Un testo convincente e divertente. Una regia magistrale. Una recitazione ineccepibile da parte di giovani e bravissimi attori, evidentemente frutto della sapienza e della passione con cui Salvatore Emilio Corea sa fare e insegnare teatro ormai da moltissimi anni.
Il Piccolo di Soveria Mannelli ha ospitato uno spettacolo di grande qualità, richiamando finalmente un folto pubblico che non ha lasciato un posto libero nella platea del teatro. Un luogo che gravitava nell’immaginario, e divenuto – per avventura – realtà, fortemente voluto e amorevolmente curato da Gino Capolupo.
Non è la prima volta dell’attore e autore Corea, ora in veste di regista, a Soveria Mannelli. Nei miei ricordi più remoti, e spero che la memoria non m’inganni (prendete tutto con il beneficio d’inventario, perché non sono riuscito a trovare documentazione al riguardo), c’è un giovanissimo Salvatore Emilio Corea, probabilmente agli esordi della sua lunga carriera, che interpreta Polifemo su un palcoscenico un po’ improvvisato in piazza Bonini, nel suo lavoro “L’antro del ciclope”, decisamente sperimentale per i tempi; e poi ne “Il tarlone d’Achille” ispirato ai testi umoristici e fulminanti di Achille Campanile. Altri tempi, altre condizioni di vita, in cui sembrava che il futuro potesse essere diverso e migliore.
Ma tornando a oggi, La Compagnia del Teatro di Mu ha presentato al Piccolo “Il caso della ricca ereditiera e di Gianni amor suo”, con Massimiliano Rogato (Gianni), Pasquale Rogato (il maresciallo dei Carabinieri), Andrea Benefico (il notaio Sartoni), Lucrezia Petitto (la cameriera) e Ludovica Romani (l’ereditiera Claudia), tutti attori provenienti dalla Scuola di Teatro “Enzo Corea”, per la regia appunto di Salvatore Emilio Corea e Claudia Olivadese.
La classica copertina dei gialli Mondadori d’epoca è diventata la locandina di uno spettacolo teatrale che usa la trama gialla solo come pretesto per un intreccio narrativo che sorprende di continuo e nel contempo diverte, con le sue tante trovate sceniche e la bravura degli attori che le interpretano con un ritmo e una naturalezza che non temono confronti.
La crescita passa anche da qui, dalla possibilità di assistere a uno spettacolo di qualità nei nostri piccoli comuni dell’entroterra. Una possibilità che ci è data dalla caparbia aspirazione di Gino Capolupo. L’autore, regista, attore, impresario, e chi più ne ha più ne metta, che sta dedicando parte della sua esistenza al palcoscenico e, coadiuvato dalla sua équipe, come un moderno Don Chisciotte, sfidando l’era di internet e dei social media, mulini a vento ben più potenti e pervasivi rispetto a quelli affrontati dall’antieroe della Mancia, riesce ancora a vedere nel teatro una via maestra per riconsegnare speranza a queste lande altrimenti destinate all’abbandono e alla desolazione.
di Raffaele Cardamone