In questo strano e difficile tempo che stiamo vivendo mi risuonano continuamente in testa le parole del Qoelet, tra i libri più belli e spiazzanti della Bibbia (vi invito a leggerlo, o rileggerlo, in questi giorni di forzata clausura).
“C’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci”, recita il saggio Qoelet. Chi mai avrebbe potuto pensare che ci sarebbe stato davvero un tempo in cui queste parole si sarebbero tradotte in una tragica realtà e che, tra noi e la persona che desidereremmo abbracciare, ci sarebbe stato un metro di distanza?
“C’è un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli ‒ continua Qoelet ‒ un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via”, un tempo, potremmo parafrasare, in cui abbiamo forse sprecato, buttato via, tanti tesori di cui godevamo ogni giorno e della cui preziosità, come sempre accade, non abbiamo colto il valore finché non ci sono venuti a mancare.
È quanto sta accadendo in queste ore con la Santa Messa e con gli incontri di catechesi e preghiera che, generalmente, in periodo di quaresima, per i cattolici, diventano ancora più frequenti e intensi. A Soveria lo sarebbero stati in particolar modo.
Era infatti un programma ricco e intenso quello che don Roberto Tomaino aveva elaborato per la comunità soveritana, un programma il cui svolgimento – almeno nelle modalità in cui era stato immaginato – si è bruscamente interrotto alla seconda domenica di quaresima quando, in seguito al Decreto Conte dell’8 marzo e su indicazione della Conferenza Episcopale Italiana, sono state sospese le funzioni religiose con partecipazione di fedeli su tutto il territorio nazionale, compresi i funerali e gli altri sacramenti.
L’altro ieri sera (l’8 marzo NdR) le campane delle chiese di Soveria hanno suonato a lutto, in segno di mestizia, invitando la comunità a raccogliersi in preghiera in un momento così particolare e difficile. Mai era accaduto, dacché ci sia memoria, che la Chiesa avesse assunto dei provvedimenti così drastici che rendono certamente conto della drammaticità e unicità del momento presente.
Il buio di questi giorni, dato dalla dolorosa sospensione forzata della partecipazione alla liturgia potrebbe però essere squarciato da uno di quegli spiragli di luce attraverso cui la Grazia talvolta si fa spazio nella nostra vita, facendoci assaporare davvero il desiderio di Dio e la grandiosità del mistero eucaristico attraverso il quale siamo intimamente legati a Cristo.
L’“astinenza” che ci viene chiesta è certo più gravosa da sopportare del piccolo sacrificio di non mangiare il prosciutto il venerdì. Il digiuno eucaristico è senza dubbio un sacrificio immensamente maggiore del pasto saltato il Mercoledì delle Ceneri o il Venerdì Santo. Eppure, così come il digiuno dal cibo serve a disciplinare il nostro corpo e a temprare il nostro spirito,il digiuno eucaristico che ci viene di fatto imposto servirà a comprendere quanto per ognuno di noi è importante il “pane del cammino” del quale ci nutriamo alla Mensa del Signore.
Questo che stiamo vivendo è un tempo eccezionale che ci interroga, ci provoca in quanto cristiani e ci invita a riflettere.
Giova ricordare a tal proposito che i monaci anacoreti che nel primo millennio del nostro evo hanno abitato eremi, laure e grotte sparse in molti angoli della nostra Calabria partecipavano di rado all’Eucaristia (molto spesso non erano sacerdoti). A volte, se fortunati, una volta al mese, a volte anche dopo anni. Eppure offrivano in olocausto la loro preghiera che saliva incessante verso il cielo unendo così il sacrificio della loro vita a quello di Cristo sull’altare.
Lo stesso periodo di Cristo trascorso nel deserto, quei quaranta giorni che fanno da archetipo della nostra Quaresima, non è stato forse un tempo in cui Gesù è stato lontano dal culto della sinagoga e del tempio cui normalmente partecipava?
Il digiuno ci fa gustare a pieno la bontà del cibo. Così, se non ci lasciamo vincere dal demone dell’accidia (ricordate il bel quaresimale di don Roberto dello scorso anno su questo peccato capitale?), apprezzeremo ancor più il dono del Corpo e Sangue di Cristo di cui, al termine di questo periodo (che, salvo ulteriori proroghe, coinciderà con la Settimana Santa), potremo godere mentre contempliamo il mistero della morte e risurrezione del Signore.
Ieri (9 marzo) don Roberto ha inviato, alle 18, a tutti i fedeli tramite WhatsApp la foto dell’altare allestito per la celebrazione della Messa, ricordandoci così che la celebrazione della Messa non è affatto sospesa, come qualche giornalista ha scritto frettolosamente. Il Papa, i sacerdoti, i monaci, i vescovi, continueranno a celebrare ogni giorno la Messa. Quello che cambia è che le celebrazioni avverranno in assenza di fedeli che sono invitati a unirsi spiritualmente alla Chiesa di Cristo che non ha mai smesso da duemila anni di offrire al Padre il sacrificio dell’Altare.
Nel vedere la foto inviata da don Roberto non ho potuto fare a meno di pensare alla celebre scena di don Camillo in cui Fernandel celebrando la Messa con l’acqua fino alla cintola in una città abbandonata per via dell’alluvione, pronuncia una vibrante omelia: «[…] un giorno – dice don Camillo ai suoi paesani che lo ascoltano sulle barche o sulle colline circostanti – le acque si ritireranno e il sole ritornerà a splendere. Allora ci ricorderemo della fratellanza che ci ha unito in questi giorni terribili e, con la tenacia che Dio ci ha dato, ricominceremo a lottare perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli e perché la miseria sparisca dalle nostre città e dai nostri villaggi […] e il nostro paese diventerà un piccolo paradiso in terra. Andate fratelli io rimango qui per salutare il primo sole e portare a voi lontani con la voce delle vostre campane il lieto annuncio del risveglio».
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Il nostro don Roberto ha inviato stamani un videomessaggio a tutti i parrocchiani: «Penso che l’atteggiamento chiave di questi giorni – ha detto don Roberto – non debba essere la paura, ma il coraggio. La paura ci immobilizza mentre il coraggio ci fa assumere responsabilmente gli atteggiamenti giusti. Questo è il tempo del coraggio in cui ognuno di noi si sente responsabile non solo di se stesso ma anche degli altri […] un tempo per mettere da parte le liti e le discordie, un tempo per riscoprirci un po’ più umani e, dunque, veramente cristiani».
Don Roberto, nel suo videomessaggio, ha annunciato una serie di iniziative per non far mancare il conforto spirituale a tutti i parrocchiani: la Messa in diretta sulla pagina Facebook della parrocchia e sul sito de ilReventino.it tutti i giorni, a partire da giovedì, alle 19,30; la diretta della messa domenicale con gli stessi mezzi alla domenica alle 11 e, ancora, la diretta dei quaresimali, della Via Crucis agli orari che verranno di volta in volta comunicati. In particolar modo don Roberto ha chiesto a tutti i fedeli di accendere la candela benedetta della Candelora ogni sera alle 19,00 e recitare l’Ave Maria, quando le campane del nostro Santuario suoneranno l’Angelus: «Maria si avvicina – ha concluso don Roberto – e sussurra anche a noi, come ha sicuramente fatto con il Bambino e con Giuseppe, quella frase che ogni madre dice ai suoi figli: “Forza, figlio mio, forza figlia mia, andrà tutto bene”».
di Antonio Cavallaro