di Giovanni Petronio –
Nel 1943 Francesco avrà avuto 13/14 anni e in quell’estate fu segnato da un evento che l’avrebbe sconvolto intimamente e per sempre. Quando l’ho incontrato nel 2013, col suo bel sorriso stampato in faccia, era desideroso di parlarmi di quel fatto verificatosi la mattina del 27 agosto del 1943… Giornata campale in cui gli Alleati rasero al suolo mezza città di Catanzaro, provocando un’ecatombe di centinaia di morti e feriti. L’anziano mi racconta la sua storia, forse una come tante, ma sicuramente una delle ultime che ho avuto l’onore di ascoltare dal vivo e che diventerà sempre più raro registrare, non solo su un supporto analogico, ma soprattutto nel cuore. Un’occasione d’oro per poter imparare una lezione di vita. Pur non essendo originario del capoluogo, in quella torrida estate vi si trovava perché suo padre prestava servizio alla Caserma o alla Prefettura (forse alla censura per quello che deduco).

Il Prefetto di Catanzaro Monzoni il 9 luglio 1943 richiamandosi all’art. 19 della Legge Comunale e provinciale, dispose lo sfollamento immediato delle aree marine e di Santa Maria, imponendo però che in tutte le località dovessero continuare ad essere erogate le funzioni degli uffici pubblici e delle attività commerciali. “La vita non era tranquilla, come poteva esserlo? Avevamo una grande paura, le sirene suonavano spesso e andare a giocare fuori era diventato un rischio. Il 19 agosto la Stazione di Sala fu distrutta e su di un treno per Crotone rischiarono di morire tante persone, lì c’era anche mio papà che si salvò grazie alla prontezza del macchinista, che fece scorrere le carrozze nella galleria… La città aveva subito l’assedio da Carlo V nel 500’, ce l’avremmo fatta anche questa volta… ”La mattina del 27 era uscito con alcuni coetanei per andare a cercare del tabacco per il papà, quando avvertì il suono dell’imminente pericolo.

Inizialmente non ci fece caso, poi si accorse che diventava sempre più fragoroso e intenso… Comprese che non era come le altre volte, tutto sarebbe stato diverso. “Un rumore assordante che vive sempre in me, spesso nei miei incubi, e che in 70 anni non ho mai dimenticato”. Sentì l’eco delle prime esplosioni, il terreno sotto i suoi piedi iniziò a tremare, i palazzi a roteare ed a implodere… In quegli istanti così concitati, uno dei suoi più cari amici preso dalla paura e dal timore che le case potessero cadergli addosso, scappò via: “tentai di fermarlo, provai ad afferralo ma, non ci riuscii, allora pensai: <andrà da sua mamma, abita qui vicino!> e mi rincuorai. Insieme agli altri ci rifugiammo sotto alcune scale di un palazzo rimasto con il portone aperto. Rimanemmo in silenzio stretti l’uno su l’altro per un bel po’ di tempo e quando uscimmo solo urla laceranti udimmo. Era complicatissimo camminare, cosa potevo fare? Andare a casa sicuramente! Arrivai e trovai tutti sani e salvi. Mamma appena mi vide mi abbraccio quasi a soffocarmi per la gioia. Ci raggiunse papà informandoci che decine erano stati i morti e il Duomo, luogo delle nostre preghiere domenicali, era un cumulo di macerie… Passò qualche ora ed andammo a vedere cosa fosse possibile fare, come aiutare gli altri… Quello che vidi non lo dimenticherò”.
La voce inizia a incrinarsi, gli stringo la mano: “La città aveva subito danni notevoli, c’erano detriti e sotto di essisi intravedevano mani di individui che spuntavano, quasi a chiedere un aiuto estremo che non sarebbe mai potuto arrivare in tempo! Attimi dopo scorsi la mamma del mio amico, quello che durante il bombardamento scappò via impaurito… Era con degli anziani(da quello che ho capito il papà si trovava in guerra), mi avvicinai, davanti a me un lenzuolo di lino bianco con macchie di rosso avvolgeva un essere umano, un piccolo essere umano. Allora, di corsa e col cuore in gola, mi avvicinai, incrociai lo sguardo della donna, pieno di polvere e solcato dalle lacrime. Il suo volto non aveva più fisionomia. Si era messa a scavare come una pazza. No, non ci potevo credere! Non ci volevo credere… Da quel telo pendeva una manina sporca di calce…Il mio amico era morto. Mi allontanai e piansi tanto… Mi chiesi perché fosse successo?? Cosa c’entrava un bambino con la guerra, che cosa?”
Le lacrime dell’uomo diventano incontenibili, è un momento di inevitabile commozione! Mi dice che tutta una vita ha avuto il rimpianto di non averlo strattonato a sé, di non avergli impedito di andare via: “non lo so se mi ha perdonato, ma se non l’ha fatto, ha fatto bene, perché lui non avrebbe mai abbandonato me”.
Questa è una storia per ricordare e per ricordarci che anche questo è accaduto, 77 anni fa.
I disegni a corredo del testo sono di Francesca De Masi.