TERZA PARTE: L’incontro con Rubbettino
La seconda parte del libro, dedicata al folklore e alle tradizioni religiose, è scritta da Antonio Sposato nel momento in cui il paese conserva ancora usi, costumi e riti secolari, alcuni dei quali affondano l’origine nella storia più remota.
Stiamo parlando di una miriade di credenze e di tradizioni. Ex voto ai santi, secondo un antico costume italico; processioni penitenziali che si richiamano al Medioevo; lamenti funebri che riportano all’antica Grecia; cibi cotti e bevande calde che gli amici portano ai parenti nei giorni che seguono la perdita di un familiare, per consolazione secondo il costume del “cunsulo”; nastri neri attaccati allo stipite delle porte rimasti fino a quando il tempo non li scolora o il vento li porta via; pellegrinaggi nelle chiese di campagna; ramoscelli e intrecci di canne, edera e salice portati in giro la Domenica delle Palme con chiaro significato sacrale e propiziatorio; “sepolcri” che evocano il rito arcaico dei giardini di Adone; l’uso della battola, strumento di legno a tavolette battenti suonato per le strade al posto delle campane nei giorni della Passione; la processione delle verginelle; il canto della strenna che il popolo chiama“strina”…
Sposato conosce bene quel mondo. Un mondo che si appresta a uscire dalla civiltà contadina per entrare in un indistinto tempo moderno. Lo conosce per averlo vissuto con intensità – spesso da protagonista – e per averlo studiato con attenzione.
Per questo, il suo approccio alla trattazione non si riduce ad un vuoto erudizionismo. «Lo scopo cui tende è volto a conservare nel tempo le memorie del popolo, ad approfondire la conoscenza della più umile realtà, a realizzare una memoria presente del passato non fine a se stessa, ma che evidenzi quei vivaci e genuini riflessi delle aspirazioni popolari, costituenti il sacro patrimonio di una comunità», scriverà nelle prime pagine di questa seconda parte del libro.
È un approccio che tiene conto di varie discipline e di diversi ambiti di ricerca, e che ci evita di cadere nella tendenza all’autoreferenzialità. Un approccio – d’altronde – che caratterizza tutto il lavoro e che coinvolge sia la parte storica che il folklore, le tradizioni religiose e la stessa poesia, che occupa il capitolo conclusivo del volume.
Non a caso, il metodo scelto si richiama all’esperienza delle Annales, una scuola che rinnova i metodi dell’indagine storica attraverso una concezione globale della società, privilegiando il dialogo con altre scienze sociali come sociologia, economia e antropologia. In tal modo, la storia non diventa solo “racconto di avvenimenti” e le fonti scritte, le cronache, i documenti non rimangono sterili, ma sono inseriti in un contesto sociale ampio che allarga l’orizzonte fino a far raccontare una storia il più possibile “globale”.
Grazie ai suddetti insegnamenti, si porta avanti un’opera di ricerca e osservazione sul campo, e si ha modo di penetrare in profondità in quegli ambienti che sono rimasti sconosciuti o poco studiati.
Un metodo che si è rivelato essenziale, specialmente per la parte curata da Sposato, e l’immersione nelle attività quotidiane della comunità da raccontare, la frequentazione e i periodi vissuti assieme, la comunanza della lingua e del dialetto, sono momenti che ci hanno aiutato ad abbattere il muro che spesso si crea tra osservatore e osservati, e che ci hanno consentito di raccogliere leggende, canti e ricordi popolari, grazie alla collaborazione di diversi concittadini ai quali, al termine dell’osservazione, è andato il ringraziamento per averci messo in condizione di conoscere e di capire i molteplici aspetti delle varie tradizioni paesane.
«In particolare» – scriviamo nel libro – «desideriamo ricordare Rosario Chieffallo, Giovanni Cicco, Amedeo Maida, Vincenzo Orlando, Luigi Sposato e Francesco Trunzo, che ci hanno consentito di raccogliere e ricostruire i versi de La mietitura».
Dopo alcuni mesi di lavoro, finalmente, il manoscritto è pronto e inizia la ricerca di un editore disposto a pubblicarlo.
Anche in quella circostanza, l’aiuto degli amici è prezioso. Angelo Raso, che gestisce da anni l’edicola-cartolibreria di San Mango, parla di un signore di Soveria Mannelli, di nome Rosario Rubbettino, da lui conosciuto come agente editoriale che si occupa di libri scolastici.
