Dal prossimo 18 maggio le chiese saranno di nuovo aperte al culto, si potranno celebrare messe e altre funzioni religiose. Ovviamente sempre rispettando le regole imposte dal virus che ha già cambiato profondamente le nostre vite e le nostre abitudini.
E anche il rito cattolico della messa sarà inevitabilmente sconvolto dal virus e dal necessario “distanziamento sociale”.
Immaginiamoci una chiesa in cui i fedeli non potranno stare vicini, salutarsi come al solito, stringersi la mano quando sarebbe dovuto arrivare il fatidico momento dello scambio di un “segno di pace”. Un momento della liturgia che potremmo definire “trasversale”, per questo gradito ai praticanti più assidui delle chiese come a quelli, per i più svariati motivi, solo occasionali.
Anzi, verosimilmente, questo momento dovrà essere abolito, per evitare distrazioni e possibili trasgressioni alle rigide regole che il virus ci costringe a rispettare; pena: una ripresa dei contagi e un nuovo “confinamento” o lockdown, come si usa dire oggi.
Allora ci permettiamo di suggerire ai parroci dell’area Reventino-Savuto, come a tutti i parroci, se possibile di non abolire tout court quel momento unificante, ma semplicemente, con una piccola variazione lessicale, trasformarlo da «scambiatevi un segno di pace», comunemente inteso come stretta di mano, a «scambiatevi un “cenno” di pace».
In fondo basterà proprio un cenno, uno sguardo complice, una mano alzata – ancorché guantata – appunto in “segno di pace”, a sostituire quella stretta di mano proibita. Non come inutile surrogato, ma come ferma volontà di mantenere un simbolo vero di fratellanza universale, di cui – soprattutto ora – abbiamo un disperato bisogno.
di Raffaele Cardamone