di Daniela Grandinetti –
Cari amici del Reventino.it, come va? Spero bene. Dopo la pausa estiva riprendiamo a Camminare a parole, con questa, spero, piacevole e, soprattutto, utile rubrica dedicata alla lettura e ai libri.
Il torrido agosto appena passato, mi ha portato, tra le tante, due letture e una coincidenza: le due letture sono Oltre il mandorleto di Vincenzo Soddu e Wonder Boy di Daniele Musto (entrambi Arkadia Edizioni, rispettivamente collana Eclypse e sideKar); la coincidenza invece sta nell’averli letti in sequenza: prima Oltre il mandorleto e subito dopo Wonder Boy e, pur essendo due romanzi molto diversi, mi sono ritrovata a percorrere una linea del tempo dagli anni ’70 ai giorni nostri.
Vincenzo Soddu, Oltre il mandorleto, Arkadia Eclypse
Oltre il Mandorleto è la storia di un gruppo di ragazzi nati e cresciuti nella periferia di Cagliari e a raccontarne le loro storie è uno di loro, Sandro Fois: la musica, i Pink Floyd, un certo modo di sentire e di guardare al confine di quella periferia segnata dal mandorleto oltre il quale si immagina il mondo quando si ha quell’età, l’arrivo dell’eroina in quelle periferie e il personaggio di Mirko Melis, il discolo del gruppo, carismatico, spigoloso, colui che il confine lo oltrepassa, mentre gli altri stanno lì a guardare, tra ammirazione, paura e disorientamento.
Vincenzo Soddu racconta questa storia con la delicatezza di uno sguardo a tratti malinconico e nostalgico, senza però mai cadere nella trappola del ricordo che sublima e rimuove. È una narrazione naturale proprio come è stato il modo di crescere in quegli anni: “Il primo giorno di scuola media, all’istituto “E. Lussu”, ci eravamo arrivati tutti assieme come facevamo ogni pomeriggio per andare in piazza a giocare, solo che quella mattina ci eravamo radunati dietro il cancello dell’edificio, a pochi metri dall’oratorio, e certamente non per divertirci. Lì non potevamo più correre spensierati. Per noi quell’ingresso era sempre stato il limite di un mondo sconosciuto e allo stesso tempo pericoloso, quello degli adulti, e quel giorno degli adulti ci avrebbero per la prima volta giudicato.”
Ho ritrovato la mia storia, la mia generazione, le storie di tanti di noi in città nelle quali la vita era semplice e nel contempo carica di privazioni e disagi, la scuola era il luogo amato/odiato dove maturavano i conflitti, le strade erano lo spazio dove si condivideva la musica e le insicurezze; fino a quando gli amici non cominciarono a sparire, “a farsi”, a fuggire, a perdersi e tutto all’improvviso diventò precario, incerto, di una bruttezza fatale come la morte, come la perdita.
Le periferie si allargano e le campagne spariscono, i ragazzi e le ragazze chiusi dentro a casermoni sempre più lontani dal confine del mandorleto, che loro malgrado, attraverseranno con esiti differenti, ciascuno in base al proprio retroterra. Divisi una volta per tutte.
Ho letto il romanzo di Vincenzo Soddu con estrema attenzione, non solo per la prosa fluida: per me l’attenzione nasce quando le storie sono credibili e ancor più quando ti “assomigliano”, una sorta di simbiosi con lo sconosciuto dietro la porta: tu e l’autore, che sa come non farti perdere tra inutili tortuosità che oggi vanno tanto di moda nella narrativa italiana: i fatti narrati nel loro accadere con uno stile semplice, come la vita che ha flussi naturali e la realtà che invece si impone e si mette nel mezzo, indipendenti, spesso, dalla nostra volontà, perfino quando pensiamo di scegliere.
Daniele Musto, Wonder Boy, Arkadia Sidekar
Il secondo invece ha luogo negli anni Ottanta e sebbene parli di un protagonista che cresce (come nei canoni del romanzo di formazione) la storia di Maniele Dusto è piuttosto un romanzo di (s)formazione.
Cronologicamente in linea con il precedente qui c’è il berlusconismo, gli anni della Milano da bere, del mito della finanza, di Tangentopoli.
Raccontare Wonder Boy (la vera storia di Maniele Dusto) è difficilissimo: e come ve li faccio vedere i fuochi d’artificio? Come descrivo una story board schizofrenica con un protagonista che ha la sventura di nascere senza famiglia (pur avendocela) e con una faccia da buono che invita a prenderlo a cazzotti tanto appare indifeso e fesso?
Io so che la notte in cui ho finito di leggere questo romanzo all’1:47 ho scritto un post su faccialibro, perché sull’ultima pagina del libro, è il caso di dirlo, si era stampata la mia faccia, ed era una faccia che se non avesse detto ai quattro venti che è un libro bellissimo, sarebbe esplosa, che è una cosa che i romanzi (quando me ne innamoro) fanno, non so se sia un bene o un male. Io dico è un bene, perché alla storia che i libri salvano il mondo e fanno diventare migliori non ci credo, ma alla realtà che fa schifo e i libri migliorano il nostro modo di starci dentro sì.
Wonder Boy è la storia altamente improbabile e incresciosamente vera di un personaggio per il quale vale il “ve lo faccio vedere io”! e seguendo l’autore da un bel po’ su Facebook io sono stata buona buona a leggere ed aspettare proprio quello. Infatti, puntuale, ecco lo scoppio: di scrittura, di intreccio, di rocambolesche avventure di un moderno Oliver Twist che Dickens scansate che i tempi sono cambiati: ora è il momento di Wonder Boy, capace di meraviglie, colpi di scena, sorprese continue e verità travestite sotto il manto del surreale.
Può una storia coniugare la tenerezza e la violenza con il tono narrativo di un fumetto? Ebbene sì, Daniele Musto c’è riuscito alla grande, creando un campo minato nel quale le uniche pause sono quelle concesse dalle inserzioni pubblicitarie a pagamento (che ci sono davvero).
Una mente esuberante e a suo modo geniale che rompe gli schemi della noia di tanta narrativa che corre sui binari del mercato editoriale italiano, spesso perfino pluripremiata.
Una storia con un finale che ero lì a piangere pur essendo la storia comica, per certi versi.
Una storia di calli e di buchi: perché “fare il callo” e riempire i buchi è ciò che in fondo facciamo tutti, solo che Wonder Boy lo fa meglio.
Alla fine di questa sconclusionata cavalcata in due romanzi che ho amato molto in maniera diversa, non mi resta che ringrazia Arkadia per essere una casa editrice coraggiosa e averci regalato queste due piccole perle da scrigno in fondo al mare (mare mosso naturalmente, perché senza muoversi le perle non si trovano, sapevatelo)