Successione, desolazione e mancanza di dialettica nella prospettiva elettorale del Comune di Motta Santa Lucia
Ci si abitua alle cose belle. Ci si abitua ai sorrisi, all’interesse reciproco: ci si abitua alle cose belle. Come quando dal finestrino dell’auto vedi un tale aprire l’ombrello e bagnarsi pur di non stropicciare il tight del suo tollerante amico; e mentre l’accompagna dalla portiera all’uscio di casa, tutto inzuppato dal piccolo parasole, lo saluta con il solito tonante brivido di captatio benevolentiae. Così nella cornice familistica che abbellisce le desolanti consorterie locali, i principi astratti si amalgamo con il comportamento quotidiano soltanto in occasioni artefatte, e puntualmente l’ideale si sottomette al potere.
La preparazione alle elezioni amministrative nelle piccole realtà geografiche è il principale esperimento artefatto dove l’assenza di comportamento prosociale viene mascherato nella psiche del potenziale candidato con disponibilità e sorriso. Il ritorno di soggetti avulsi da ogni contesto propositivo veniva osannato da qualche tirapiedi sine ira et studio, limitando la discussione generale e sfruttando i limiti generazionali e culturali dell’interlocutore votante; le regalìe allora venivano proporzionate in base al bacino di voto, risolvendo il tutto, dopo la proclamazione, in uno stallo quinquennale di negligenza assoluta. E anche se mancava la volontà e la voglia, la visione familistica della cosa pubblica continuava (e continua) nei volti a mutuarsi, e come un cancro permea l’astuta maggioranza degli amministratori della nostra bellissima Terra.
Tale volontà indirettamente assimilata dall’educazione ricevuta, vuoi per chiusura mentale, vuoi per culturale induzione, fa sì che il compito investito non sia quello di rappresentare, presentare e difendere la propria casa comunale, bensì di spoliare e sfruttare per fini personalistici il bene comune, da parte di chi, privatisticamente e dall’interno, ha un qualsivoglia interesse diretto.
Ora, giunti proprio nei mesi in cui si dovrebbe verificare la “fase critica” di quella dinamica oramai pluridecennale, si è venuta a creare una situazione di stallo mista a noia, assai più spaventosa della soluzione familistica precedentemente menzionata: a tal proposito, se prima l’élite dirigenziale mottese si presentava divisa per futili motivi, generando però un minimo di dialettica, ad oggi il lavoro di annichilimento mentale e sociale gradatamente costruito (e alimentato dalla crisi economica e demografica) ha plasmato una sola linea di pensiero dove nell’assenza di antitesi sta la sua intrinseca corruzione. Beninteso, è vero che il meccanismo artefatto della dialettica non cambiava gli attori e le finalità, tuttavia contribuiva a innescare un dialogo che portava ad avvicinare il cittadino all’interesse pubblico; a pensare criticamente in virtù dell’evidenza e non del pettegolezzo, e con tutti i limiti che una realtà piccola si può trascinare, avrebbe sicuramente innescato a lungo termine un circolo virtuoso di rinascita a beneficio di tutti i veri residenti.
Ma le cose sembrano scivolare verso altri orizzonti, e l’anaciclosi di memoria polibiana sembra nella spassionatezza di tutte le menti fare il proprio percorso postmoderno, anche in un paesino ai margini del mondo come il mio. E a questo punto mi chiedo se abbia ancora senso esprimere democraticamente un parere, un voto, in presenza di una siffatta situazione; se Tacito in quel famoso passo delle Historiae avesse o meno ragione dicendo che i vizi degli uomini dovevano essere compensati con l’intervento di uomini migliori o se fu solo un’ingenua confessione che fece al proprio animo.
«Vitia erunt donec homines, sed neque haec continua et meliorum interventu pensantur».
di Michele Ruperto