Certo. Ci sono problemi enormi: Immigrazione, terremoti, nubifragi, inondazioni, alti livelli di disoccupazione, morti sul lavoro (primi in Europa tra i Paesi più sviluppati, per disoccupazione e per incidenti!) malaria, vaccini e via dicendo.
Ebbene dentro tante notizie “rilevanti” riprese e discusse a ripetizione in un seguito infinito di salotti televisivi compare di tanto in tanto qualche riferimento alla Scuola. Per l’inizio delle lezioni. Per la polemica sulle vaccinazioni. Per le preoccupazioni sulla sicurezza degli stessi edifici. Per il trambusto delle nomine e la girandola di incarichi e supplenze. Per il progressivo costo dei libri. Per l’enormità disfunzionale di tanti Istituti senza Dirigente Scolastico. Dati “a reggenza”. Senza personale ATA. Senza DSGA.
Ma non si riprendono e non trovano spazio i dati di una indagine (di Save Children) che invece merita molta attenzione e invoca lucide scelte di politica scolastica, perché chiarissimamente, nel mentre si incentrano entusiastici inni al “mercato”, noi, Italia, stiamo progressivamente uscendo “fuori mercato”. E ci sono due chiari indicatori che ce lo dicono Uno di natura economica, legato alla Ripresa, e l’altro di ordine più generale, legato alla Scuola: però i due indicatori sono interconnessi.
Il primo è legato al dibattito sulla “ripresa economica”. Boccia, presidente Confindustria, ha detto che: “…c’è, è lenta, è poca e rischia di restare congiunturale” (cioè: dura poco e deriva da fattori temporanei). Rizzo, editorialista del Corriere della Sera ha invitato a guardare dentro i numeri dei cosiddetti “900 mila” (?) posti in più, per scoprire che, non solo la gran parte di essi sono a tempo determinato, ma riguardano una fascia di lavoratori di età tra i 45 e i 55 anni e, soprattutto, per occupazioni che richiedono prestazioni di competenze medio-basse (lavori esecutivi, manuali e con “scarso valore aggiunto”). Mentre 110-120 mila giovani ben formati ogni anno continuano ad emigrare.
Troppo ristretta è la fetta di giovani “formati e con competenze elevate” che vengono assunti, come richiesto dall’impiego delle trasformazioni tecnologiche in atto in ogni settore produttivo. Vuol dire che, se anche cresce, il nostro sistema non è in grado di competere nel mercato economico perché sta restando un sistema a impiego di bassi livelli di conoscenze-formazioni e competenze. Perciò è un sistema destinato ad andare presto “fuori mercato”. Tranne che in pochi settori.
Il secondo, ben correlato con il primo, per le prospettive del futuro, è lo stato della Scuola. Ce lo dicono i dati dell’OCSE. Il nostro sistema scolastico, invece di venire rafforzato, sta divenendo più debole. E continua a mantenere una duplice grave contraddizione: in Italia vi sono percentualmente meno Giovani diplomati-laureati rispetto agli altri Paesi europei sviluppati (mentre abbiamo la più alta percentuale di Giovani disoccupati) e si destina alla Scuola percentualmente, tra Paesi europei, il più basso tasso di investimenti, tranne che in Turchia.
I dati che “Save the Children” ha pubblicato in un recente “Rapporto” dimostrano che il “servizio mensa” in Italia viene fruito dal 52% della popolazione scolastica (si parla di Scuola dell’obbligo, Primaria (ex Elementare). Cioè del primo Segmento obbligatorio, fondamentale dell’intero sistema. Vuol dire che il 48% dei bambini-ragazzi non frequentano “normalmente” una Scuola a tempo pieno. Ma con orario ridotto. Soprattutto nelle Regioni meridionali: Campania, Puglia, Sicilia, Sardegna, Calabria.
Ora, al di là di ogni polemica strumentale, sull’efficacia del “tempo pieno”, non vi è dubbio che una “Scuola a tempo pieno” è in grado di offrire una programmazione didattico-culturale più ricca e più articolata, in grado di favorire un processo di socializzazione ben consapevolizzato e un percorso di istruzione-formazione meglio finalizzato e più completo.
