Territorio, tecnica, innovazione, ricerca e tradizione. Sono questi gli elementi fondanti della cucina di Claudio Villella, rinomato chef di Motta Santa Lucia e amico del nostro sito ilReventino.it.
Un’alchimia perfetta, declinata attraverso un percorso culinario teso a premiare la sua terra, in una sorta di continuo rimando agli archetipi più reconditi della nostra mente, che emergono attraverso l’assaggio di piatti che fanno riaffiorare profumi e sapori ormai dimenticati.
Sempre però, come dice Giuseppe Calcaterra in un suo libro, spezzando quel “pane che si chiama amore”.
Questo è, in sintesi, Claudio Villella nella sua cucina dove non è solo il silenzioso scultore che modella il cibo e lo trasforma in deliziose e indimenticabili esperienze sensoriali, ma anche il narratore delle bellezze e delle straordinarie ricchezze che la Calabria e, in particolare, il Reventino offre a tutti coloro che hanno voglia di assaggiarlo.
Così propone ai suoi commensali di arricchirsi spiritualmente andando a scoprire le bontà locali preparate con cura e amore (sempre quello) dai piccoli produttori che, nelle loro, a volte, minuscole realtà aziendali, sanno conferire ai loro prodotti quell’imprinting che resterà indelebile, appunto, nelle nostre menti.
Chef Villella insieme alla sua allieva, la chef Anna Riga, hanno partecipato, nella bellissima cornice del locale “Il Porto Vecchio”, alla puntata di Linea Verde, andata in onda domenica scorsa 16 aprile, su Rai Uno in cui si raccontava la Calabria ionica del Crotonese. E’ stata l’occasione per il nostro Claudio, di preparare uno straordinario piatto a base di gambero viola dello Ionio, accompagnato da due prodotti tipici del Reventino: i funghi porcini in agrodolce, la mela “cannaruta”, una pianta antica chiamata anche “coccia” in dialetto, varietà recuperata in questi ultimi anni e un crumble di noci, una delle piante da sempre identitarie del Reventino.
Ci racconta Claudio (Villella ndr) che questo tipo di mela “si conservava sulle reti che proteggevano “sazizze e suppressate” appese allu tavulatu (soffitta) all’aria d’i ceramili, ovvero esposte alla circolazione naturale dell’aria nel sottotetto di tegole, ma anche in cassette coperte di paglia”. Questo mix di sapori antichi raccontano la storia e il vissuto del nostro territorio e ci riportano all’epoca in cui i nostri nonni o ancora meglio i bisnonni vivevano cibandosi dei prodotti genuini della terra e di ciò che offriva spontaneamente madre natura. “Io – dice ancora lo chef calabrese – cerco di recuperare alcuni cibi ormai dimenticati e, attraverso l’uso di tecniche moderne e contemporanee, mettere insieme i territori, unire la Calabria dal mare all’entroterra con abbinamenti che spieghino l’unicità della nostra amata terra in cui in un attimo puoi passare dal mare alla montagna e viceversa come solo qui avviene”.