No, cari amici lettori! Non ci riferiamo a Lamezia Terme, città nata nel 1968 dalla aggregazione dei territori dei tre comuni di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia, e di cui ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della sua fondazione. Anche se su questa città moderna ci sarebbe molto da dire, e non solo perché nei cinquant’anni di vita il suo consiglio comunale è stato sciolto tre volte per infiltrazioni mafiose.
Stiamo parlando di una Lametia città antica, che un gruppo di politici, amministratori, intellettuali e professionisti ha violentato, nascosto e poi ucciso, arrivando a oscurarne la memoria fino a negarne persino l’esistenza.
E ciò è avvenuto in pochi anni, se si considera che proprio nel 1968 la memoria della città antica era ancora viva, più viva che mai, tant’è vero che il toponimo «Lamezia» è stato scelto come denominazione da attribuire alla nuova realtà amministrativa, con l’aggiunta di «Terme» perché allora si coltivava il sogno d’inserire la città nei circuiti termali nazionali, partendo proprio dalle Terme di Caronte.
Lametia città antica, dunque, che una scuola di pensiero oggi imperante ha abbandonato, cancellato, quasi rimosso dalla memoria storica, portando avanti l’idea che i Lametînoi sono – è vero – un popolo che ha abitato il territorio, però la città che sorgeva nella Piana non era Lametia, ma era Terina.
«In epoca remotissima (VI-V secolo a.C.) sorgeva nella nostra Piana, tra l’Amato e il S. Amatore […] la città di Lametia, che dovette avere indubbia importanza, se dette il nome di Lametinus o Lameticus al nostro golfo», scrive Enrico Borrello, e poi continua: «Ma dove sorgesse precisamente Lametia, nessuno ha mai saputo indicare. Noi ci soffermeremo a sentire cosa dicono i nostri più insigni storici e archeologi, a cominciare dai più antichi. Ecateo (549-496 a.C.) la ricorda semplicemente come città enotria; Stefano Bizantino (V secolo d.C.) la dice tenuta dai Crotoniati e chiamata Lametia dal vicino Lamato o Lameto; Licofrone (poeta greco del III sec. a.C.) la colloca semplicemente vicino a detto fiume, dal quale prese il nome; e Marafioti, in tempi a noi più vicini (XVII sec.), la fa sorgere nelle vicinanze di S. Eufemia Marina (Terravecchia-Cirzito), dov’era senza dubbio una importante città antichissima, che moderni storici e archeologi vogliono invece identificare con Terina.»
Di acque Lamezie parla Licofrone nella sua Alessandra. E, in tempi più recenti, ne parlano Corcia nel 1843 («A S. Eufemia, posta a breve distanza dal mare e che dà il nome al golfo, tutti i topografi assegnano la città dei Lametini») e Grimaldi nel 1845 («Dal Savuto al Caposuvaro sonvi circa quindici miglia e alla distanza di altre dodici ha foce il fiume Lamato, che anticamente chiamossi Lameto. Ivi dappresso esser dovea Lametia…»). Per finire con Filippo Masci, nel 1940: «Lamezia sorgeva nelle vicinanze del fiume Lameto, città fabbricata dagli Enotri e poi posseduta dai Crotonesi.»
Adesso è la volta di Alfonsino Trapuzzano. Nel 1970 scrive: «Nella meravigliosa pianura che, da Caposuvero al fiume Lamato, si estende lungo il mar Tirreno, gli Enotri fondavano nel VI-V sec. a.C. la città di Lametia, poi accresciuta dagli antichi Crotonesi […] Il luogo di questa antica città pare corrisponda a quella di S. Eufemia […] posta a breve distanza dal mare, che allora era parallelo al Bastione. Gli archeologi e gli storici sono però discordi…» Poi prosegue: «Il Lenormant, nella “Grande Grece”, scrive che a S. Eufemia Vecchia dovette sorgere Terina e non Lametia. La sua tesi è anche sostenuta dall’Orsi […] Le opinioni sostenute dal Lenormant e dall’Orsi, come prospettate, non sono sufficienti per dimostrare che le rovine esistenti a “Terravecchia” appartenevano proprio a Terina e, pertanto, allo stato non possiamo ritenerle per vere, tanto più che detti rinvenimenti provano che a S. Eufemia esisteva l’antica città dei Lametini, così chiamati da Stefano Bizantino dei quali al di fuori del nome non rimane altra rimembranza nella storia.»
