Una domenica di marzo è il periodo ideale per inoltrarsi nei boschi del Reventino-Savuto. Il clima è mite, il cielo leggermente velato, e la luce sufficiente per scorgere nel sottobosco quelle succulente e nutrienti prelibatezze che, un tempo, erano parte integrante della nostra alimentazione ma che oggi pochi raccolgono ancora.
Di quali prelibatezze parliamo? Delle erbe spontanee commestibili, una risorsa preziosa per la nostra salute e il nostro benessere. Ricche di vitamine, minerali, antiossidanti e fibre, sono molto più nutrienti delle loro lontane parenti coltivate in maniera intensiva e disponibili nei supermercati o fruttivendoli.
Identificare le erbe spontanee commestibili, oggi, può essere un’impresa complessa. Ormai quasi nessuno le raccoglie più. Un tempo erano una risorsa alimentare fondamentale per le nostre nonne e bisnonne, specialmente in periodi di ristrettezze economiche, durante il conflitto bellico e il dopoguerra. Nel Reventino-Savuto, fino alla prima metà del XX secolo, l’agricoltura era predominante e la popolazione contadina era la più numerosa. Le semenze erano un patrimonio da tutelare, e il cibo veniva integrato con quanto la natura offriva spontaneamente.
Questa tradizione si mantenne anche durante il boom economico degli anni Settanta, quando le nostre madri, per abitudine e per il desiderio di preservare i sapori della cucina tradizionale, approfittavano delle scampagnate primaverili per raccogliere erbe spontanee, spesso coinvolgendo i bambini al seguito, trasformando la raccolta in un gioco divertente.
Chi ha vissuto queste esperienze conserva il ricordo di quei sapori autentici e, ancora qualcuno, continua a raccogliere le piante più comuni e conosciute. Tuttavia, il rischio è che l’oblio del tempo cancelli la conoscenza di questa ricchezza gastronomica e culturale. Molte specie, non più riconosciute, rischiano di essere ignorate o calpestate, pur potendo arricchire la nostra tavola con contorni saporiti e piatti salutari.

Il Reventino-Savuto, con la sua biodiversità e la particolare morfologia del territorio, offre un habitat naturale a una vasta varietà di flora spontanea. Il periodo migliore per la raccolta delle erbe commestibili va da marzo a maggio, quando la natura è più generosa. Alcune erbe si possono consumare crude, altre necessitano di cottura per essere digeribili. Tuttavia, è bene sapere che alcune erbe possono diventare tossiche se consumate in grandi quantità.
È essenziale raccogliere le erbe in luoghi puliti, lontano da fonti di inquinamento. Meglio evitare le aree coltivate, dove si fa uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, e i bordi delle strade trafficate, soggetti ai gas di scarico delle automobili. Una buona abitudine è scegliere zone a monte dei centri abitati, dove le acque meteoriche, che spesso trasportano agenti contaminanti dalle aree urbane, non possano raggiungerle.

Ecco alcune delle erbe spontanee più comuni nel territorio:
Finocchio selvatico dal forte aroma, si riconosce per i cespugli alti e le foglie a ciuffo. Ottimo per decotti, minestroni e risotti.
Tarassaco (“cicoria”) dalle foglie lunghe e dentellate e il fiore giallo che diventa un soffione una volta secco. Ideale per minestre, soffritto con aglio e pangrattato o in decotti. Le radici essiccate erano un tempo utilizzate come surrogato del caffè.
Borragine (“vurraiene”) dai fiori viola intenso, ricca di polifenoli e flavonoidi. Ottima per minestre e contorni, ma da consumare con moderazione per la presenza di alcaloidi che possono intossicare il fegato.
Asparago selvatico dai lunghi fusti filiformi e foglie piccolissime, perfetto per frittate. La pianta giovane e tenera, quella commestibile, cresce accanto la vecchia con un fusto grossolano dal verde intenso.
Sambuco con i grandi fiori bianchi e frutti scuri, usati per frittelle, risotti, marmellate e sciroppi. Ricco di vitamina C e antiossidanti cresce in grandi cespugli dove abbonda la presenza di acque sotterranee.

Ortica chi non ha un brutto ricordo della ortica? Nonostante le sue punte urticanti, è una pianta ricca di nutrienti e versatile in cucina. Veniva spesso utilizzata per preparare zuppe. Le sue foglie, una volta cotte, perdono la capacità urticante e rivelano un sapore leggermente erbaceo, ideale per arricchire frittate e frittelle.
Anice selvatico (“aranzu”) i suoi semi neri sono preziosi per taralli, dolci, liquori e tisane digestive.
Portulaca cresce rasoterra vicino a ruderi e muretti, Simile ad una pianta grassa ha foglie ovali e piccoli fiori gialli. Ricca di omega-3, fiori e i fusti si consumano crudi in insalata, con olio e aceto.
Nepita (“niepita”): simile alla menta per il profumo, usata per decotti o per aromatizzare insalate.
Pungitopo (“sparacogna”) i giovani germogli dal sapore amarognolo si mangiano lessati, nelle frittate o come condimento per la pasta.
Senape selvatica (“laprista”) simile ai fiori delle rape, ideale per minestre o soffritta dal sapore delicato e intenso.

Cipollaccio (“cipullina greste”): il bulbo sotterraneo si cucina soffritto, lessato o conservato sott’olio.
Questo articolo non vuole essere una guida esaustiva alle erbe spontanee commestibili del Reventino-Savuto, ben lungi da averci pensato. É piuttosto un ricordo d’infanzia che rischia di svanire. Una ricchezza gastronomica che, insieme alle tradizioni del territorio, sta lentamente scomparendo. Lo spopolamento e l’abbandono degli antichi borghi, la consuetudine a procacciarsi il cibo esclusivamente con l’uso del denaro, hanno portato a una perdita delle conoscenze legate alla terra. Tuttavia, oggi si sta riscoprendo l’importanza di preservare questi saperi.
La scuola potrebbe svolgere un ruolo chiave nel recupero di queste antiche tradizioni, valorizzando il patrimonio culturale locale e offrendolo anche come strumento di inclusione e accoglienza per le nuove generazioni, provenienti da altre culture. Un modo per contribuire a proteggere la nostra identità e quella del nostro territorio, preservandola e tramandandola ai posteri.