L’incontro del 29 marzo scorso presso la sede dell’Associazione Futura in via Cona San Mazzeo di Conflenti, e la lettura dell’articolo di Davide De Grazia dal titolo «L’area del Reventino: tra risorse potenziali e problemi irrisolti» (pubblicato due settimane prima su ilReventino.it) mi hanno spinto ad approfondire l’argomento e quindi condividere con voi alcune riflessioni.
Il convegno, organizzato dai volontari dei progetti di Servizio Civile insieme con l’Associazione “Una Voce Tante Voci”, ha avuto per tema «Alla riscoperta delle nostre origini… sulle tracce di Conflenti», e dico subito che sono rimasto colpito sia dalla partecipazione (sala piena, coi volontari presenti al completo ma anche con uomini e donne interessati), sia dall’attenzione riservata ad argomenti storici che di solito non vengono bene accolti dall’uditorio.
I presenti hanno percepito subito l’importanza del loro territorio, perché ci siamo trovati in una zona (San Mazzeo) paragonabile a Decollatura, e insieme – queste zone – rappresentano due grandi conche montane (antichi bacini lacustri del Quaternario?) che separano i vari rilievi e interrompono il paesaggio dei monti circostanti. Una depressione – il Piano di San Mazzeo – che registra un’altitudine cha va dai 900 ai 950 metri di quota e si colloca tra il Monte Mancuso (1320 m) e il Monte Reventino (1410 m). Luogo di attraversamento della Via Annia Popilia – costruita dai Romani in soli quattro anni, dal 132 al 128 a.C. – e punto d’incontro di strade che collegano Martirano Antico, Martirano Lombardo e Conflenti con Sambiase.
Ci siamo trovati, inoltre, all’interno di una realtà caratterizzata da una forte identità geografica e storica: un territorio che fino a mille anni fa conservava ancora – nelle zone più alte e più interne – una superficie contrassegnata dalla grande selva calabra, mentre le fasce collinari e le pendici erano state diboscate e destinate all’economia agricola di sussistenza.
Zone solitarie e desolate, sulle quali sorgevano solo i centri abitati di Martirano, Scigliano, Nocera e Tiriolo – di origini antiche – e poi Motta Santa Lucia e Gimigliano, di più recente fondazione, probabilmente intorno al Mille. Ulteriori insediamenti umani stabili e diffusi nascono quando i Normanni favoriscono la costruzione dell’Abbazia di Corazzo, che – al pari di altre importanti fondazioni monastiche come il monastero di Sant’Eufemia – riesce a concentrare al suo interno la vita politica, culturale ed economica dei villaggi circostanti, diffondendo le attività agricole e diventando il polo di sviluppo dell’intera zona.
È con i Normanni, dunque, che nel territorio raggruppato oggi in Comunità Montana inizia quell’opera di trasformazione dell’ambiente naturale attuata dall’uomo per soddisfare i propri bisogni e migliorare la qualità della vita. Un’opera sistematica, realizzata spesso a scapito della natura e persino alterando l’equilibrio ecologico, ma che ha portato a creare quel paesaggio che noi vediamo oggi e che chiamiamo “ambiente antropizzato”.
Sorgono così nuovi centri, prendono vita Castagna (il villaggio più antico sorto attorno al monastero) e Carlopoli, tornano a essere frequentate le terre del fiume Amato. Poi, a metà del Quattrocento, popolazioni albanesi ripopolano il villaggio di Gizzeria, così come profughi albanesi fondano o ripopolano i casali di Vena di Maida, Caraffa, Amato e Zangarona. Mentre in altre terre s’insediano anche famiglie di Ebrei (a Nicastro esisteva già una presenza ebraica documentata nei Registri Angioini del 1276).
