Nel secolo successivo vi fu l’arrivo degli Angioini che determinarono sul territorio una grave e persistente situazione di precarietà per le popolazioni.
Successivamente, annessa alla diocesi di Martirano e ricadente nella omonima contea, eletta a tale status da Roberto il Guiscardo, ne accompagnò le vicende feudali, i destini e le fortune dei sui vasti possedimenti. Secondo altre indicazioni, sul finire del XIV secolo Motta di Porchia venne concessa in feudo a Francesco Scaglione, maresciallo del Regno di Napoli, da Carlo III di Durazzo, mentre nel secondo decennio del XV secolo per volere di Luigi III venne data in feudo dallo stesso a Filippo Giacobbe Tirelli. Feudo che gli venne ancora assicurato prima da Renato d’Angiò e poi da Alfonso I d’Aragona.

A proposito del casato Tirelli conosciuti prima come Casole ecco quanto sostiene Luigi Palmieri: «Secondo la tradizione, proviene dalla Britannia. – Jacobo Casole, capitano di una squadra di cavalleria, con gli auspici di Carlo III, venne nel nostro Regno, dove combatté sul fiume Sasso. – Orazio Casole, nel 1374, è il primo di questa casa di cui si ha notizia. – Filippo Jacobo Casole, nel 1428, viene chiamato col titolo di nobile e fu stimato da Ludovico III, Renato d’Angiò e dalla regina Isabella. Con Onorata, di probabile casa di Carolei, generò Tirelli. Per le sue gesta ottenne in concessione i feudi di Motta S. Lucia, Grimaldi, Altilia, Scigliano. – Tirello Casole, figlio di Filippo, sposato con una donna di casa Carolei, cambiò per la prima volta il nome da Casole in Tirelli. Questa casa, amata da Ludovico III e Renato d’Angiò, fu odiata da Alfonso I, che la spogliò di tutti i beni, restituiti poi da Galeazzo, duca di Milano. – Angelo Tirelli, uomo valoroso, per le imprese militari, fu fatto colonnello della città di Lucca. – Lorenzo Tirelli, capitano dei fanti, visse nel XVII. La famiglia Casole, oggi detta Tirelli, venne a Cosenza dal regio casale di Casole, bagliva di Spezzano Piccolo. – Durazzo Casole fu il primo di questa casa che venne a Cosenza. Per avere stipulato molti contratti, fu nominato pubblico e regio notaio. Nel 1364, erogò un contratto tra il monastero di S. Maria della Motta e quello di S. Chiara di Cosenza. – Filippo Iacovo Casole, chiamato nobile e suo familiare nel 1426, ottenne da Ludovico III otto once di oro sopra i pagamenti di Scigliano, Motta Santa Lucia, Grimaldi ed Altilia.
Questo donativo fu confermato dalla regina Isabella, moglie del re Renato, nel 1435 e dal re Alfonso I, nel 1444»12.
Nella seconda metà del XV secolo Motta inclusa nella bagliva di Martirano, passò nel demanio regio di Cosenza e venne governata da Martin Giovanni Scarrera per volere di Federico I d’Aragona.

Incarico che passò, sul finire del secolo, al marito della figlia, un certo Andrea de Gennaro e bagliva, sempre per volere del d’Aragona, convertita in feudo e concessa allo stesso de Gennaro col titolo di conte. Alla contea che i de Gennaro detennero fino al 1496 vennero unite le realtà territoriali di Altilia, di Grimaldi e di Scigliano. Le suddette decisioni generano un forte dissenso nella popolazione di Motta provocando anche l’insurrezione della comunità. Dopo alterne vicende e controversie che portarono alla repressione di Motta di Porchia, per opera di Pietro De Castro, governatore generale della Calabria, questa sfiancata dalla lunga resistenza nei confronti del feudatario, costretta alla fame, alla resa e persino a ripararsi nei casali di Scigliano, passò insieme alla stessa Martirano sotto il governo di Carlo d’Aquino, principe di Castiglione, per aver questi sposato una figlia di De Gennaro, conservandone poi il possesso fino all’applicazione delle leggi eversive della feudalità. Sotto i d’Aquino, governatori del feudo, Motta negli anni del Risorgimento fu affascinata dagli ideali repubblicani della Rivoluzione Francese divenendo un attivo centro risorgimentale e punto di riferimento di tanti patrioti anche se, purtroppo, le intenzioni rivoluzionarie furono soffocate dall’avanzata sanfedista del Cardinale Fabrizio Ruffo.
Notizie riprese dal SIUSA (sistema informativo unificato per le soprintendenze archivistiche), ci dicono che a seguito dell’ordinamento amministrativo disposto nel 1799 dalla Repubblica Partenopea, Motta divenne un comune nel cantone di Nicastro.
Nel 1807, i Francesi ne fecero un Luogo, ossia Università nel cosiddetto governo di Martirano, mentre nel 1811 divenne comune per le disposizioni applicative del Decreto 4 maggio, istitutivo di comuni e circondari, rimanendo nella giurisdizione di Martirano.
Qualche anno dopo la Calabria per volere del governo Borbone, venne riorganizzata amministrativamente in tre province: la prima con capoluogo Cosenza chiamata Calabria Citeriore, la seconda con capoluogo Reggio Calabria detta Calabria Ulteriore Prima e la terza denominata Calabria Ulteriore Seconda avente come capoluogo Catanzaro. Appartenuta sempre alla provincia di Cosenza, nel 1816, proprio per il nuovo assetto amministrativo Motta transitò dalla provincia di Cosenza a quella di Catanzaro.