Né può indebolire tale ragionamento la polemica sui “compiti si o i compiti no dopo 8 ore a scuola”: è un aspetto da discutere sul piano didattico-pedagogico con l’equilibrio e la professionalità richiesti. Resta un dato incontrovertibile: senza tempi scuola adeguati, non solo si lascia metà degli alunni con minori opportunità formative, ma li si lascia in generale per interi pomeriggi in contesti socialmente e culturalmente poveri, esposti a rischi reali di devianze e di progressivo inadeguato livello di istruzione-formazione. Che non recupereranno mai. Tranne che per quei pochi i quali, appartenendo a nuclei familiari benestanti, hanno l’opportunità di frequentare corsi privati e vivere altre forme di esperienze formative. Ma con i “pochi” la Società non potrà sperare a miglioramenti. Non potrà progredire. Andrà “fuori mercato”.
La Scuola a tempo pieno corrisponde ad un’esigenza sociale e culturale ed anche economica dei nostri tempi. Essa comporta certamente due scelte complementari:
- Una rimodulazione sul piano didattico-pedagogico, perché non costituisca un allungamento di tempo scuola a parcheggio, ripetitiva e noiosa (è compito della Scuola riprogrammare e aggiornare attività e interventi);
- Un’adeguata politica di servizi scolastici: trasporto scuolabus e servizio mensa. I due servizi sono indispensabili in tutte quelle aree di pendolarismo, dove gli alunni affrontano tempi-distanze rilevanti per la frequenza, sia che risiedano in territori con nuclei rurali e/o in zone interne, sia in quartieri entro aree urbane di difficile percorrenza. E’ compito del Comune!
Il primo risultato più evidente di una “Scuola a tempo pieno” è quello di riuscire assai meglio a contrastare l’abbandono e la dispersione scolastica (oggi, proprio nelle realtà territoriali meridionali meno sviluppate è un fenomeno gravemente in crescita). Perché con i tempi più “distesi” le programmazioni didattiche, oltre a sollecitare migliori motivazioni all’apprendimento attraverso una più articolata “offerta formativa”, consentono processi di recupero, di rafforzamento e di approfondimento tali da creare un clima formativo-educativo di completa partecipazione di tutti gli alunni, secondo carenze, bisogni ed esigenze. Naturalmente è necessaria una visione della Scuola tale da assegnare ad Essa quella funzione indicata dalla Costituzione di “non lasciare escluso nessuno”, promuovendo i valori “della persona e del cittadino” in Tutti.
Secondo me, tali considerazioni sulla funzione strategica della mensa in una Scuola a tempi lunghi, vanno estese ormai anche alle Scuole Secondarie di 1° e di 2° grado. Altrimenti, che senso ha continuare a blaterare su “Scuole aperte anche tutti i pomeriggi” se poi non ci si preoccupa di organizzare i servizi essenziali (e la mensa lo è) perché ci si possa stare (Tutti)? Insomma: bisogna programmare una adeguata politica di “Diritto alla studio” Che non c’è e non si intravede.
Anzi si confondono i reali problemi della Scuola lanciando annunci su sperimentazioni vacue (Licei a 4 anni) allungamento dell’obbligo a 18 anni (!), revisione a ribasso dei momenti-prove di esame. Sarebbe un bel traguardo almeno fino a 16 anni con il biennio unico, che non si è riusciti ad istituire, finendo per accontentarsi dell’ibrido doppio canale di istruzione e di formazione.
Infine, è urgente considerare l’obbligatorietà della scuola dell’infanzia. Un segmento che va valorizzato al massimo sotto il profilo anche degli apprendimenti, oltre che nelle giuste finalità di socializzazione educativa. Qui la mensa è ancor di più indispensabile.
E senza consentire battibecchi sulla libera scelta dei “panini”. Sono inaccettabili le posizioni di chi ritiene che sulla base di “una libera scelta” vi siano alunni che si possano appartare a mangiare un panino, perché non vogliono fruire del servizio mensa. Se non possono per questioni economiche bisogna che i Servizi sociali facciano intervenire il Comune. Se vi sono opposizioni sul servizio si istituisce una vigilanza in grado di assicurare un giusto controllo sul rispetto delle tabelle adeguatamente e competentemente articolate, dei pasti giornalieri, per quantità e qualità.
Nient’altro. Un buon servizio mensa garantisce una migliore e più produttiva frequenza: la Scuola ci “guadagna” perché funziona meglio, la Società ci “guadagna” perché avrà cittadini meglio preparati e meglio formati.
di Angelo Falbo