Gli ho detto: “Dicono che sono stata io a farti con le mie mani!”.- “Non è cosa tua (in tuo potere)” mi ha risposto “ Faccio tutto io e faccio di testa mia” – “Ah destino, potevi essere meno amaro per me!” – “Non ti conosco” – mi ha riposto – “Non so niente di te, non so niente di nessuno, io passo e dono e come càpita càpita!”.
A FORTUNA – Strata strata / l’attru jornu / ‘ncuntrài ‘a fortuna / mi dissa / chi bbai cercandu / jìa cercandu propri ‘ a ttìa / nci dissa eu / volìa u ti dicu / pecchì ti vai ambucciandu / eu on n’ambùcciu / mi rispundìu / si’ ttu chi on mi vidi / mmah / dìssaru sempa / ca tu sini cecata / e mbeci mona / cecàta sugnu eu. – LA FORTUNA – Strada strada, l’altro giorno, ho incontrato la Fortuna. Mi ha detto “Che vai cercando?” – “ Andavo cercando proprio te – le ho detto – Volevo chiederti perché ti vai nascondendo” . – “Io non mi nascondo – mi ha risposto – Sei tu che non mi vedi!” – “Mah, hanno sempre detto che tu sei cieca, invece, adesso, sarei io la ciecata!”.
21 – LA SALUTE E’ PIU’ SAPORITA DELLE GOLOSITA’
Caro Tito, a proposito di destino e di fortuna, si parlava recentemente con degli amici sulle forti rinunce che, alla nostra età, dobbiamo fare riguardo cibi che, sebbene molto gustosi, fanno male alla salute. Noi apparteniamo ad una generazione “postbellica” quando non c’era tanto da scegliere come nutrimento, né c’era ancora quell’educazione alimentare, igienica e salutistica che c’è adesso. Prova ne è ciò che mi ha detto la signora Concetta Carioti al paragrafo 5 … che nel 1951, alla tenera età di 9 anni, per generale carenza di cibo, era costretta a mangiare come gli adulti la “sardella” piccante. Come ti ho detto altre volte, ero assai ghiotto della cosiddetta “carne salata” ovvero il lardo suino che, come riserva invernale, le nostre famiglie conservavano in appositi piccoli contenitori di terracotta (“salatùri”). Pure per sentimentali evocazioni infantili e domestiche dei tempi passati (quando eravamo tutti attorno al braciere nei mesi freddi e si mangiava semplicemente pane e carne salata rosolata sulla brace con lo spiedino) ho mangiato spesso e volentieri questo cibo molto povero ma assai gustoso. Ma, che evidentemente, è tassativamente sconsigliato per la propria salute. Probabilmente questa mia preferenza alimentare (ovviamente assieme anche ad altri alimenti, elementi ed abitudini, tra cui la sedentarietà fatta di studi, scrittura e lavoro d’ufficio) ha contribuito a procurarmi quella sofferenza cardiaca che, in pratica, mi ha accorciato l’esistenza e dimezzato la qualità della vita!
A questi amici (che mi dimostravano di come e quanto la “carne salata” piacesse pure a loro) ho detto, ammettendo l’evidenza: “La salute è più saporita della carne salata!”. Questa frase li ha molto impressionati ed hanno commentato che sarebbe stata “memorabile” per loro, da scrivere nel diario. Caro Tito, penso che bisognerebbe insegnare ai bambini la realtà dei fatti, e cioè che << LA SALUTE E’ PIU’ SAPORITA DELLE GOLOSITA’ >>. E bisogna ammettere altresì che già il “Catechismo” ci aveva avvertito che la gola è nemica anche della salute spirituale! Purtroppo, nel Catechismo la gola era vista come peccato e non come salute fisica! Inoltre, a chi crede che tutto sia destino o fortuna, forse bisogna dire che siamo autori della nostra fortuna e del nostro destino almeno al 50% … insomma almeno una saggia via di mezzo tra chi afferma che ognuno è completamente artefice della propria fortuna e del proprio destino e chi dice che tutto dipende dal destino e dalla fortuna. Un pizzico di noi c’è sempre!… almeno per un determinante 50%.
