Premetto di essermi proposto di scrivere di questa vicenda con addosso la casacca di iscritto all’Anpi (Associazione nazionale dei partigiani d’Italia), in qualità di “antifascista”, e quindi come uomo di parte… sempre dalla parte dei partigiani, quella giusta!
Quando ho letto la bella intervista di Valentina Lupia su «la Repubblica» allo studente sedicenne del Liceo Righi di Roma, assurto agli onori delle cronache dopo una visita con la sua classe al Senato, ho istintivamente cercato di comprenderne le ragioni.
Il ragazzo ha mimato – sbagliando, lo dico subito per evitare qualsiasi fraintendimento – il gesto della pistola puntata – forse – contro la Presidente del Consiglio Meloni, lui sostiene «verso l’alto», come «simbolo di lotta». Una pistola finta, fatta con due dita della mano tese e il pollice sollevato, non proprio come si faceva negli anni Settanta, con le due mani unite, per mimare la tristemente famosa p38.
Una storia che il ragazzo dimostra di conoscere piuttosto bene perché nell’intervista lui cita volutamente solo Autonomia Operaia, un’area della sinistra extraparlamentare che in effetti usava questo gesto simbolico, con una mano puntata verso l’alto a mo’ di pistola, in segno di dissenso. E appunto a quel gesto attribuisce un’importanza solo storica, tant’è che si rammarica di non aver usato invece il pugno chiuso, che probabilmente gli avrebbe causato meno guai.
Il ragazzo, come già detto, ha soli 16 anni, ma nell’intervista dimostra una maturità superiore alla sua età anagrafica e a quella di tanti, troppi suoi coetanei. Ha capito che il suo gesto era stato inopportuno e si è subito scusato, ma soprattutto se ne è assunto la piena responsabilità, non facendola in alcun modo ricadere sui suoi compagni e sulla sua professoressa, che per inciso si è comportata da vera educatrice facendogli abbassare subito quella mano.
Dopo le scuse però è passato ad argomentare il suo dissenso, che non rinnega affatto, e quel suo gesto sbagliato lo ha voluto spiegare. Voleva solo essere una critica a un governo e a un’intera classe politica che non rispondono più ai bisogni della gente, che ignorano gli ideali fondativi della nostra Repubblica. Una critica rivolta non solo a Meloni ma anche, come ha ricordato, a chi ha fatto una legge come la “Buona scuola” e quindi a Matteo Renzi.
Il ragazzo ha scritto a Meloni per scusarsi, ma anche in questo caso non ha nascosto la sua scelta di campo, chiudendo la lettera con un meraviglioso: «cari saluti antifascisti», in modo da marcare tutta la differenza tra il suo pensiero e la maggioranza di governo che in molti suoi componenti ha strizzato in passato e strizza ancora l’occhio al “disciolto partito fascista”.
Mi piacerebbe che nel nostro derelitto Paese ce ne fossero a milioni di ragazzi come questo, che si interessino di politica, che si sforzino di studiare e capire le cose, che pure sbaglino, come abbiamo sbagliato tutti da ragazzi, ma che abbiano poi il coraggio di correggersi e chiedere scusa, restando sempre fermi nelle loro convinzioni più profonde.
È per tutte queste ragioni che vorrei invitarlo a non desistere, a non farsi fermare dalle possibili conseguenze di quel suo gesto sbagliato, a fare tesoro di questa esperienza per evitare in futuro di cadere nello stesso errore.
Ma soprattutto vorrei far riflettere lui, e chiunque stia leggendo, sul fatto che quel gesto di sedicenne spavaldo, per quanto sbagliato, è sempre un po’ meno sbagliato del saluto romano – fascista, nazista – che ancora in tanti in Italia fanno abitualmente con la sua stessa leggerezza, ma con l’aggravante di essere adulti e spesso perfino rappresentanti del governo o delle istituzioni.
Raffaele Cardamone