Il 25 aprile 2024, a Carlopoli si è celebrata la posa di una lapide in onore di Antonio, Caterina e Federico Tallarico.

La manifestazione ha previsto un incontro al Comune (presso la Sala Consiliare “Camillo Pane”), in cui il sindaco Emanuela Talarico ha presentato i saluti, compiaciuta della presenza di molti familiari dei Partigiani e ha illustrato il valore dell’iniziativa svolta proprio nel giorno della Liberazione. Ha elogiato l’ANPI per il suo impegno, ha ringraziato il professore Angelo Falbo per aver fatto conoscere la Storia dei partigiani Tallarico con la ricerca contenuta nel libro “Il carro della storia” e consentito la ricostruzione della originaria discendenza, il cui intervento è stato successivamente. Subito dopo, una ragazza del Servizio Civile ha letto il monologo censurato in Rai dello scrittore Antonio Scurati.

È poi intervenuto il presidente della sezione intercomunale ANPI del Reventino Corrado Plastino per sottolineare il valore dell’iniziativa, dettagliare le iniziative dell’ANPI nella giornata, e richiamare le iniziative con i ragazzi delle scuole e quella del recente gemellaggio con la sezione ANPI di Marzabotto, lodando l’impegno degli iscritti per scoprire e riportare alla memoria le vicende di tanti Partigiani dei nostri Paesi, rimaste a lungo sconosciute, e che proseguiranno a essere pubblicate come è stato già fatto con il primo volume di “Fischia il vento. I Partigiani del Reventino”, di cui sono state offerte tre copie ai familiari presenti, una per ciascuno dei Partigiani, e una copia alla Biblioteca di Carlopoli.
È stata poi scoperta la lapide e il professore Angelo Falbo ha illustrato come è stato individuato il fabbricato su cui è stata posta.

Tornati al Comune, ha preso la parola Antonello Tallarico, figlio di Antonio, ringraziando per l’onore che si fa ai Partigiani Tallarico. Ha raccontato alcuni aneddoti del Papà e ha ringraziato Falbo per la storia raccontata nel libro da lui molto apprezzato. Ha parlato Sonia Tallarico, figlia di Federico, ringraziando e ricordando come il Papà aveva raccontato tanti episodi, dicendosi felice del fatto che l’Amministrazione abbia voluto realizzare l’iniziativa con la posa della lapide a loro ricordo, ha inoltre ringraziato Falbo per l’impegno della ricerca e per aver voluto fortemente la posa della lapide con tutta la popolazione dei Carlopolesi. Ha parlato Adele Teti, figliastra di Caterina, ha sottolineato l’importanza delle donne nella Resistenza, troppo e ancora taciuta, ha ricordato diversi aneddoti, ha più volte ricordato come la mamma, da lei chiamata Ninna, fosse una donna minuta ma molto coraggiosa tanto da essere definita “panzer”. Si è detta felice per la riuscita dell’iniziativa e interessata a uno studio urbanistico del Paese.

C’è stato infine l’intervento del professore Raffaele Anania che ha appassionatamente ricordato il valore della lotta partigiana e indicato gli errori compiuti nel non avere svolto un processo come a Norimberga per impedire a tanti criminali fascisti di restare impuniti.
Il tutto si è concluso con la visita alla Tomba del Comandante Antonio Tallarico e a quelle dei fratelli Carlo e Gaspare Muraca per deporre dei fiori, poi a Castagna presso la Cappella dove riposa Luigino Astorino, Patriota.
Di seguito, si riporta il discorso integrale del professore Angelo Falbo tenuto n

el corso della Manifestazione:
<< Oggi celebriamo la Festa della Liberazione dall’oppressione fascio-nazista: la data è ricondotta al 25 Aprile del 1945, alla decisa intimazione di Sandro Pertini, rivolta ai Comandi fascisti e tedeschi di deporre le armi, “…arrendersi o perire…”.
E al vibrante appello alla Città di Milano di liberarsi da quelli oppressivi Comandi, qualora non si fossero arresi.
Quell’appello ha dato significato liberatorio alla Resistenza.
Ci troviamo qui però perché vogliamo ricordare tre Partigiani Combattenti, andando fra poco a scoprire una targa in Loro onore: Antonio, Caterina, Federico Tallarico.
