È davvero straordinario ciò che sta facendo Lello Dell’Ariccia, anche se lui non ama sentirselo dire e anzi si schermisce come accade d’altra parte a tutti i grandi.
Lui si è dato una missione, conservare e trasmettere la memoria di quello che forse è il momento più buio di tutta la storia dell’umanità, e la porta avanti con una determinazione e una capacità fuori dal comune.
Durante il suo narrare, la Storia – con la S maiuscola – si mescola con i ricordi personali, ricordi tragici di fatti che lo hanno toccato da molto vicino e gli provocano una visibile sofferenza, una commozione che lui tenta di nascondere con stoicismo. Ma il suo racconto ha la precisione e la meticolosità di uno storico che si orienta benissimo tra le sue fonti: documenti, fotografie, filmati che, a giudicare dalla mole e dall’interesse, gli sono dovuti costare molti anni di studi e ricerche.
Non è facile per lui parlare della shoah in Italia e a Roma, la città dove ha sempre vissuto e continua a vivere. Dire pane al pane, fare da coscienza critica a un Paese che non ha mai fatto veramente i conti con la sua storia.
L’Italia e gli italiani, per le esigenze di pacificazione di fine guerra e grazie alla Resistenza, che ha contribuito a dare un volto accettabile alla democrazia nascente, si sono come auto-assolti dai crimini del fascismo, quasi volendone addossare tutte le responsabilità agli alleati nazisti.
E Dell’Ariccia è fermo quando dice che, con l’eccezione di Roma, dove le responsabilità furono in effetti dei nazisti, gli ebrei italiani vennero arrestati da fascisti italiani, spesso in seguito alle delazioni dei civili che in cambio ricevevano un premio in denaro.
Racconta numerosi episodi con i quali provoca un’altalena di sentimenti che attanagliano l’uditorio: dal sollievo nel sentire dei molti che salvarono gli ebrei, nascondendoli ai fascisti e ai nazisti, alla rabbia e alla vergogna nel sapere di altri che li denunciarono e ne provocarono la deportazione.
Ma ci tiene a concludere con una storia positiva: dopo una conferenza fatta in una scuola di Roma da un congiunto, che ha vissuto la sua stessa esperienza, i ragazzi, chiamati a sceglierne il nome, hanno voluto darle quello di Ada Tagliacozzo, la sorella del conferenziere a sua volta cugina di Lello.
Ada era una ragazzina ai tempi della deportazione dalla quale non è più tornata. Ma adesso a Roma c’è almeno una scuola che la ricorda e che fa da contraltare alle tante strade e piazze d’Italia i cui nomi sono ancora dedicati a personaggi equivoci che hanno abbracciato il fascismo e poi il razzismo italiano.
La conferenza di Lello Dell’Ariccia è stata preceduta dalla presentazione del professore Corrado Plastino: il regista della manifestazione, come è stato definito dallo stesso Lello, e della dirigente scolastica Enrica Pascuzzi che ha ricordato quanto sia necessario combattere l’indifferenza, soprattutto di fronte ai segnali preoccupanti che vanno diffondendosi nella nostra società e che spera che i ragazzi sappiano cogliere.
Ha fatto seguito un’introduzione curata da Antonio Cavallaro, della Rubbettino Editore, che ha tracciato la storia dell’ebraismo e delle persecuzioni e discriminazioni cui sono stati sottoposti gli ebrei, fin dalla distruzione di Gerusalemme da parte del futuro imperatore romano Tito e la conseguente diaspora del 70 d.C.
Ma anche lui ha tenuto a precisare che l’Italia e gli italiani non possono chiamarsi fuori da quanto è avvenuto con la shoah, che non esistono gli “italiani brava gente”, e che in Germania Hitler fu eletto democraticamente e a larga maggioranza, pur non nascondendo le sue intenzioni riguardo all’antisemitismo, che evidentemente serpeggiava da tempo tra la popolazione.
Nella mattinata, Lello Dell’Ariccia aveva già tenuto una conferenza a favore degli studenti delle scuole di tutto il territorio del Reventino. I ragazzi lo avevano ascoltato in religioso silenzio e poi avevano interagito con lui ponendogli numerosissime domande. Una bella pagina di didattica attiva, un modo positivo di fare scuola e di favorire un’esperienza unica che, grazie a Lello, potrà instillare dei germi sani nei ragazzi: un vero e proprio vaccino che impedirà loro di ammalarsi di razzismo.
di Raffaele Cardamone