di Matteo Cosco –
Le disuguaglianze non sono un problema in se, ma lo diventano quando sono estreme. L’istruzione incentiva il capitale e la mobilità sociale rendendo l’Italia del domani più produttiva e meno diseguale di quella di oggi.
- Nel mondo nel 2019 l’1% più ricco sotto il profilo patrimoniale, aveva più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone secondo il rapporto “Time to care” di Oxfam. (Sole24h B)
- In Italia nel 2019 i tre uomini più ricchi secondo Forbes avevano più soldi del 10% degli italiani, cioè di 6 milioni di persone. Il Sole24h ricorda che lo scorso anno il patrimonio del 5% più ricco (pari al 41% della ricchezza nazionale netta) era superiore alla ricchezza detenuta dall’80% più povero. (Sole24h A)
- Secondo l’Osservatorio CPI nel 2017 la spesa nella pubblica istruzione (66 miliardi di euro) era leggermente meno della spesa per il pagamento degli interessi sul debito. In Italia nel 2019 le spese per l’istruzione pubblica primaria e secondaria era poco sopra la media UE, mentre quella per istruzione terziaria era al penultimo posto in Europa. (Osservatorio Conti Pubblici Italiani)
“Ogni comunità ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze, perché in caso contrario è tutto l’edificio politico e sociale che rischia di crollare”; questo è il messaggio forte e chiaro presente sulla copertina di Capitale e Ideologia di Thomas Piketty, autore del Capitale nel 21 secolo. Questo libro è il più grande database sulla distribuzione di reddito e ricchezza mai creato e propone allo Stato di intervenire sul mercato non solo per ridurre le disuguaglianze che cambiano in una società in continua e rapida evoluzione, ma anche per garantire una crescita economica inclusiva.
Già nel 1914 Henry Ford aveva compreso come, indipendentemente dalle visioni valoriali, fosse economicamente vantaggioso attenuare le disuguaglianze eccessive fornendo un reddito più elevato ai propri dipendenti per permettergli di acquistare sul mercato le auto che essi stessi producevano. Non basta considerare solo di quanto cresce il PIL, ma occorre interrogarsi anche sul come, se esso danneggia le risorse naturali e se si distribuisce in modo troppo diseguale limitando la mobilità sociale. Le società in cui i profitti aumentano in maniera esponenziale e i salari diminuiscono, in cui esiste una forte contrapposizione tra capitale e lavoro, sono meno efficaci nel ridurre la povertà e crescono quindi più lentamente.Da dove nascono le disuguaglianze?
Rousseau in “Discorso sull’origine della disuguaglianza” affronta questo sempre attuale interrogativo, sostenendo che gli uomini nascono individualmente liberi ed uguali ma diventano socialmente diversi. Le disuguaglianze storicamente sono sempre esistite, essendo il risultato dell’eterno e mutevole incontro tra due valori cardine del costrutto politico: quello della libertà e quello dell’uguaglianza. Di esse si dovrebbe parlare soltanto al plurale poiché occorre non considerare soltanto le disuguaglianze economiche, riconoscendo così il valore eminentemente sociale e politico dell’economia. In Italia la diversa capacità di accesso ai beni e servizi della cittadinanza come la salute, l’istruzione, l’ambiente sano, sono solo alcuni esempi di disuguaglianze non prettamente economiche. Oltre alle disparità riguardanti reddito e ricchezza, non secondarie sono quelle legate ai territori con uno strutturale divario tra il Nord e il Sud del Paese e le sue aree urbane e rurali.
Le disuguaglianze ambientali stanno imponendo alla politica di non appiattire il proprio orizzonte temporale ma di elaborare in maniera condivisa una visione di lungo periodo capace di permettere a tutti nello spazio e nel tempo di vivere in un ambiente salubre. Doverosa risulta quini la regolamentazione della biosfera, intrinsecamente diseguale e caratterizzata dall’eterogeneità di risorse che permettono ad alcuni territori più di altri di svolgere attività economiche.
Le disuguaglianze di genere limitano l’accesso o rendono le donne meno competitive sul mercato del lavoro. Quelle intergenerazionali predeterminano il destino delle generazioni di domani che risulta sempre più legato alle condizioni socioeconomiche dei loro genitori, anche a causa di un mercato del lavoro sempre più precario ed instabile che aumenta la forbice tra gli individui e limita l’ascensore sociale.