Lo possiamo fare perché l’Amministrazione Comunale ha avuto la sensibilità e la disponibilità ad accogliere la proposta della Sezione ANPI del Reventino, impegnata a onorare, i ogni Comune i propri i Partigiani

La posa avverrà sul frontale di un fabbricato dell’attuale Via Umberto, individuato in una lunga ricerca, essere stato la dimora dei Loro “pentavoli”.
Tutti e tre non sono di Carlopoli, ma sono nati a Marcedusa. Poi sono vissuti a Catanzaro. Ma discendono da una famiglia di Carlopoli.
La discendenza accertata attraverso il certificato di morte di Serafina Moraca. La sua dimora è indicata nel “ Rione Timpone” Lei era di famiglia Nobile originaria di Murachi di Bianchi vedova di Don Vincenzo Talarico.
La ricerca si alimenta di una passione e dall’impegno di risolvere degli interrogativi.
Gli interrogativi nacquero davanti alla tomba di Antonio, il maggiore dei figli di Vincenzo e Domenica Dardano… Domenica… Menica… i Menichini o i Minichini, tra la gente.
Lessi con interesse la dicitura: “Antonio Tallarico ex Comandante Partigiano”.
Non ne sapevo nulla. Né qualcuno in Paese seppe dire altro. Era stato ricordato un Partigiano di Carlopoli: Carlo Muraca, intestandoGli una strada. Per dire che sensibilità e interesse per quella fase storica della Resistenza non sono mancati.
Quando si fa una ricerca storica servono i Documenti. Ogni affermazione deve essere dimostrabile .
Se no si espongono opinioni.
I documenti per scrivere la storia partigiana dei Tallarico non si trovavano negli Archivi.
Li custodiva, Domenica. Figlia maggiore di Federico.
Con una grande sensibilità e ospitalità, consentì di fotografare i documenti difesi in dei borsoni, foto comprese.
Grazie ancora Sig.ra Dana. Lei vuole essere chiamata così.
Quella mole di documentazione originale produsse il dilemma di decidere che fare:
- di elaborare una sorta di monografia agiografica dell’esperienza partigiana dei singoli tre Tallarico;
- oppure inquadrare, partendo dalla presenza della Tomba di Antonio, la loro esperienza di lotta partigiana nel flusso degli avvenimenti storici; ricostruendone prima la discendenza.
Come si è fatto.
Andando a ritroso per raggiungere i loro avi fino al sesto grado, per discendere al quinto e seguire le tracce di un Giovanni Federico, figlio di Don Vincenzo e di Donna Serafina.
E’ lui che da Carlopoli si è trasferito a Marcedusa, dove sposò la Nobil Donna. Caterina Spada.
Si è voluto trasferire a Marcedusa spostando la discendenza lì, perdendo il nome Giovanni e acquisendo la doppia elle divenendo Tallarico. Sono state le condizioni socio-economiche generali del tempo. Ma la ragione predominante del trasferimento di Federico Talarico è da attribuire alle aspettative economiche, di sistemazione sociale, offerte soprattutto dalle terre di marina.
Seguendo la secolare migrazione interna calabrese della transumanza.
Dietro alle mandrie si sono spostati migliaia di addetti, tra permanenza sui prati pascoli montani nei demani silani e i prati pascoli e le colture nuove di oliveti e vigneti e seminagioni estensive nei territori delle marine.
Nella zona dove è andato Federico tra l’altro c’era già insediata la potente famiglia Brutto, con la quale quella dei Talarico era imparentata.
Da Federico Talarico e da Caterina Spada, attraverso il figlio Antonio e sua moglie, Domenica Scandale, si arriva a Vincenzo e a Domenica Dardano che sono i Genitori di sei figli, tra i quali i nostri tre Antonio, Caterina e Federico
Vincenzo è Geometra e lavora a Catanzaro, viaggiando.
Poi tutta la famiglia si è trasferita a Catanzaro.
Quindi, sono nati a Marcedusa e vissuti a Catanzaro: Antonio 1905, Caterina 1915, Federico 1917.
Una famiglia benestante. A Marcedusa erano proprietari importanti Godevano di riverenza sociale.
I figli hanno potuto proseguire tutti gli studi. Antonio nel Liceo Galluppi di Catanzaro, poi all’Università in Ingegneria, Caterina, anche Lei al Galluppi, Federico invece ha seguito gli studi magistrali a De Nobili.
