Una volta – è inutile che ve lo dica – il Natale era una festa da vivere in famiglia, adesso è soprattutto shopping nei centri commerciali.
Una volta – è inutile che ve lo dica – a Natale si giocava a tombola con i fagioli e le bucce di mandarino che profumavano l’aria, ora, quando e se si gioca, si gioca con la tombola con le finestrelle, che per giunta funzionano peggio.
Una volta – è inutile che ve lo dica – la notte di Natale si usciva di casa per andare a messa anche se non eri credente, tutti cantavano Tu scendi dalle stelle, si baciavano, si scambiavano auguri. Ora la notte di Natale si guarda la tv sul divano satolli di cibo che impedisce perfino di ricordare chi siamo, ci rimane una sola particella vagante in testa che va ripetendo “troppe calorie”.
Una volta – è inutile che ve lo dica – c’era la scelta tra pandoro e panettone. Ora ce ne stiamo inebetiti davanti a torrette di controllo nei supermercati persi tra pandori e panettoni farciti di cioccolata mandorlata, crema limoncellata, panna alla nutella, nutella alla panna, frutta caramellata, chantilly meringata e tu sei lì che vaghi con lo sguardo dall’uno all’altro cercando di controllare che non ti scappi la lingua di bocca, giusto perché sarebbe imbarazzante sbavare lì nel mezzo.
Una volta – è inutile che ve lo dica – Natale era il giorno in cui era nato un tizio, per chi credesse o anche no, che si raccontava avesse cambiato la sorte degli ultimi, ma pare che non durò molto.
Adesso Natale – è inutile che ve lo dica – è un giorno in cui dei tali vi svuotano il portafoglio e voi non avete voglia di pensarci troppo che a natale si può fare di più e poi viene una volta l’anno e poi tutti ci sentiamo più buoni e generosi.
Dunque ho terminato i luoghi comuni sul Natale, altri forse ce ne sarebbero, ma li lascio alla vostra immaginazione, d’altronde non è che devo fare tutto io.
Invece voglio raccontarvi una storia, che ad alcuni potrà sembrare la solita storia natalizia sdolcinata, il che può anche darsi, ma poiché è onesta io ve la racconto ugualmente.
È la storia del paese presepe.
Il paese presepe non era sorto per fare il presepe, in realtà aveva (ed ha) un suo nome. Tuttavia, per rispettare la volontà dei suoi abitanti, lo chiameremo il Paese Senza Nome.
Il paese Senza Nome era un manipolo di case arroccate sul costone di una montagna. La vita scorreva tranquilla, al limite della noia ed era modesta e senza pretese.
Un giorno nel paese Senza Nome capitò per caso un manager di una importante azienda pubblicitaria, una delle più note (non la sveliamo per non fare pubblicità, non è il caso).
In realtà quell’uomo si era preso una vacanza, ma come si sa i veri manager non vanno mai in vacanza, ogni momento può essere buono per avere idee brillanti.
E fu proprio nel vedere il paese Senza Nome illuminato nella notte che gli venne un’idea che gli parve geniale: una nuova campagna pubblicitaria natalizia per una nota marca di una bevanda molto popolare. Quel paese era perfetto, sarebbe diventato il Paese Presepe. Le immagini avrebbero fatto il giro del mondo.
Così, in barba ai buoni propositi di assoluto riposo durante la vacanza, chiese e ottenne un incontro con il sindaco al quale in breve illustrò il progetto, promettendo montagne di soldi che il sindaco avrebbe potuto usare per costruire strade ponti ospedali giardini alberghi viali funicolari trainate da funamboli, senza contare, disse, la grande opportunità di diventare una meta turistica.
“Lo sa quanti arriveranno a vedere il paese presepe?”
Il sindaco – un uomo mite e senza doti particolari – lo ascoltò educatamente senza interromperlo, alla fine ringraziò e disse che doveva consultare i suoi cittadini. Il manager aveva fretta, erano già i primi di novembre, ormai era quasi impossibile preparare la campagna per le feste imminenti. Disse però che sarebbe tornato per fare un sopralluogo e che avrebbero organizzato comunque tutto per lo spot dell’anno successivo.
I due si lasciarono con una stretta di mano.