E ancora. Giovanni Vivenzio, nell’opera dedicata al terremoto del 1783, dice: «Dopo Terina, ed il fiume Savuto vi era la Città di Lampetia, chiamata anche Lametia.» Mentre Domenico Romanelli, nel 1815, è più dettagliato: «Al promontorio, ed alla città dobbiam unire anche il fiume Lameto, o Lametio, di cui parlarono parimenti gli antichi. Ecateo antichissimo storico presso Stefano, nominando questo fiume col nome di Lameto, affermò, che da esso il nome derivasse alla città di Lametia: Lametia urbs Oenotriorum Lameto fluvio dicta […] Tutti i geografi, e gli storici della Brezia han riconosciuto questo fiume nell’odierno Lamato poco distante, ed a sinistra di s. Eufemia. Esso ne porta ancora l’antico indigeno nome, e ci conferma, che quì esser doveva, e non altrove, il promontorio, e la città di Lametia.»
«Città misteriosa, dunque, Lametia. Una delle tante città “arabe fenici” di Calabria», conclude Borrello; «Assolutamente incerta, dunque, l’ubicazione di Lamezia, per alcuni storici moderni; certa per tutti gli altri dei tempi remoti, i quali la credono a S. Eufemia.»
Una cosa però non è messa in discussione: nel territorio di Lamezia Terme è esistita una città antica. E lo dice pure Orazio Lupis (Pubblico Professore di Storia, Cronologia e Geografia ne’ Regi Studi di Catanzaro) nel 1805. Egli, parlando di Lametia, scrive: «Questa adunque giaceva lì, o da presso a quel luogo, ove ora è la Terra detta S. Eufemia; dalla quale ha oggi quel Seno il nome di Golfo di S. Eufemia […] Quello che può dirsi con sicurezza è solamente, che dal medesimo fiume Lameto, sulla cui dritta riva eran poste, abbian tolte un medesimo nome e l’antica Lametia (oggi S. Eufemia), e la recente Amato.»
Nel 1891, i lavori di costruzione del tratto ferroviario in prossimità della stazione di Sant’Eufemia – e precisamente in località Bosco Amatello – fanno emergere una necropoli del IV sec. a.C. formata da dodici sepolture con corredi semplici. Ritrovamento fortuito, così come fortuita (perché legata ai lavori di ampliamento dell’autostrada) è la scoperta avvenuta più di un secolo dopo, ed esattamente nel 2009, di oltre cento tombe integre in località Portavecchia di Nocera Terinese, dove è emersa una necropoli di età greca, come dichiarato dalla Soprintendenza.
Di una città dell’Italia che prende il nome “Lametînoi” dal fiume Lámetos e che si trova verso Crotone parla il più volte citato Stefano di Bisanzio, grammatico greco della prima metà del VI secolo dopo Cristo. Ed è proprio lui – Stefano Bizantino – a citare direttamente Ecatèo di Mileto (storico greco, e primo geografo che fornisce una visione della regione calabra), il quale, in sostanza, verso la fine del VI secolo prima di Cristo afferma: «Dove c’è il fiume Lameto, là sono i Lametini.»
Come Scidro, per esempio: importante sbocco di Sibari sul Tirreno, non si conosce nulla e se ne ignora completamente la storia; eppure di essa parlano Erodoto e Lico da Reggio, ma l’ubicazione resta incerta, sospesa tra una serie di congetture che comprendono Sapri, Belvedere Marittimo e Cetraro.
Come Cleta, dalle origini mitologiche perché fondata da una Amazzone che si perde nei mari alla ricerca della sua regina: in guerra con Crotone intorno alla metà del VI sec. a.C., trasmette il nome all’odierno comune di Cleto ma di essa restano solo poche fonti letterarie e nessuna traccia materiale che ci riporti alla Magna Grecia.
E come Macalla, che la leggenda vuole fondata da Filottete, il capo dei Tessali che combatterono sotto le mura di Troia e la cui identificazione è tuttora incerta.
Ma non solo. Non solo città scomparsa. Lametia città dimenticata. Volutamente dimenticata. E queste celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della fondazione di Lamezia Terme non avranno di certo in programma l’obiettivo di risvegliarne la memoria. Perché – come abbiamo detto – bisogna portare avanti l’idea che i Lametînoi sono – è vero – un popolo che ha abitato il territorio fino alla foce del fiume Lámetos, però la città che sorgeva nella Piana non era Lametia. No, cari lettori. Era Terina!
di Armando Orlando