L’intera famiglia fu progressivamente sconvolta dai pericolosi eventi affacciatisi all’orizzonte. dopo che il Duce, a Capo del Governo dal 22, cominciò a mutare il Movimento dei fasci in un Regime opprimente, abolendo Partiti, Sindacati, Associazioni, Stampa, Diritto di voto…
Però, malgrado la caratterizzazione sempre più dittatoriale, continuò ad accrescere i consensi, con un uso spregiudicato del potere.
Con il sistema repressivo contro gli avversari, fino alla uccisione, Matteotti, o il carcere, Gramsci.
Con i meccanismi di controllo sociale utilizzando la tessera di iscrizione al Fascio come sicuro lasciapassare per l’accesso all’impiego pubblico. La sottomissione di fedeltà con il richiesto giuramento La tessera serviva anche per accedere alle forme assistenziali elargite dalle prefetture attraverso i Potestà. Le cerchie fasciste locali decidevano chi doveva andare a lavorare nei cantieri e chi no.
Il sistema del consenso veniva entusiasmato da un’ abile, mistificatoria propaganda, fino a forme di idolatria del Duce.
La Scuola divenne il luogo di principale ideologizzazione. Attraverso le adunate, i canti, gli alza bandiera, le manifestazioni, le preghiere al Duce, la formazione di una sorta di carriera dai Figli della Lupa al GUF. Gruppo Universitario Fascista.
Le conquista coloniale. La propaganda sul grande Impero da ricostruire. La ricerca del Posto al Sole… Gli attacchi agli Stati nemici… l’alleanza con Hitler… Tutto ossessivamente ripetuto per affascinare giovani inebriati per sicure Vittorie.
Per convincerli a partecipare all’impresa per i destini di una Grande Patria …Quando il Duce concluse la dichiarazione di guerra contro la Francia e l’Inghilterra, rassicurando che sarebbe durata presto e che sarebbero ritornati vincitori con l’incitamento finale di …corri alle armi, troppi giovani si sentirono chiamati ad un appuntamento con la storia della Patria raffigurata nello stereotipo propagandistico introiettato durante un ventennio.
Tanti sconvolsero le loro stesse aspirazioni, interrompendo gli studi e partendo volontari in “zona di guerra”.
Il 10 giugno del 1940, all’atto di dichiarazione di guerra, Antonio aveva già servito la Patria. Era in congedo illimitato. Il 16 Giugno del 1940 viene richiamato. Caterina studiava Medicina a Roma. Federico era iscritto al secondo anno della Facoltà di Materie Letterarie nel Magistero a Messina,
Il 28 Febbraio del 1941 rinunziò al rinvio e partì volontario, come altre migliaia e migliaia di giovani entusiasti e straconvinti di andare, combattere, vincere e tornare. Presto… L’incitamento del Duce… Popolo corri alle armi… aveva colpito emotivamente gli spiriti giovanili, per natura. Votati all’avventura. Federico venne arruolato nel Corso sottufficiali di Fanteria in Chieri, fino a divenire istruttore dei richiamati e delle reclute in una Caserma del Comando territoriale di Torino. Il fratello Antonio intanto combatteva in zona di guerra sul territorio conteso italo-iugoslavo, meritandosi riconoscimenti militari.
Caterina proseguiva i suoi studi in Medicina a Roma. Volendosi migliorare maturò il desiderio di cambiare Università. Su sollecitazione e rassicurazione del fratello Federico si trasferì a Torino per proseguire lì gli studi di specializzazione.
La caduta del Fascismo avvenne con l’approvazione dell’Odg di Dino Grandi da parte del Gran Consiglio nella notte del 25 Luglio 1943.
Gli Alleati erano già sbarcati in Sicilia. Mussolini fu arrestato e il comando delle Forze Armate passò al Re. Badoglio diviene Presidente del Consiglio.
Questo primo avvenimento scosse le coscienze dei giovani soldati fascisti. Erano partiti euforici e ora si trovano di fronte a sconfitte militari e allo sfascio del Regime. Senza chiare disposizioni da parte dei Comandi Militari.
Durante 48 giorni vissero nelle Caserme in balia degli eventi. Esposti già all’ira dei Comandanti delle Divisioni tedesche, a fianco delle quali fino allora si era combattuto da alleati.
L’8 settembre Badoglio comunicò l’Armistizio.
Usò espressioni ambigue su come comportarsi nelle Caserme. Il disorientamento fu totale, tra speranza di fine della guerra e panico per le prospettive di dover continuare a combattere sotto comando tedesco. Uno stato d’animo con il crollo di quei convincimenti che li avevano spinti a partire e fino al quel momento sorretti di fronte alle sconfitte.