Il cambiamento tecnologico renderà il sistema paese più produttivo aumentando la crescita economica, ma già si sta assistendo alla riduzione dei salari dei lavoratori non specializzati e in alcuni casi alla perdita di posti di lavoro. La rivoluzione tecnologica sta permettendo a poche persone di produrre molto di più di ciò che possiamo o abbiamo davvero bisogno di consumare, risulterà quindi decisivo in un tempo di passaggio per dirla con Habermas affrontare il digital divide e le disuguaglianze che la transizione tecnologica comporta. Alcuni di questi effetti si sono già mostrati in tutta la loro feroce disparità durante la crisi sanitaria ed economica del Covid-19, mentre alcuni lavori ad alta specializzazione e redditività possono svolgersi a distanza tramite supporti tecnologici come l’eCommerce, altri lavori per peculiarità specifiche non lo permettono, si pensi al turismo per fare solo un esempio.
Che cosa possiamo fare per ridurre le disuguaglianze?
Affinché il mercato possa creare ricchezza e sia sostenibile nel lungo periodo dal punto di vista economico e sociale, il capitalismo nella sua dimensione statale ha incontrato il welfare state che non può essere scisso dal mercato di cui è conseguenza. Dal momento quindi che il capitalismo ha varcato la dimensione dello stato nazionale attraverso la globalizzazione, sempre più necessari saranno in futuro strumenti di welfare europei ricalibrati sui nuovi rischi sociali. Tuttavia, pensare all’Italia del futuro è oggi doveroso e possibile anche nei confini nazionali riguardo alcune materie.
Spendere meno per l’istruzione che per ripagare gli interessi sul debito nazionale come accaduto nel 2017, rende la politica miope ed incapace di ridurre in futuro quel debito che i giovani non hanno contribuito a creare e che in alcuni casi non è stato neanche impiegato efficacemente per produrre in prospettiva beni e servizi con esternalità positive. Di esse è invece causa l’istruzione e la formazione in quanto bene meritorio e asset strategico del paese su cui tutti i partiti nei programmi elettorali vogliono investire, ma se non lo si fa davvero in maniera consistente, difficilmente le future generazioni avranno più competenze e qualità, quindi risorse da spendere, di quelle passate. L’istruzione è il motore del cambiamento perché permette di fare funzionare l’ascensore sociale edi ridurre e rendere le disuguaglianze presenti nella società accettabili in quanto non derivanti da disparità strutturali nei punti di partenza, ma dal merito e dalla competenza nei traguardi finali raggiunti, straordinariamente utili a rendere la società produttiva e dinamica e a valorizzare l’individuo.
Thomas Piketty oltre a parlare di giustizia educativa per ridurre le disuguaglianze propone di aumentare i diritti dei lavoratori, di fronte all’avanzata strutturale dello strapotere del capitale, di redistribuire la ricchezza e il benessere attraverso un sistema tributario fortemente progressivo, spingendosi a proporre l’istituzione di un’imposta mondiale sulla ricchezza. In Italia l’Art. 53 della Costituzione richiama in modo criptico la progressività fiscale e la capacità contributiva, riferendosi all’Art.2 e all’Art. 3 rispettivamente sulla solidarietà e sull’uguaglianza, garantendo così alle classi sociali meno abbienti i diritti e i servizi sociali fondamentali come l’istruzione, la sanità e la previdenza, pilastri su cui si fonda il welfare state italiano. Ma tutto ciò evoca il convitato di pietra della patrimoniale che in Italia equivale ad un certo insuccesso politico e ad impopolarità come testimoniato dal ricorso al prelievo forzoso straordinario usato dal governo Amato nel 1992.
Ridurre le disuguaglianze implicherà in Italia investire in sanità, la crisi del Covid-19 ha già dimostrato come se pur in un quadro eccezionale ed imprevisto ciascuna regione disponga di professionalità e risorse diverse con cui erogare servizi fondamentali alla cittadinanza, in infrastrutture strategiche in grado di ridurre il divario territoriale, permettendo la mobilità con le stesse caratteristiche tra Nord e Sud del Paese e nello stesso Mezzogiorno. Il welfare di domani dovrà ricalibrare, per dirla con le parole del politologo Maurizio Ferrera, la spesa pubblica fornendo copertura ai vecchi e ai nuovi rischi sociali come la conciliazione cura lavoro, la denatalità e la long term care.
Matteo Cosco
Fonti:
Sole24h A-B – https://www.ilsole24ore.com/art/l-italia-disuguaglianze-3-miliardari-piu-ricchi-6-milioni-poveri-ACIWc4CB
Osservatorio CPI – https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-spesa-per-la-pubblica-istruzione