Ulteriori e dettagliate informazioni su quanto sopra esposto si possono trovare in un volume curato dalla scuola media di Decollatura e Motta Santa Lucia edito dalla Grafica Reventino13.
Come i tanti paesi della Calabria anche Motta non fu incolume dal triste fenomeno del brigantaggio postunitario, che nella regione si manifestò con virulenza già prima dell’Unità d’Italia per la fallita riforma agraria e a seguito della vessazione imposta dalle classi sociali benestanti. Proprio su tale fenomeno si concentra un recente studio confluito nel volume di Domenico Iannantuoni e Francesco Antonio Cefalì. Ricerca con la quale gli autori «tentano di chiarire al grande pubblico, […] i molti dubbi su fatti, date, episodi salienti della vita di Giuseppe Villella, portando altresì alla luce l’inedita storia del brigantaggio a Motta Santa Lucia, relativamente alla fine del 1800»14.
Per quanto riguarda il profilo economico del luogo, questo da sempre ha fatto leva sull’agricoltura e in relazione soprattutto alla qualità del terreno che risulta ancora oggi molto articolato tra zone pianeggianti, collinari e montuose ricche di acqua per la presenza di fiumi e sorgenti. La parte montuosa è ricca di boschi in particolar modo castagni, querce e pascoli per gli animali considerato anche l’apporto dato al settore economico dal patrimonio zootecnico rappresentato prevalentemente dall’allevamento di ovini con la conseguente trasformazione del latte in prodotti caseari e dall’allevamento del suino nero di Calabria. Tra i principali prodotti troviamo il legno destinato alle lavorazioni artigianali, cereali, legumi, castagne, fichi, grano, olio, frutta, ortaggi e vino, oggi bene inserito a pieno titolo nella zona di produzione del Savuto DOC, insieme ad altri paesi del circondario tra cui Rogliano, Santo Stefano di Rogliano, Marzi, Belsito, Martirano Lombardo, Nocera Tirinese.
In passato interessante era il funzionamento di alcuni frantoi oleari e mulini, la coltivazione del lino, grani, grani d’India, mais, frutti, vite, castagne, ghiande, e gelsi per la produzione della seta. All’economia del luogo, oltre al supporto fornito dagli operai, dagli agricoltori e da alcuni piccoli proprietari, non mancò certamente il contributo delle diverse tipologie manifatturiere del luogo praticate da valenti artigiani come sarti, calzolai, falegnami, mugnai, pentolai, bettolieri, mulattieri, fabbri, muratori.
Aspetto non secondario di Motta Santa Lucia è il patrimonio dei beni architettonici e culturali così come riportato dal sito web della Comunità Montana del Reventino15: chiese, monumenti, edifici nobiliari tra i quali si vogliono indicare i palazzi: Notarianni-Pirri, Sacchi, Colosimo, Stranges-Bevacqua, Pingitore, Putaro; le chiese di S. Francesco, della Cona, di S. Maria delle Grazie, di S. Caterina, di S. Lucia. I ruderi della chiesa di S. Tommaso d’Aquino ed il casale d’Aquino ad Aquino, i mulini Colosimo, Tosti e Pingitore.
Relativamente al patrimonio ecclesiastico alcune informazioni si ricavano, invece, dal sito della diocesi di Lamezia Terme che così descrive: «chiesa S. Maria delle Grazie. Della chiesa si hanno poche frammentarie notizie. Essa apparteneva al convento dei francescani dal 1630 con dedicazione a Sant’Antonio, infatti vi si conserva una pregiata statua lignea del Santo secolo XVII. Dopo recenti interventi di restauro la chiesa si presenta nella sua solenne sobrietà. Interno: unica ampia navata, pareti liscie, soffitto a capriata in legno, e arco santo in tufo. Esterno: facciata a capanna, portale in tufo. La gloriosa storia di Motta, faceva contare ben 12 chiese, di alcune sono ancora visitabili i ruderi. Non rimane traccia dell’antica chiesa Madre, intitolata alla Madonna delle Grazie; l’imponente edificio che sorgeva al centro del paese, era costituito da tre ampie navate, fu definitivamente abbattuto negli anni ’60. Aperte al culto vi sono la chiesa di Santa Lucia, fondata nel 1546 che nasce come chiesa congregale assieme a quella del Ss. Sacramento, dell’Annunziata e del Purgatorio. Funziona ancora la chiesa di San Francesco di Paola, nei pressi del cimitero, suolo su cui sorgeva il convento dei frati minimi. Le altre chiese sono: Madonna di Porchia, San Vito, Santa Filomena, Santa Caterina, San Tommaso, Madonna del Soccorso. Di recente donazione alla parrocchia vi è la chiesa della Madonna della Consolazione, che però necessità di urgenti interventi di restauro»16.
di Franco Emilio Carlino, Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina
BIBLIOGRAFIA
12 L. Palmieri, Cosenza e le sue famiglie: attraverso testi, atti e manoscritti, Volume 1, Pellegrini Editore, Cosenza 1999, p. 523.
13 Cfr. AA. Vv., Decollatura e Motta S. Lucia: due comunità del Reventino, Decollatura: Grafica Reventino, 1980.
14 S. Strati, Prefazione, in D. Iannantuoni e F.A. Cefalì Perché briganti? La vera storia del “brigante” Giuseppe Villella di Motta S. Lucia (CZ), BookBaby 2014.
15 Cfr. http://www.comontreventino.cz.it/index.php?action=index&p=278
16 http://www.diocesidilameziaterme.it/S.-MARIA-DELLE-GRAZIE-in-Motta-S.-Lucia.