Giulio Nicoletta racconta che si sentì tradito, un mondo precipitato sulla testa, dandosi ad uno scoppio di pianto liberatorio. Era di Crotone, partito volontario anch’Egli interrompendo gli studi di Giurisprudenza.
La situazione si era fatta drammatica.
Da una parte un Re con il Governo guidato da Badoglio, invitava a cessare ogni azione di guerra contro gli Alleati, limitandosi a difendersi da eventuali attacchi.
Dall’altra Mussolini, che, liberato, per volontà di Hitler, era stato indotto a formare un nuovo Partito, il PFR e la RSI, Repubblica Sociale Italiana.
Un governo fantoccio guidato da Mussolini sotto gli ordini del Fuhrer con un Esercito che doveva continuare la guerra accanto ai tedeschi e sotto i loro Comandi.
Gli Alleati salivano lentamente. I soldati meridionali nelle loro case non potevano tornare. Nelle loro Caserme ogni Comandante cominciò a prendere decisioni in proprio.
Ogni muro era riempito di minacciosi manifesti, firmati da Comandanti nazisti e fascisti, che invitavano i reparti, i singoli soldati, i chiamati al servizio di leva e i richiamati, a presentarsi nelle Caserme, pena la fucilazione sul posto e ritorsioni contro i familiari.
I documenti di Federico, quelli analizzati nell’Archivio della Resistenza e dell’Archivio di Stato di Torino, una visita sui luoghi di combattimento con epicentro Giaveno, hanno permesso di conoscere puntualmente la vicenda partigiana di Antonio, di Caterina e di Federico.
Giaveno è stato il Comune epicentro della lotta partigiana in quella cintura pre alpina torinese, di riferimento per Trana, Avigliana, Sangano, Cumiana, Coazze, Grugliasco. Perché sede di un sottocomitato clandestino del CLN piemontese, al quale hanno fatto sempre riferimento le bande-brigate costituitesi sui versanti della Valle solcata dal fiume Sangone.
Il momento di avvio dell’esperienza partigiana per Antonio e la sorella Caterina è la scelta compiuta da Federico. Quando, il 9 Settembre, non volle consegnarsi agli ordini di Comandanti nazisti e dei pochi dell’ Esercito della RSI, favorevoli a proseguire la guerra agli ordini dei nazisti.
Federico non volle.
Decise di darsi alla montagna con la pistola d’ordinanza seguito da un paio di soldati. Era necessario non farsi catturare. Si diresse in una località dove sapeva essere presenti altri già considerati banditi e fuoriusciti. Dove c’erano da tempo antifascisti perseguitati da sempre.
Tra quelle montagne c’erano anche altri comandanti e soldati meridionali, che presto formarono delle bande per difendersi dai rastrellamenti fascio-nazisti. C’era Giulio Nicoletta assieme al fratello Franco, un Ufficiale della Finanza arrivato dai Balcani, Federico formò un gruppo chiamato Frico. Si fa subito notare per le azioni militari coraggiose, ma anche per i comportamenti di generosità e lealtà verso i suoi e verso gli stessi nemici catturai. Soprattutto era rispettato e ammirato dalla gente di quelle località montane, a volte in nuclei isolati di abitanti esposti
- da una parte alle rappresaglie delle squadre miste di repubblichini assai vendicativi e di tedeschi;
- dall’altra alle vessazioni di gruppi di sbandati che si spacciavano per partigiani.
Costoro rappresentavano un doppio pericolo per quelli che si avviano a divenire partigiani.
- perché con le loro malefatte seminano rancori e forme di accuse verso i veri partigiani;
- perché bisogna guardarsene in quanto facili delatori sono pronti a indicare ai nemici i “covi” delle bande, la loro consistenza numerica e degli armamenti posseduti.
In poco tempo Federico si fa notare con coraggiose azioni di sabotaggio, per l’approvvigionamento di armi, di medicine e vestiario pesante, con l’inverno già arrivato.
Tanto che il suo nome si diffonde tra le altre formazioni delle due vallate laterali, di Susa e del Chisone.
Antonio, pure si rifiutò di continuare la guerra. Disgustato dalle efferatezze contro la popolazione inerme, sia dalle squadre naziste che fasciste. Non potendo tornare in Calabria, neppure con un natante lungo l’Adriatico, si diresse dal fratello Federico. Con la sua esperienza si rafforzarono le operazioni della banda Frico, in sicurezza e capacità di movimento.
