«Ce ne andiamo. / Ce ne andiamo via. // […] // Dai paesi / più vecchi più stanchi / in cima / al levante delle disgrazie». Così scriveva il poeta Franco Costabile nel 1964, nel suo Il canto dei nuovi emigranti, al culmine di un’ennesima ondata migratoria che falcidiava la demografia della Calabria e disperdeva nel mondo i calabresi. Altre ce ne sarebbero state negli anni a venire e una la stiamo vivendo proprio adesso, in questo inizio del nuovo millennio. Ma non è vero che niente è cambiato: quella di oggi è diventata famosa col nome di «fuga di cervelli», mentre una volta la Calabria esportava soprattutto braccia. Si tratta di un’emigrazione diversa, che stenta anche a riconoscersi sotto questa etichetta, non più obbligata ma cercata, quasi anelata.
I nostri giovani, che non trovano spazio in Calabria, sentendosi “cittadini del mondo”, non hanno alcuna difficoltà a fare le valigie e partire anche per le mete più improbabili. Inseguendo e quasi sempre ottenendo quelle affermazioni e quei riconoscimenti che evidentemente la patria gli ha negati, per mancanza di opportunità o – peggio ancora – di quella meritocrazia di cui tutti parlano e che pochi praticano.
La storia di Matteo Rubbettino, nostro concittadino girovago per vocazione, è rappresentativa di questo nuovo modo di vivere che si è diffuso sempre di più tra i giovani. Dopo aver compiuto studi economici, si è abbandonato alla sua passione per la musica e ha lavorato come dj radiofonico prima in giro per l’Italia e poi in Australia. Ma a un certo punto, un’altra passione ha preso il sopravvento, quella per la cucina, e lo ha portato a Napoli, dove ha frequentato un corso di “pizzaiolo”. E da lì, come spesso accade, una storia d’amore di quel periodo lo ha trascinato addirittura in Ecuador. Qui, per qualche anno ha lavorato realizzando playlist per alcuni tra i più rinomati ristoranti di Quito, la capitale del piccolo Stato sudamericano, ma lui voleva un ristorante suo e alla fine è riuscito a realizzare questo sogno.
E dunque, il ristorante di Matteo, nel quartiere La Vicentina di Quito, non si poteva che chiamare “Zingaro”, un nome evidentemente del tutto programmatico e adatto a descrivere la sua concezione della vita. Per la sua offerta gastronomica, che prevede non solo la pizza ma anche piatti che non conoscono confini geografici, per il clima che vi si respira e per la musica che vi si può sentire, anche questa pronta a spaziare tra le più varie nazionalità, lo “Zingaro” è stato recentemente citato nella guida Best Places del 2021 della rivista «Time». Inoltre, lo scorso 14 agosto, ne ha parlato la rivista ecuadoregna «El comercio», in un articolo intitolato Zingaro, un ristorante dallo spirito gitano, a firma di Ana C. Alvarado, che ha tra l’altro intervistato Matteo Rubbettino e alcuni suoi collaboratori.
Insomma, tra i soveritani delle vecchie e nuove generazioni che sono riusciti a far fortuna in altre regioni d’Italia, in Europa o in altri continenti, ora c’è anche Matteo Rubbettino che ha inseguito e ottenuto il suo meritato successo fino all’altro capo del mondo.
Raffaele Cardamone