di Francesco Marino – Erborista, Cultore dell’Etnobotanica –
“Usare il bosco, anzi usare i diversi boschi, significava anche interpretarli, dare loro una rappresentazione culturale e simbolica: non erano solo i grandi viaggiatori o gli scrittori a costruire un’immagine del bosco, ma essa veniva continuamente rielaborata dai tanti che quotidianamente entravano in relazione con esso.” L’elogio alla funzione estetica di Marco Armiero nel suo saggio: “La ricchezza della Montagna”, non può che ricollegare la mente al luogo dove si è cresciuti.
Molte volte sorrido al pensiero dell’armoniosa iniziativa quale: andare a fare una passeggiata al Parco, un’azione che per un ragazzo che vive a Petronà si traduce immergersi nello scrigno della biodiversità del Parco Nazionale della Sila. Proprio così il nostro Parco, dove l’orografia di un territorio cinge la ricchezza della montagna che per un viaggiatore che si addentra in esso, si traduce in un benvenuto vissuto da un abbraccio con la natura. In effetti è proprio la ricchezza della biodiversità del territorio della Sila che ha permesso la permanenza dei popoli e la nascita delle comunità. Una storia simbiontica tra l’essere umano e la montagna, la storia di una civiltà, quella del castagno.
La fascia sub-montana (600 – 1000 mt) della Sila è caratterizzata dalla presenza del Castagno (Castanea sativa) e da latifoglie appartenete al genere Quercus.
Castanea sativa, popolarmente conosciuto con il nome di castagno, è una pianta appartenente alla famiglia delle Fagaceae, la pianta originaria della Cina fu introdotta in Europa in epoca preromana.
Ci troviamo in Autunno e anche se l’annata di raccolta non si presenta delle migliori, causa i danni provocati dal Drycosmus kuriphilus, cinipide galligeno del castagno che dal 2002 ha causato un calo drammatico della produzione del frutto, il simbolo incontrastato di questa stagione rimane il frutto della castagna. La storia della nostra comunità è strettamente legata a quella dell’Albero del pane, il castagno, ne sono testimonianza le piante monumentali del nostro territorio preservate dalla pressione antropica esercitata su questa specie, data la ricca presenza di tannino nel legno, e dalle strutture presenti nel territorio le così dette “caselle” edifici simbolo della società contadina. Il trascorso è il vissuto di tutto ciò che riguardava la lavorazione e la raccolta del frutto è un aspetto che nel tempo mi ha fatto sorgere domande e perplessità. Una fra le tante: dov’è finita la farina di castagno? Perché nella nostra comunità non si produce, non si consuma questo elemento completo di valori nutrizionali? Le risposte si intrecciano alla storia della vita contadina e nel vissuto latifondista, come questa e tante altre pratiche nucleo della nostra cultura e identità non si sono sviluppate nel tempo ma si sono volute allontanare, perdere, cancellare perché appartenenti ad un passato povero, ad una vita fatta di sacrifico ad una questione meridionale aperta e mai conclusa.
In un’epoca dove ormai la stessa dieta mediterranea è andata ormai perduta, sormontata da modelli orientali e culturali diversi, la necessità di riscoprire il passato, il tradizionale, “l’antico” sembra la strada giusta per riformulare la ricetta della longevità, non solo umana ma di un intero comprensorio poiché strettamente legato alla cura e all’economia del territorio.
A metà dell’800 viaggiatori d’oltre Alpi si avventurarono nelle nostre terre, rimanendo affascinati della natura che vi scoprirono, al contempo si coniò il termine proprio di Civiltà del Castagno ad indicare lo stretto legame con le comunità e questa pianta utilizzata in tutte le sue parti, indicata come l’albero del pane. Del castagno se ne possono apprezzare i frutti nutrienti e digeribili che rispondono alle attuali esigenze dei cibi naturali e genuini che apportano sostanze biologicamente attive fondamentali per una sana alimentazione.
Basti pensare che 100 g di castagne fresche apportano circa 160 Kcal, inoltre presentano un contenuto di fibra pari al 7-8%, un apporto di glucidi zuccherini ed amidacei del 35%, un eccellente contenuto di proteine di qualità, una bassa percentuale di grassi, sali minerali e di acido fitico, infine possiedono un modesto contenuto di vitamine idrosolubili (B1 e B2), la Vit. C presente nel frutto fresco nell’ordine di 23 mg/100g, e l’assenza di glutine!
Ma non basta, il castagno dona il suo contributo anche nelle formulazioni erboristiche. Il Gemmoderivato di Castanea sativa è un drenante selettivo vasi linfatici inferiori. Indagini riguardanti l’etnobotanica hanno riportato l’utilizzo delle foglie dell’albero per il trattamento della tosse a carattere convulsivo, inoltre dalla macerazione della corteccia si ricavava una tintura per colorare la lana. L’albero del pane ci dona ancora oggi strumenti per rileggere il vissuto di una comunità e di un territorio con occhi nuovi, così da poterne apprezzare l’estetica, la cultura e avere così la possibilità di vivere e applicare il significato etimologico della parola economia ossia “amministrare la propria casa”.
Francesco Marino