Nel 1595 nasce Cicala e nel 1625 viene edificata Carlopoli. A seguito del terremoto del 1638 la famiglia d’Aquino (colpita duramente nel cuore dei suoi feudi) avvia un’opera di ricostruzione che passa attraverso l’edificazione di nuovi centri, «in sostituzione od a fianco dei vecchi abitati», precisa Armido Cario. Nascono così Falerna e alcuni villaggi che poi formeranno Decollatura, paesi abitati entrambi da coloni stagionali divenuti permanenti. Sorgono San Mango d’Aquino, Feroleto Nuovo (altrimenti detto Piano, da cui Pianopoli), il casale Aquino nei pressi di Motta Santa Lucia, il casale Sant’Angelo nei pressi del più antico abitato di Platania. E viene anche ripopolata Serrastretta.
Poi, nel Seicento e nel Settecento, si animano Mannelli Inferiore, San Tommaso, Mannelli Superiore e Colla (riuniti oggi nel Comune di Soveria Mannelli), mentre coloni provenienti da Motta e da Scigliano ripopolano San Pietro Apostolo e Miglierina e i casali di Conflenti Superiore e Conflenti Inferiore sono messi in collegamento da una strada e assumono un assetto urbanistico definitivo.
Una presenza umana così massiccia non riesce però a trovare sul territorio né le risorse necessarie ad assicurare alle famiglie una vita dignitosa né il minimo indispensabile per l’autoconsumo. Le zone a vocazione cerealicola sono scarse, perché le pendici del Reventino offrono un suolo impervio e boscoso, adatto solo a particolari tipi di frumento, come appunto il grano jirmano (germano, germanico) che rende bene in climi di montagna, e che altrettanto bene si associa ad altre coltivazioni come avena, lupini, orzo e legumi. Per questo motivo le cattive annate sono frequenti e la penuria di grano si fa sentire. Nelle campagne si soffre la fame e la popolazione abbandona spesso i centri abitati e si disperde. A tutto ciò si aggiungono le catastrofi naturali, le quali concorrono ad accentuano il carattere errante e inquieto della gente. Fenomeni – questi appena accennati – che trovano preziose testimonianze nelle Relazioni ad limina ancora oggi conservate negli archivi vescovili.
L’articolo di Davide De Grazia ci riporta all’attualità e mette in evidenza – come recita lo stesso titolo – risorse potenziali e problemi irrisolti. Con al centro una popolazione «in forte declino, a causa della cronica assenza di posti di lavoro, che dopo il boom degli anni ’70 e ’80 è andata sempre scemando». E tutto ciò, nonostante la presenza di importati istituzioni scolastiche (che frenano il pendolarismo degli studenti), un ospedale che tutto sommato garantisce un presidio sanitario e una rete di piccole e medie imprese che caratterizzano il tessuto economico del territorio.
Ho davanti a me i numeri di questo fenomeno, e l’andamento demografico dei comuni che compongono la Comunità Montana fotografa una realtà drammatica. Il censimento del 1951 assegna a questi diciotto paesi 67.161 abitanti; sono bastati sessant’anni per far perdere ben 27.555 abitanti, pari al 41% della popolazione del 1951. Nello stesso periodo (1951-2011) Lamezia passa da 52.180 a 70.336 abitanti, con un incremento del 35%.
Allargando l’orizzonte, notiamo che la tendenza è inarrestabile. Perché negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno d’Italia quasi due milioni di abitanti, e la metà di questi sono persone tra i 15 ed i 34 anni. E perché i dati Svimez informano che tra il 2016 e il 2065 il Sud perderà 5,3 milioni di abitanti. La Calabria – la nostra regione – ne perderà 468 mila.
Scenario sconfortante, per chi abita queste terre e più in particolare per i giovani, ai quali De Grazia dedica un’attenzione particolare perché il loro abbandono «rischia di svuotare definitivamente i paesi decretandone la morte demografica».
di Armando Orlando
*) Tutte le foto sono tratte dalle pubblicazioni della Comunità Montana dei monti Reventino-Tiriolo-Mancuso.