Poiché nel Paese Senza Nome le decisioni importanti venivano prese dalla comunità, il sindaco convocò i cittadini, in verità poche anime, i quali in linea di massima non videro di buon occhio l’idea che il proprio borgo natio diventasse una specie di luna park dei divertimenti. Addirittura, su proposta di M.P. (anche le identità dei soggetti di questa storia sono rimaste segrete per loro espressa volontà, che rispettiamo) organizzarono al manager una sorta di scherzo.
Il 18 dicembre, due giorni prima del sopralluogo, il paese fu evacuato. Gli abitanti, muniti di vettovaglie, cibo, coperte e vestiti ben caldi andarono a nascondersi in alcune grotte poco lontano dal paese.
Quello che però gli abitanti però non avevano previsto fu che la scelta audace e bizzarra per loro si rivelò un’avventura inaspettata, una sorta di miracolo di Natale.
Nascosti nelle grotte, lì avrebbero dovuto rimanere tre giorni, ma una volta montate le cucine, accatastata la legna, messo insieme il cibo, si resero conto che avevano di che andare avanti per più di una settimana. Senza contare che cominciarono a preparare pranzi, a bere per scaldarsi, a stare di notte sotto il cielo stellato con qualcuno che raccontava le costellazioni.
I vecchi presero a intonare canti che nessuno ricordava più, le donne intrecciavano agrifogli e corbezzoli con cui furono decorate le grotte, i sette figli del povero Z. mangiarono carne per la prima volta, la giovane S. ebbe finalmente il coraggio di dire a suo padre che amava R., un ragazzo bello e spiantato che proprio quella sera baciò con passione davanti a tutti e perfino L., innamorato di A. fin da quand’era ragazzo, nel vederla così premurosa con la sua famiglia, si disse che non era davvero il caso di consumarsi la vita per un amore impossibile ed ebbe voglia di una donna, così si fidanzò con F., la bella fioraia dalla dubbia reputazione. Anche le sorelle T., nubili senza mai un uomo, si ripulirono dalla loro aria arcigna e sospettosa e risero e bevvero come se non avessero mai conosciuto né vino né riso in vita loro.
Insomma, come fu o come non fu, gli abitanti del paese Senza Nome si divertirono così tanto da non aver voglia di tornare nelle loro case. Per giunta si dimenticarono del manager, dello scherzo e del sopralluogo.
Il quale manager, giunto puntuale con la sua troupe al paese in un gelido giovedì di dicembre, trovò il paese vuoto, abbandonato, le case chiuse, i comignoli spenti e un silenzio assoluto. Insomma un paese fantasma in cui vagarono per qualche ora. Qualcuno azzardò l’ipotesi che doveva essere uscito di senno, visto che avevano fatto tutta quella strada per un vecchio paese di quattro case diroccate abbandonato chissà da quanto. L’inspiegabile episodio costò al manager un pezzo di carriera.
Il giorno di Natale gli abitanti del paese Senza Nome erano ancora nelle grotte e per quel giorno preparano un pranzo che rimase nei racconti per molte generazioni, cantarono e ballarono fino a notte inoltrata.
Poi, come disposto, il giorno dopo si rimisero in cammino per fare ritorno alle loro case tra le proteste dei bambini che sarebbero rimasti volentieri nelle grotte con i loro musi sporchi e i giocattoli sparsi ovunque che ormai non si capiva cosa appartenesse a chi e soprattutto chi non ne aveva mai avuto aveva sentito di averne qualcuno.
La sera del 26 erano nei loro letti stanchi e felici. Per le strade calò il silenzio della stanchezza.
Solo dalla casa di L. arrivava un pianto di neonato che non voleva smettere.
Sì, perché ho dimenticato di dirvi che il giorno prima, il 25 dicembre, G.L. aveva avuto le doglie in anticipo e aveva partorito nella grotta una bellissima bambina di quasi tre chili alla quale – per non apparire presuntuosi – fu attribuito il nome di Nazarena.
Di Nazarena, nata nella grotta, non abbiamo al momento notizie. Ma ci piace pensare che sia sulle tracce degli ultimi e che abbia cercato e trovato il manager, ormai anziano, giusto per il gusto di fargli una bella pernacchia.
Buon Natale a tutti!
Daniela Grandinetti