di Giovanni Petronio –
La Shoah rappresenta uno spartiacque nella storia dell’umana civiltà, un passaggio epocale contrassegnato da abnormi atrocità; un elemento di potenza che si incarnò nella volontà dei dominanti, declinata nella totale svalutazione dell’altro. Fu la messa in opera nell’Europa moderna di un sistema politico, economico e industriale enorme, messo al servizio di un solo obiettivo, uno solo: lo sterminio del popolo ebraico. Sembra assurdo che dopo secoli di sviluppo intellettuale, morale e civile tutto questo possa essere stato perpetrato in Europa; l’intelligenza dell’uomo toccò il fondo più estremo, dissolvendosi come neve al sole. La tragedia della Shoah è posta al di fuori di ogni limite di morale condivisa, i campi di sterminio infatti furono dei veri e propri centri di distruzione del genere umano, forgiati appositamente per uccidere e annichilire chiunque vi si trovasse dentro, non solo psicologicamente, ma, anche materialmente. Furono delle vere fabbriche della morte, razionalmente e industrialmente organizzate allo scopo di ottenere il massimo utile possibile; in quegli anni sembrò quasi che l’ideologia della morte stesse trionfando sulla bellezza della vita.
Secondo Eli Wiesel sopravvissuto all’orrore dei campi e poi insignito del premio Nobel per la letteratura: “Dovremo dedicare questa giornata (il 27 gennaio) non solo al ricordo, ma anche alla riflessione, alla presa di coscienza perché il silenzio non aiuta mai la vittima ma sempre l’aggressore. Dal passato abbiamo imparato che l’antisemitismo è un’infamia e il razzismo è stupido ma non dobbiamo consentire che il nostro passato diventi il futuro dei nostri figli”. Queste parole furono pronunciate da Wiesel il 27 gennaio del 2010, quando parlò al Parlamento italiano, riunito in seduta congiunta alla presenza del Presidente Napolitano. Per lui l’accento non deve essere posto sul “sé ricordare” ma, sul “come bisogna ricordare”. Centrale secondo lui è il silenzio che appunto non aiuta la vittima, e i gesti che si usano. Si rischia infatti di fare troppa retorica su questa giornata, limitandosi ad utilizzare il solito linguaggio oramai trito e ritrito e quasi elementare: “Mai Più, Mai dimenticare” ecc, linguaggio spesso fine a sè stesso o legato alla commemorazione rituale di turno. L’atto della memoria infatti deve essere un gesto concreto, che, come afferma il professore Bidussa, “rinvia a una storia culturale che contiene variazioni e modifiche”, una storia che potrebbe ripresentarsi; prima di tutto quindi teniamo presente quanto segue:
Attenzione agli atti e al linguaggio che utilizziamo, evitiamo il turpiloquio ed eventuali parole “malate”, non solo quando si parla di Shoah ma in generale, come può essere l’utilizzo continuo della parola razza, altamente pericolosa! Quindi attenzione a definire, come ci insegna Primo Levi, ogni straniero come nemico, perché quando questo si verifica allora si rischia di ri-aprire le porte al lager. Il turpiloquio è altamente diseducativo, soprattutto quando viene utilizzato da leader di movimenti politici…
Non considerare come normale ciò che normale non potrà mai essere, attraverso teorie negazioniste che reputano una bufala la Shoah o comportamenti dissimulatori in cui si mostra di sentire ciò che in realtà non si sente, o si cerca di far credere una cosa o un fatto che in realtà non esiste. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, era una sintesi di entrambe, quando definì la Shoah come un’invenzione e Israele come “il regime più criminale della storia dell’umanità”.
Prudenza a non cadere nella zona grigia che è l’oblio, unita all’indifferenza. Essere indifferenti dice Liliana Segre (deportata ad Aushwitz), è molto più grave della violenza; perché l’indifferenza coglie l’essere umano impreparato, la violenza no! Secondo lei gli ebrei da subito divennero vittime dell’indifferenza e per questo umiliati, non solo dallo Stato ma anche da una parte dell’opinione pubblica. La zona grigia si realizza quando la memoria umana tende ad eliminare o modificare i ricordi; quindi è centrale porre l’attenzione per abbatterla, sulla conoscenza del passato che permette agli uomini (ci sia augura), di non ripetere gli stessi errori. La memoria deve essere un lavoro di ricostruzione permanente, deve avere fili interconnessi.
Evitare le stereotipizzazione e la cristallizzazione del ricordo che rendono semplice quello che non in realtà non è; invece di mantenere vivo il ricordo lo incastonano e lo pietrificano, impedendone il dinamismo.
Non considerare la Shoah come un incidente di percorso, riconducendola almeno parzialmente all’antisemitismo e antisionismo da secoli diffuso. Evitare inoltre di enucleare la Shoah dallo spazio e dal tempo, nel quale essa si realizzò, cioè la seconda guerra mondiale. Spesso si fa riferimento alla Shoah come un fatto a sé e questo non ci permette di avere un quadro completo degli accadimenti.
Evitare di legare il significato dei campi di concentramento e sterminio nazisti con i gulag sovietici; solo tenendoli separati si può cogliere il significato di entrambi. Differente è lo scopo per cui i lager e i gulag vennero utilizzati: il Nazismo aveva come fine quello di sterminare gli ebrei, senza costruire qualcosa di concreto per la società, (solo durante l’ultimo periodo della guerra si utilizzarono gli ebrei come lavoratori coatti); i prigionieri dei gulag avevano una minima speranza di sopravvivere, in quanto erano sottoposti al lavoro forzato e non alla morte immediata. Essi vennero utilizzati per costruire, in questo caso qualcosa di concreto, ferrovie, strade, ecc. Un’altra differenza è che gli ebrei vennero scelti per una questione biologio-razziale legata alla di stirpe, i prigionieri dei gulag erano accusati di aver commesso un crimine politico; il loro arresto quindi non era riconducibile a questioni bilogiche! Possiamo poi immaginare il campo di sterminio come l’inferno in terra vero e proprio, il gulag invece come una bolgia di sofferenza di stampo dantesca.
Quando si parla del 27 gennaio si dovrebbe sempre di più sottolineare di quanto il paradigma di italiani brava gente sia da demolire. Sembra essere quasi un mito che noi italiani, non prendemmo parte a questo massacro ma, che furono altri a perpetralo… Per quanto concerne la galassia dei campi di sterminio essi chiaramente non furono costruiti sul suolo italiano ma, vale la pena ricordare che le leggi razziali le abbiamo fatte pure noi. Nel 1938 le disposizioni a tutele della razza, limitarono fortemente la possibilità e la libertà di vivere serenamente ai circa 45 mila ebrei dell’epoca. Noi italiani, così brava gente, facemmo pure un censimento indirizzato a stabilire esattamente quanti e ebrei si trovassero nella penisola; non dimentichiamo neppure che oltre 2000 ebrei furono catturati o segnalati da fascisti o dal neonato esercito salodiano, che non erano certo composto delle legioni straniere!
Infine demoliamo l’altro concetto e cioè che nostri concittadini calabresi non furono deportati nei campi di concentramento; infatti quasi 300 calabresi finirono nella galassia concentrazionaria nazista; circa il 50% vi morì. A questo proposito posso evidenziare che da qui ad un anno, il lavoro di ricerca su questa tematica verrà reso noto dal sottoscritto.