Sono infiniti gli spunti che si possono rinvenire nel libro di Giosuè Arcuri “Ed ora non rubo più” (Gastaldi Editore, Milano, 1958), a partire dal linguaggio, sempre forbito e brillante, fino alla descrizione dei personaggi e dei luoghi, che sono verosimilmente quelli di Soveria Mannelli e dintorni.
Ma cominciamo dal principio e quindi dall’incipit del romanzo che è piuttosto classico e assume la forma di un racconto indotto, in questo caso dietro magro compenso: quello che potevano permettersi dei giovani studenti che cercavano modi interessanti per passare il tempo durante le vacanze estive. A raccontare è un personaggio che sembrerebbe realmente esistito, con tanto di dati anagrafici esplicitamente dichiarati: si tratta di Carmine Ventura, nato il 20 aprile 1898. E proprio dal suo racconto parte un avvincente intreccio di vicende viste però con gli occhi degli studenti che ascoltano affascinati e quindi rivissute attraverso le loro sensibilità.
Tutto questo dopo una breve introduzione in terza persona che inquadra quegli avvenimenti da un punto di vista temporale e anche territoriale.
<< In un pomeriggio del mese di agosto 1957 una lieta comitiva di studenti se ne stava sdraiata all’ombra di alcuni pini, trapiantati circa cinquant’anni or sono dalla famiglia Cimino in un loro fondo nei pressi della strada nazionale alla periferia di Soveria Mannelli di fronte alla villa, oggi di proprietà del Dott. Guido Pellico.
Erano divisi in vari gruppi per distendersi come meglio credessero, tutti con l’identico programma di trascorrere le vacanze estive al contatto con l’aria balsamica che i boschi vicini mandano a profusione.
Un ometto, alto quanto un ragazzo di dieci anni, dall’apparente età di settanta, s’era fermato dinanzi a loro e se ne stava immobile come un priapo di paglia che il contadino lascia nel semenzaio per spaventare gli uccelli. Un po’ per volta i giovani s’alzarono da terra e gli s’avvicinarono; l’ometto sollevò la testa e, con un sorriso convulso, chiese dolcemente una sigaretta.
“Te ne daremo un pacchetto – rispose uno di quelli – ma tu devi narrarci la storia del formaggio”.
“No – disse un altro – questa la conosciamo, zio Carmine deve farci conoscere tutta la sua vita e gli regaleremo cinquecento lire oltre le sigarette”.
“Figliuoli miei – riprese a dire il vecchio, con evidente compiacimento – è troppo lunga ed ho tanto da fare”.
“Te ne daremo mille”, intervenne un altro.
“Ma io so esprimermi a modo mio”, fece notare il pover’uomo.
“Va bene, va bene, – gridarono tutti in coro, prendendolo per le braccia e tirandolo giù nel sottostrada – ti comprenderemo egualmente”.
“Datemi prima i soldi e le sigarette”, osservò l’altro furbamente.
Gli studenti raccolsero la somma e le sigarette, gli si misero intorno e versarono il tutto nelle mani del vecchio; questi, assumendo un aspetto grave, siccome poté, iniziò il racconto, lasciando ai suoi ascoltatori il compito di penetrare nel suo animo e scovare quelle immagini che aveva sempre dinanzi a sé, ma non riusciva a far vedere agli altri.
E quegli studenti diedero alle immagini un’impronta propria, le adattarono ai luoghi che durante l’estate ebbero occasione di vedere e alle persone nelle quali cedettero di riscontrare i tipi adatti. Cosicché, se per caso qualcuno dovesse sospettare che in qualche episodio si sia fatta a lui allusione, questa è da considerarsi come falsa impressione, tenendo presente che l’autore del libro non ha minimamente inteso riferirsi a persone esistenti e reali >>
E così, il nostro autore si metteva al riparo da eventuali rimostranze di cittadini che all’epoca popolavano questi territori e che, evidentemente, avevano ceduto più di un tratto delle loro storie personali alla storia raccontata dallo zio Carmine in cambio di soldi e sigarette.
Cosa aggiungere in questa prima e rapida esplorazione del libro di Giosuè Arcuri? Che il luogo in cui avviene l’incontro tra i giovani studenti e lo zio Carmine è evidentemente l’inizio dell’ex viale dei Pini, ora viale Rosario Rubbettino. L’episodio ci rivela inoltre che il nome primitivo derivava proprio dai pini che vi aveva piantato la famiglia Cimino. Inoltre, emerge chiaramente come un luogo di Soveria che è ora completamente urbanizzato, nel lontano 1958 era considerato periferia del paese, dove si poteva fruire dell’aria salubre dei boschi circostanti.
A distanza di quasi 60 anni i cambiamenti sono notevoli nei luoghi, ma soprattutto lo sono nei personaggi descritti. Chi immaginerebbe un gruppo di studenti che si autotassano per ascoltare la storia di un vecchio? E un personaggio come lo zio Carmine, una sorta di ladro gentiluomo ante litteram, e comunque sempre e solo per bisogno, potrebbe ancora esistere nel nostro vivere presente piuttosto cinico e disincantato?
Con queste domande cui potete anche tentare di rispondere voi lettori (utilizzando la funzione “lascia un commento”, in basso, appena sotto il testo) ci congediamo per il momento, ma con l’intento di prendere ancora tra le mani il libro di Giosuè Arcuri e di leggerne assieme qualche pagina che possa favorire accostamenti ed evidenziare contrasti con la Soveria Mannelli di oggi.