Antongiulio Bonacci è al momento l’unico calciatore dell’area del Reventino ad aver raggiunto il traguardo della serie B. Ma la speranza è che la sua esperienza possa essere da esempio per le giovani leve della zona, perché facciano anche loro della serietà, della correttezza e dell’applicazione la strada maestra per raggiungere risultati importanti nello sport.
Il suo ruolo è stato quello di centrocampista con una predilezione per la fase difensiva, tanto che è stato spesso impiegato da difensore laterale. Aveva buona padronanza di palleggio e di tiro con entrambi i piedi e quindi ha sempre offerto ai suoi allenatori la possibilità di schierarlo indifferentemente a destra o a sinistra, ma anche in posizione centrale. La capacità di corsa, il senso della posizione in campo e l’acume tattico sono state le sue armi migliori.
Bonacci era un predestinato, un ragazzino che aveva tutto ciò che occorre per ottenere il successo nello sport. Fin da piccolissimo, qui nel paese d’origine e dintorni, si potevano apprezzare le sue notevoli doti atletiche. Era fin troppo evidente che poteva diventare un buon calciatore, così come pure un buon tennista. Insomma, un protagonista in qualunque sport avesse deciso di cimentarsi.
Lui e forse le circostanze hanno deciso per il calcio. Così, appena raggiunta l’età in cui gli era consentito calcare un vero terreno di gioco, si poteva vederlo partire quasi quotidianamente alla volta del capoluogo, con il suo fedele borsone a tracolla, per raggiungere i campi di allenamento delle varie squadre giovanili del Catanzaro in cui ha militato.
Da giovanissimo, dopo questa esperienza, fece una breve apparizione nella squadra locale, tra i dilettanti della Garibaldina allenata da mister Filippo De Cello, in un campionato che lo vide protagonista, ma era chiaro che poteva aspirare a ben altri palcoscenici.
Da lì iniziò con il botto la sua carriera da professionista: subito in serie B, con il Cosenza di Fausto Silipo. Era la stagione 1992-93. In quell’occasione, appena ventenne, racimolò solo tre presenze, ma fu certamente un trampolino di lancio fondamentale per la sua carriera futura.
Dopo una stagione in serie C, al Trani, il ritorno in grande stile alla serie B, nel Cosenza di mister Alberto Zaccheroni. La stagione 1994-95 si presentava decisamente difficile per i rossoblù che erano costretti a partire con una penalizzazione in classifica di ben nove punti, ma si salvarono abbastanza agevolmente, anche con il contributo di Bonacci che fu notevole, con le sue diciassette presenze in campionato e una in coppa Italia.
Nell’anno successivo, con Bortolo Mutti in panchina, sono state solo tre invece le presenze. E siccome ho la fortuna di avere Bonacci proprio qui di fronte, in una delle frequenti occasioni in cui torna volentieri a Soveria Mannelli, gli chiedo come sono andate veramente le cose.
<< Ciò che successe in quella stagione fu tutto una conseguenza del servizio di leva [allora obbligatorio, N.d.R.] che mi ha costretto a saltare la preparazione, fondamentale per un calciatore per farsi conoscere e farsi apprezzare dal proprio allenatore (che comunque si dimostrò una grande persona). Decisi allora di andare a Benevento, vicino a Napoli, dove svolgevo la leva e dove, con la Nazionale Militare ho avuto il piacere e l’onore di giocare al fianco di Del Piero, Cannavaro, Galante, Amoruso, Fiore e Del Vecchio. Ma, sul più bello, la pubalgia mi ha costretto a fermarmi e a non poter essere d’aiuto alla causa delle “streghe sannite”, con mio grande rammarico. >>
A questo punto gli chiedo anche maggiori informazioni su una voce che era circolata all’epoca. Sembra infatti che Zaccheroni, che nel frattempo era andato ad allenare in serie A, all’Udinese, lo volesse con lui.
<< Si era paventata questa possibilità. C’era un certo interessamento da parte del mister, ma non se ne fece nulla. In realtà non ci fu neppure una vera e propria trattativa. >> Mi risponde, modesto come sempre.
Seguirono tre stagioni, sempre in serie C, una appunto con il Benevento e due con il Castrovillari, che preludevano a un’altra tappa importante della sua carriera: l’approdo al “suo” Catanzaro nelle cui giovanili si era cresciuto. Sono state tre le stagioni disputate, dal 1998 al 2001, tutte in serie C, ma tutte di alta classifica, con una semifinale e una finale dei play-off nel palmarès della squadra e suo personale.
Lasciata Catanzaro e l’anno dopo anche il sud Italia, dopo una breve parentesi al Gela, Bonacci ritrovava entusiasmo al Montevarchi, dove disputava ben quattro campionati, dal 2001 al 2005, sempre in serie C, per chiudere successivamente la carriera di calciatore professionista nel Savoia e poi nel Cattolica, in serie D, nelle stagioni 2005-06 e 2006-07. Poi ha continuato a giocare tra i dilettanti, in Promozione e in Eccellenza, sempre in Romagna, dove è rimasto a vivere.
Complessivamente, Bonacci, nella sua carriera professionistica, ha disputato: 24 partite, con 1 gol, in tre stagioni di serie B; 235 partite, con 3 gol, in dodici stagioni di serie C; 21 partite, con 2 gol, in due stagioni di serie D.
Ora Antongiulio Bonacci, proprio grazie a quell’intelligenza tattica che lo caratterizzava anche in campo, ha acquisito l’abilitazione per allenatore di base e, in questo periodo, sta curando ragazzi del Cervia. E quando lo invito a parlarmi della sua esperienza di allenatore, si percepisce tutto il suo entusiasmo.
<< E’ bellissimo fare l’allenatore dei ragazzi. Per poter continuare a coltivare questa passione ho anche deciso di rifiutare delle proposte da squadre di campionati maggiori. I ragazzini mi piace vederli crescere e insegnare loro che il calcio deve essere prima di tutto divertimento. Loro sono leali e sinceri, sempre pronti a riconoscere se hanno giocato bene o male. A me basta vedere un gesto tecnico riuscito, provato durante la settimana, per capire cha hanno imparato qualcosa. Ma è importante farli crescere anche nei valori fondamentali che ogni calciatore dovrebbe possedere: il rispetto per la maglia, per l’arbitro e per gli avversari. Il risultato è la cosa che conta di meno, tranne forse che per i genitori. Ma sto comunque parlando di una squadra, la mia, che ha vinto tutto quello che c’era da vincere. >>
Gli chiedo se nella sua carriera c’è mai stato un momento in cui ha pensato di non farcela.
<< Quello che ho fatto è arrivato perché ci ho creduto e perché i sacrifici non mi hanno mai spaventato. Ci ho sempre messo la giusta tenacia e la giusta passione, che è anche quello che insegno ai miei ragazzi. E soprattutto ho fatto una vita sana, fin da giovanissimo. Dai quindici anni in poi ho praticamente vissuto per il mio sport, rinunciando a tante piccole cose che si fanno a quell’età. Per me non c’erano quasi mai domeniche libere, dopo una settimana di studio e di allenamenti. >>
Gli chiedo, infine, se si sente ripagato per tutti i sacrifici fatti.
<< Ho realizzato i miei sogni: soprattutto ritornare a Catanzaro e ritornarci da protagonista, dopo essermi sentito un po’ accantonato alla fine dell’esperienza nelle giovanili. Essere riuscito a fare anche il capitano della prima squadra, quella stessa che da ragazzino potevo solo ammirare da bordo campo, mi ha reso davvero felice. >>