Catanzaro – Il 22 febbraio 2020 presso la Casa Circondariale di Catanzaro, ho parlato davanti a una trentina di detenuti delle storie de “I ragazzi della Fiumarella. Un disastro ferroviario a colori. E poi?”, contenute nel mio lavoro di ricerca.Ho poi discusso di infrastrutture e delle criticità sulla medesima linea Cosenza-Catanzaro; al mio fianco il direttore, la dott.ssa Paravati, l’on. Wanda Ferro, il prof. De Cumis e tanti altri attenti e disponibili relatori.
Perché realizzare un evento del genere? Perché,per me, andare alla ricerca di volti, di persone, con le quali confrontarmi e imparare è un’opera strutturante il mio essere e il mio agire.
Come? Si può imparare da tutti e da tutto, lo si fa camminando e conoscendo. Ho parlato davanti a individui, che per la legge e per i gravissimi crimini commessi, giustamente, sono ritenuti reclusi di Alta Sicurezza, che correttamente e sacrosantamente stanno pagando per quello che hanno fatto, che stanno anche soffrendo per quello che hanno inflitto ad altri essere umani come loro… Qualcuno l’altro ieri mi ha detto: “vedi che un carcere non può essere un luogo di sofferenza, meritano di stare lì!”.
Una persona può meritare di stare o non stare in un luogo? In quel luogo? Si, forse, potrebbe meritarlo! Non posso giudicare io, condannare o assolvere non spetta a me, lo ha fatto la legge e la storia e lo continuerà a fare il tempo. E allora cosa spetta a me? Per il sottoscritto era importante ascoltarli! Incontrarli, non giudicarli! Non si giudica l’altro, mai! Dobbiamo farlo solo con noi stessi, questo ripeteva mia nonna. Non giudicare però non significa giustificare o soprassedere.
All’interno di un penitenziario vi è una sorta di ritorno all’essenzialità nella forma e nella sostanza: l’uomo diventa nudo dinanzi alle sue colpe, forse anche davanti al possibile e corretto pentimento; certamente lo è davanti alla sofferenza che ha provocato e che, come un boomerang, gli torna addosso. Penso che quando ci sia tanto male è perché ab origine vi sia stata incapacità e abbandono ad intervenire rettamente da chi di dovere! Forse colpe ascrivibili alla famiglia, alla scuola, alla società civile, che invece di indirizzare alla giustizia mandando messaggi intrisi di speranza e di fiducia nel futuro e nell’umanità, hanno avallato la tesi che fosse ammissibile o accettabile che atti di collera potessero (o possano) trasformarsi in violenza incontrollata e inaudita. Nulla potrà mai legittimare un crimine, forse neppure la fame… Sono convinto che l’istruzione possa essere un buon antidoto a non perpetrare il male e che, una volta, malauguratamente, commesso, sia uno dei pochi strumenti che consente di raggiungere una maturità e una crescita insperata. Una sorta di redenzione intima dell’uomo con sé stesso. In tante occasioni della vita, non solo nei reclusori.
Ognuno, giovani compresi, (molti dei quali non usciranno mai più perché reclusi a vita) mi ha insegnato e trasmesso tanta umanità e tanto attaccamento a quest’opera di memorie e di attualità che da anni porto avanti. Nei mesi scorsi, grazie ai pomeriggi di lettura, avevano letto il libro in gran numero, rimanendone colpiti… Ho poi ricevuto oralmente e sotto forma scritta, toccanti riflessioni che hanno accesso qualcosa di forte nel mio animo.
Non dimenticherò quella mattina. Non posso. Non debbo.