I Comandanti tedeschi, attraverso i confidenti locali, li individuarono, identificati nei documenti come i fratelli T.
Caterina nei primi tempi andò a trovare Federico portando notizie, medicinali e sacchetti di alimenti, facendo la spola su un trenino che saliva e scendeva, da Giaveno a Torino.
Era divenuta una staffetta, Si Laureò in un ricovero nel mentre Torino subiva un bombardamento. Coperta nell’Ospedale dal Primario, un antifascista poté camuffarsi tra i pendolari. Quando si accorse che era stata seguita, abbandonò la dimora di Torino, anche per non recare danno alla famiglia che la ospitava, Salì pure lei in Montagna.
Le rappresaglie sanguinarie degli squadroni fascio nazisti, la vista dei compagni caduti, lo strazio sui loro corpi, i cadaveri abbandonati allo scempio degli animali, le vendette verso i nuclei familiari con interi villaggi incendiati, perché considerati sostenitori degli sbandati, con razzie e stupri su giovinette pure mitragliate, convinsero lentamente i “banditi” che, dopo la scelta di rifiutare i Comandi dei fascio-nazisti, mettendosi in salvo, bisognava deciderne un’altra.
In quella vallata c’era un giovane universitario: Guido Quazza studiava, partecipava alle azioni armi, e da una banda all’altra leggeva e commentava libri. Soprattutto di autori risorgimentali. Come se loro, in Montagna ne fossero divenuti gli eredi. E cosi si sentirono, Si sentirono chiamati a combattere un Secondo Risorgimento. Il CLN piemontese, attraverso il sottocomitato di Giaveno, sapeva della presenza delle bande nella Val Sangone, capaci di portare a termine operazioni contro le meglio armate squadre nemiche, infliggendo dure perdite, con catture di soldati graduati.
Il CLN sapeva che quelle bande erano gelose della loro autonomia.
Un’autonomia che però, se le rendeva più rapide negli spostamenti, senza collegamenti tra loro le lasciava esposte all’isolamento e allo sterminio di interi nuclei.
Una rappresaglia spaventosa portata fino ai loro “covi” più in alto, con rastrellamento tra gli antri rocciosi, con mezzi pesanti e carri armati, provocò una strage in una banda rimasta accerchiata. Ciò convinse i comandanti delle bande della Val Sangone a unificarsi per costituire una Divisione, che entrò nell’organizzazione del CVL, ala armata del CLN.
La Divisione si costituì con quattro ex bande divenute brigate, tra cui la Frico. Con il nome di Sergio De Vitis, un Comandante caduto durante l’assalto ad un deposito di armi.
Si diede un assetto di comando. A capo della Divisione fu indicato Giulio Nicoletta e tra i suoi Vice, con la qualifica di Capo di Stato Maggiore, fu chiamato Antonio Tallarico.
Durante i due inverni i combattenti partigiani dei luoghi vicini se ne tornavano nei loro paesi.
I lontani da casa dovevano affrontare i lunghi mesi di freddo e di isolamento in antri riparati al meglio. Non potevano tanto muoversi perché il manto nevoso prendeva le impronte del loro cammino. Il fuoco li segnalava, con il fumo e la luce.
Per necessità erano ospiti in famiglie che, possedendo animali, avevano stalle, depositi di foraggi e legnaie.
Caterina, con il nome di battaglia Nina, da crocerossina riusciva, a periodi, a mimetizzarsi nelle corsie dell’Ospedale di Giaveno, prestando cure da infermiera, sorprendendo Medici e ammalati per la sua prontezza e bravura.
Le seconde festività natalizie, quelle del 1944-1945, erano trascorse da poco. Antonio e Federico erano scesi a Giaveno a casa di Reginalda una Maestra napoletana che da tempo era nelle fila della Resistenza come “avvistarice”- staffetta, Frequentavano quella casa, crocevia di partigiani, dove prendere provviste e ricevere informazioni.
Quella sera del 13 Gennaio tardarono.
Le strade erano state spalate, libere, ma l’abbassamento della temperatura le aveva coperte di un velo di ghiaccio.,
Furono sorpresi da due tedeschi in pattugliamento. Federico portò la mano verso la pistola, Antonio lo fermò. Sarebbe stato pericoloso sparare.
