di Raffaella De Grazia –
Mancano ormai circa una sessantina di copie per coronare il sogno di veder pubblicata la propria opera, “In fondo al mar”, nella quale la giovane scrittrice Martina Cerra, di Decollatura anche se in verità milanese di nascita ma in pratica calabrese «di origine e di fatto» come ama dire lei stessa, riesce a coniugare con una sensibilità senza precedenti il visionario filone del fantasy con la drammatica attualità degli sbarchi dei migranti sulle nostre coste: una realtà che, spesso e malvolentieri, non porta ad un lieto fine per le migliaia di uomini, donne e bambini che vedono ancora nel nostro Paese una sorta di “terra promessa”.
Del suo nuovo volume – il terzo dopo “Marlene tra le righe” e “Di draghi, streghe e anime solitarie” – e della rivoluzionaria campagna di crowdfunding promossa dal portale Bookabook per incentivarne le vendite la giovane scrittrice decollaturese aveva già parlato sulle pagine del sito ilReventino.it lo scorso settembre (clicca QUI per rileggere l’articolo); la campagna, nel frattempo, è stata prolungata per un altro mese, dato che a causa della nuova ondata dell’epidemia da Covid-19 non è possibile, purtroppo, organizzare degli eventi in presenza per promuovere il volume. “Nonostante le difficoltà oggettive, la promozione tramite crowdfunding sta procedendo – ha dichiarato entusiasticamente Martina Cerra – alla grande, mancano poco più di 60 copie per raggiungere l’agognato obiettivo”.
Proprio per incentivare i lettori all’acquisto del suo romanzo, Martina Cerra ha deciso di regalare a tutti i lettori qualche “succulento” spoiler sulla sua nuova creatura, a partire da un approfondimento sui protagonisti di quello che oramai è rinominato “fantasy dell’anima”. Si parte da Morgana, la protagonista di “In fondo al mar”, personaggio “Manifestatamente ostile nei confronti degli uomini. Sotto la diffidenza e il cinismo, però, come molti tra noi, la mia sirena è una persona empatica e sensibile che non riesce più a ignorare la sofferenza che la circonda”. Non la solita sirenetta delle favole, dunque, ma un personaggio quasi mitologico rivisitato in chiave moderna, dominato da impulsi e sentimenti assolutamente umani e tuttavia animato dal desiderio di “Agire, di fare la cosa che considera più giusta”.
La costruzione dei personaggi è uno dei fattori più importanti per decretare il successo di un romanzo e Martina lo sa bene. La stessa attenzione dedicata a costruire le mille sfaccettature di Morgana è stata riservata ai comprimari della storia: “Tra tutti i personaggi Fabio è stato il meno difficile da costruire perché ha avuto la fortuna di avere un riferimento reale a cui ispirarsi, un medico che mentre scrivevo il libro stava studiando proprio per la specializzazione in medicina legale che ha pazientemente risposto a tutte le domande da profana che gli ho fatto per raccogliere informazioni – spiega la Cerra – un personaggio preponderante come Morgana aveva bisogno di esser bilanciata da una controparte più sottile che avendo a disposizione “meno” spazio riuscisse ad emergere in poche battute. Da qui la costruzione di un giovane a cui non basta vedere il mondo dallo schermo ma che ha bisogno di viverlo in prima persona, gentile e paziente (tanto paziente), innamorato perso della sua ragazza Elisa”.
Altro personaggio-chiave è Orsy, che “Al contrario di Fabio, è il personaggio inventato di sana pianta con cui ho dato – racconta l’autrice – briglia sciolta alla fantasia. Mi piaceva l’idea di avere un pezzo di Chiara che viaggiasse con i due compagni e che mi permettesse di raccontare il prima ed il dopo della morte dal punto di vista di chi vive il lutto sulla propria pelle, pelliccia sintetica nel caso specifico. Avendo scelto un tono che rendesse più facile la lettura di argomenti così impegnativi e difficili, l’orsacchiotto di peluche è l’escamotage che può rendere personale la lettura senza renderla nello stesso tempo dolorosa”.
La “quota fantasy” del romanzo è resa ancor più affascinante da un personaggio a dir poco mitologico: la Mammadraga. “Le Mammedraghe, in verità, sono dei mostri antropomorfi con cui gli eroi delle fiabe devono confrontarsi e su cui devono prevalere per poter realizzare il loro destino. Generalmente mangiano i bambini e, al caso, non disdegnano le giovani fanciulle. Come ho scritto la mia Scilla, e le sue antenate, non hanno mai mangiato un bambino in vita loro e anzi hanno sfruttato la malizia e l’astuzia tipici della loro stirpe per perdurare e affermarsi in una realtà che non crede più alla loro esistenza – spiega Martina Cerra – Descriverla come la matriarca di una famiglia numerosa e su cui impera come un sovrano assoluto mi ha divertito molto anche perché, essendo la tradizione favolistica italiana piena di donne malefiche, streghe e, per l’appunto, mammedraghe, mi ha permesso di sovvertire un pregiudizio di genere per cui se una donna si comporta in maniera differente viene raccontata e ricordata come cattiva”.
“In fondo al mar” ha tutte le carte in regola per diventare un volume appetibile non solo per gli appassionati del genere fantasy, ma anche per tutti coloro che vedono nella lettura un escamotage, un rifugio dalle problematiche quotidiane. E’ proprio a questa tipologia di lettori, ma non solo, che Martina Cerra dedica un’ultima, imperdibile chicca: un breve stralcio del primo capitolo di “In fondo al mar”, un ulteriore invito (qualora servisse) a dare forma al sogno editoriale di una sicura promessa della letteratura calabrese e italiana.
“Si racconta che su un’isola nel mezzo del Mar Mediterraneo viaggiava spensierata una famiglia. Il lungo inverno si era trasformato in una gentile primavera, e loro, prima che quest’ultima diventasse una torrida estate, avevano lasciato la città e il lavoro per godersi qualche giorno di meritato riposo senza altri familiari che si contendessero le attenzioni e l’affetto della piccola Chiara. Davide, il papà, aveva pianificato a lungo durante i mesi di freddo per portare Giulia-Amore e Chiara-Gioia in vacanza sull’isola. Erano passati quasi tre anni da quando lui e Giulia avevano promesso di rimanere insieme per sempre e Chiara era nata. Tre anni in cui, per quanta gioia e pienezza la bambina avesse portato nella loro vita, avevano imparato attraverso prove quasi insuperabili, errori da principianti e notti in bianco, tante notti in bianco, che accudire un neonato, specie se primogenito, era un’esperienza provante. Adesso che la piccola era più grande e autonoma, Davide aveva pensato che fosse il momento per lui e Giulia-Amore di ricordarsi di quando ogni loro più piccolo gesto era stato una meraviglia, così, colto da ispirazione, aveva deciso di sorprenderla e organizzare una vacanza lì dove tutto era iniziato.
Il loro amore non era stato un colpo di fulmine o una storia travolgente e piena di ostacoli come quelle raccontate nei libri, ma era iniziato in sordina così timido che ci era voluto del tempo perché se ne accorgessero..”