Rubbettino non fornisce solo testi per le scuole. Nel 1973 ha aperto una tipografia e nel 1975 ha pubblicato il primo libro come editore. Così, in un giorno di primavera del 1977, ci mettiamo in macchina e inizia il viaggio. La “Cinquecento” percorre strade dove l’infittirsi dei boschi comincia a segnalare la presenza del Reventino.
Ci fermiamo nei pressi di un magazzino posto sul corso Garibaldi, entriamo e troviamo alcune persone: Silvana, «che allora era una ragazzina, oggi è il direttore della tipografia»; Tommaso, «il ragazzo che, preso come apprendista, è diventato proto», ricorderà nel 2000 Rosario Rubbettino, in un libro intervista pubblicato in occasione dell’inaugurazione di un nuovo stabilimento tipografico «che porrà la Rubbettino ai primi posti fra le industrie editoriali del nostro Paese». E poi troviamo lui, Rosario, il quale dimostra subito interesse per la pubblicazione e ci trasmette tutto il suo entusiasmo. E non poteva essere diversamente, visto che proprio su Impronte (questo è il titolo del libro intervista) egli, riferendosi agli inizi dell’avventura editoriale e parlando dei suoi «tanti interessi ancora inappagati», confesserà: «Mi piaceva, per esempio, fare ricerche sul folklore, sui proverbi, sulle nostre tradizioni…».
Il 2 maggio 1977 firmiamo il contratto di edizione per 1.500 copie, e versiamo l’acconto pattuito. Nei giorni successivi torniamo più volte a Soveria, per consegnare i testi dattiloscritti e per procedere alla correzione delle bozze.
Non si conoscono ancora i sistemi di composizione elettronica e la stampa offset. Le arti grafiche si reggono su un metodo di lavorazione rimasto sostanzialmente immutato dal tempo di Gutenberg, il tipografo tedesco che tra il 1436 e il 1440 utilizza per la prima volta in Europa i caratteri mobili.
Il procedimento è semplice. Cubetti di metallo, che recano in rilievo una lettera dell’alfabeto vista allo specchio, sono disposti l’uno accanto all’altro su un’apposita intelaiatura, in modo da comporre le righe del testo. Le righe sono sistemate in ordine una sopra l’altra fino a comporre una pagina in negativo. Legati strettamente e tenuti fermi, i negativi sono spalmati d’inchiostro; il foglio bianco è premuto contro di essi, e nasce la pagina stampata. Ultimato il lavoro, le righe sono smontate, i caratteri tornano a essere suddivisi lettera per lettera e riposti ognuno in un proprio cassetto, pronti a essere usati di nuovo.
Rubbettino dispone di una linotype, considerata attrezzatura d’avanguardia per una tipografia («chi possedeva la linotype era considerato un tipografo avanzato», dirà) e la composizione delle pagine di stampa è meccanica. Il linotipista batte i segni sulla tastiera; le matrici di lettere, segni e spazi vengono richiamate da apposite cassette e si dispongono in linee di testo. Attraverso un procedimento di fusione e solidificazione, la lega metallica forma poi la colonna della pagina da stampare.
La composizione è rapida, e la macchina sforna una riga per volta. Il problema nasce quando c’è necessità di correggere un errore, perché in quel caso occorre riscrivere l’intera riga. Ma le difficoltà sono superate. Le pagine sono composte e stampate; poi si passa alla brossura fresata, e il libro è finito di stampare nel mese di giugno 1977.
Le prime copie sono accolte con entusiasmo da autori, editore e maestranze. Nei locali di corso Garibaldi si festeggia l’avvenimento e si brinda con liquore e dolci fatti arrivare dal vicino bar.
L’opera – 264 pagine, copertina realizzata da Giovanni Chieffallo – è, in ordine cronologico, il terzo libro pubblicato dalla Rubbettino Editore.
È il primo saggio monografico su San Mango d’Aquino, un paese della provincia di Catanzaro che sorge sul versante tirrenico della regione; ed è il volume di apertura di una nuova avventura editoriale della Casa Editrice, la “Collana Terre-Uomini”, destinata ad ospitare diverse decine di opere dedicate ad altrettanti paesi della Calabria.
di Armando Orlando – CONTINUA –