Vennero fermati per il mancato rispetto del coprifuoco. In caserma dove rimasero trattenuti arrivarono Ufficiali che li riconobbero come i banditi-fuorilegge T. Due Comandanti preziosi. Dai quali ottenere informazioni importanti. Sempre utili per uno scambio.
Processati da un tribunale militare speciale, per direttissima, vennero condannati a morte, trasferiti da un carcere all’all’altro, fino al Braccio dei prigionieri partigiani, delle Molinette, sotto diretto controllo nazista.
I tedeschi non riuscirono ad estorcere alcuna informazione. In celle separate ricevevano dei pacchi inviati dalla sorella, recapitati da persone di fiducia.
Caterina attraverso le sue conoscenze in Vescovato, senza avvertire i due fratelli, che sapeva essere contrari, si interessava a farli scarcerare, assieme ad altri del gruppo.
La “domanda di grazia” fu esaminata dai comandi tedeschi. I due fratelli non furono liberati. Però, riconoscendo che non si erano mai macchiati di efferatezze,, che non avevano mai infierito sui sodati tedeschi prigionieri, decisero di commutare la pena di morte in ergastolo.
In attesa degli eventi.
Gli eventi liberatori arrivarono. Le brigate di montagna erano state allertate. La Divisione avrebbe dovuto partecipare alla Liberazione di Torino con compiti logistici e obiettivi da occupare assai strategici, come la Caserma Montegrappa, il presidio di incroci stradali di passaggio delle Divisioni tedesche costrette alla ritirata, senza colpirle.
Non poterono partecipare militarmente alle operazioni. Avevano partecipato alla preparazione dei piani poi sospesi.
A posto di Antonio come Vice Comandante di Nicoletta era stato chiamato Giuseppe Falzone. I combattenti della Brigata Frico, già divenuta “Nebiolo Secondo”, furono integrati nella Brigata comandata da Franco Nicoletta, Tutti impegnati nelle operazioni di liberazione di Torino secondo il piano concordato tra CLN piemontese e Giulio Nicoletta Comandante della 43^ Divisione autonoma Val Sangone.
Durante le giornate del 26-27-28-29 Aprile la città venne paralizzata da uno sciopero generale. Le Brigate della Divisione scesero dalla montagna liberando le vie di transito, occupando gli obbiettivi assegnati.
Caterina in quella confusione si recò alle Molinette in cerca di Comandanti tedeschi a cui chiedere la liberazione dei fratelli considerando anche che le Divisioni naziste erano ormai tutte in ritirata. Temeva che in quello scompiglio, di ordini contraddittori, qualche graduato potesse perdere la testa e compiere strage di detenuti.
Trovò che i responsabili avevano dato fuoco ai fascicoli dei partigiani dandosi alla fuga..
I due fratelli e la sorella poterono uscire ed essere in tempo per la sfilata dei Partigiani nella Città liberata.
Antonio e Caterina, ormai Nina, partirono verso Casa.
Nina si fermò a Roma presso una sua ex compagna di studi. Qui apprese della morte del Padre. Avvenuta durante uno dei bombardamenti su Catanzaro.
Federico dovette restare per esaminare le richieste di chi chiedeva di essere riconosciuto partigiano
Il CLN aveva avvertito con circolare che i Comandanti di Brigata e di Divisione dovevano impegnarsi ad evitare gli assalti indicando le condizioni da accertate per distinguere i Partigiani combattenti, i Benemeriti, i Patriota, allontanando i troppi intrusi pronti a saltare sul carro dei vincitori…
Fu un ritorno triste perché non trovarono il Padre.
Fu un ritorno nel silenzio, tra le diffidenze della stessa Prefettura, rimasti classificati ancora come dei fuorilegge.
Caterina volle rimuovere l’esperienza partigiana però conservò il nome Nina.
Antonio dopo una breve esperienza di Sindaco a Marcedusa si avviò all’insegnamento e alla professione di Ingegnere.
Solo Federico, Docente di Materie Letterarie, si avvicinò all’impegno politico, con tessera del PSI, rifiutando sempre candidature . ma attivo durante le tornate elettorali a sostegno dei candidati del Partito. Come gli Riconoscerà il Sindaco Olivo con un attestato di Benemerenza
Altri riconoscimenti ha ricevuto dal Presidente Spadolini e un Diploma di Onore dallo stesso Presidente Sandro Pertini.
Oggi Noi, rendiamo Loro onore per come possiamo: grazie Tenente Frico, grazie Nina, grazie Capitano Frico. >>