22 – IL 18 MARZO PER LE VITTIME DEL COVID
Caro Tito, proprio un anno fa, il 18 marzo 2020, i camion dell’esercito portarono via centinaia di bare con i morti provocati dal Covid-19 e destinati alla cremazione fuori dalla città di Bergamo. A sèguito di questo forte trauma nazionale, il Parlamento italiano l’altro giorno ha stabilito, per legge, che d’ora in poi il 18 marzo di ogni anno sarà la “Giornata nazionale in ricordo delle vittime del Covid-19”. Ieri il Capo del Governo Mario Braghi è stato a Bergamo, città-simbolo di una tragedia che ancora continua a ritmo sostenuto (In Italia ad oggi siamo già ad oltre 104 mila morti in un anno di pandemia e nel mondo quasi a 3 milioni). Bandiere a mezz’asta, un minuto di silenzio e tutta quella ritualità e quelle riflessioni che la ricorrenza porta con sé. Ed impone.
Così, al giorno della memoria del 27 gennaio per gli stermini nazisti, al 10 febbraio per ricordare le foibe jugoslave-comuniste, al 21 marzo per le vittime innocenti di mafia, al 9 maggio per le vittime del terrorismo, all’11 ottobre per i morti sul lavoro, al 4 novembre per i caduti in guerra, e a tante altre similari ricorrenze, si aggiunge pure il 18 marzo come giornata del ricordo dei morti per Covid.
Sperando che, a furia di ingemmare il nostro calendario di giornate della memoria, ci decidiamo di migliorare finalmente, definitivamente e in modo decisivo in tanti nostri aspetti personali, sociali, civili e istituzionali non solo nazionali ma globali, per una Umanità più serena e giusta.
23 – SALUTISSIMI
Caro Tito, passo ai saluti, sempre bene-augurando per tutto e per tutti. In particolare AUGURI PER TUTTI I PAPA’ DEL MONDO, per oggi e per 365 giorni l’anno. AUGURI PARTICOLARI A TE, papà Tito! Ripeto, AUGURI A TUTTI I PAPA’ DEL MONDO anche a coloro che come me non hanno figli di carne ed ossa, ma si sentono “genitore” di qualcosa. Infatti, la genitorialità è un fenomeno molto complesso ed io ritengo che tutti indistintamente proprio tutti siamo o ci sentiamo genitori di qualcuno o di qualcosa.
Poi ho notato la nuova grafica di questo sito e ti ringrazio per la migliore evidenza pure di queste mie corrispondenze periodiche. Ti do appuntamento alla prossima “Lettera n. 323” che molto probabilmente sarà un proseguimento di questa MISCELLANEA oppure un altro interessante e più urgente tema. Intanto, voglio dedicare questa “Lettera 322 – Miscellanea” a mio nipote Christian Lanciano, il quale (nato il 23 marzo 2003 a Milano città dove studia e risiede con i genitori Antonio Fernando e Carola Brugnano) fra qualche giorno compirà 18 anni, divenendo “maggiorenne”!… Una data importante. A lui e a tutti i diciottenni di questo anno 2021 auguriamo ogni bene ed un futuro secondo i loro migliori desideri!
E, in particolare, auguriamo a noi stessi e a tutto il mondo di uscire prima possibile da questo terrificante Covid-19 ma anche da altre invisibili pandemie, specialmente quelle spirituali che sono assai assai perniciose.
Alla prossima, allora, e tanta cordialità a te e ai nostri lettori, specialmente a quelli più affezionati a noi e a questa rubrica.
Un grazie speciale a Simone Musmeci, direttore di www.soveratoweb.com e a Raffaele Cardamone animatore di www.ilreventino.it (i quali ci rilanciano sempre puntualmente, gentilmente e con affetto) ed anche a tutti coloro che, in un modo o in un altro, diffondono e condividono queste “Lettere a Tito”.
Tra costoro c’è Mimmo Badolato che suole stampare e rilegare a libretto le lettere che gli piacciono di più. Auguri pure a loro che, tra tanto altro, sono splendidi papà!
di Domenico Lanciano
Iter Love City, venerdì 19 marzo 2021 ore 19.00 (le foto sono state prese dal web).