SECONDA PARTE: Inizia il percorso
Ci mettiamo subito all’opera, e in un mondo dove Home e Personal Computer non esistono e dove la prima generazione di dispositivi informatici (microcomputer) poteva essere usata solo da appassionati, ricorriamo agli strumenti tradizionali di studio e di ricerca, che poi sono ancora libri, carta e penna.
Cominciamo a mettere in ordine gli appunti trascritti nel corso degli anni, nonché le diverse informazioni raccolte fino a dieci anni prima nella biblioteca delle Scuole Statali “Maggiore Perri” di Nicastro.
Informazioni reperite nei ritagli di tempo rubati all’obbligo di frequenza richiesto dal locale Istituto Tecnico Commerciale, le cui classi erano allora ubicate proprio all’interno del Palazzo che i d’Aquino avevano fatto costruire assieme al Vescovato dopo il terremoto del 1638.
Cominciamo, inoltre, a frequentare la Biblioteca nazionale centrale di Roma, istituita nel 1875 e collocata poi su viale Castro Pretorio, in un edificio moderno realizzato tra il 1965 e il 1975. Una biblioteca che raccoglie tutte le pubblicazioni italiane e conserva libri a stampa, ma anche opuscoli, manoscritti, disegni e carte geografiche.
Identificati gli argomenti d’interesse, si sfogliano migliaia di schede monografiche che formano il catalogo generale situato nell’area centrale della galleria. Si prende nota della collocazione, si formula la richiesta e poi si attende l’arrivo dei documenti in sala lettura. La ricerca di dati e informazioni storiche su San Mango d’Aquino non è facile. Ma da subito l’attenzione si concentra sul termine “Aquino”, che di primo acchito apre due filoni d’indagine e rimanda alla famiglia di san Tommaso da un lato, e ad un centro abitato della provincia di Frosinone dall’altro.
È una buona base di partenza. Convincente. Confermata e avvalorata anche dalle risposte pervenute ad una serie di richieste di aiuto avanzate con lettere inviate tramite servizio postale a diversi recapiti. Nel mese di gennaio del 1976 l’assessore anziano Luigi Alfinito del comune di S. Mango Piemonte indica una delle tante tracce da seguire per ricostruire l’origine della famiglia d’Aquino e indirizza le ricerche verso altri “S. Mango” esistenti nel Salernitano e nell’Avellinese.
L’assessore delegato Prospero Bonadies del comune di Sessa Cilento fornisce preziose notizie storiche su una loro frazione, denominata anch’essa “San Mango”, già feudo dell’Abate di Cava dei Tirreni e sede del Vice Abate. Bonadies comunica anche i recapiti di un loro illustre concittadino, il professore universitario Francesco Volpe, precisando che egli ha effettuato ricerche negli archivi vescovili e nelle biblioteche di nobili cilentani.
Nel febbraio 1976 arriva la risposta del prof. Volpe, il quale – su carta intestata dell’Istituto di Storia Moderna e Contemporanea dell’Università degli Studi di Salerno – segnala alcuni testi e indirizza la ricerca sui fondi Intestazioni feudali, Cedolari e Relevi, comunicando inoltre che «il feudo di S. Mango (Cilento o Castrirocci) fu acquistato da un Tommaso d’Aquino nell’anno 1623. Tale famiglia lo tenne fino al 1678, quando una Giovanna Battista d’Aquino lo alienò al duca Gian Francesco Sanfelice».
È allora che si pensa a un collegamento tra i due “S. Mango”, quello della provincia di Catanzaro oggetto della ricerca, e quello della provincia di Salerno, oggi frazione di Sessa Cilento ma un tempo feudo autonomo direttamente collegato alla famiglia d’Aquino. La domanda è: perché una Giovanna d’Aquino principessa di Castiglione (località della Calabria) vende un feudo della Campania acquistato anni prima da un Tommaso d’Aquino che appartiene, invece, a un ramo diverso da quello dei Principi di Castiglione?
Il collegamento tra la terra calabrese e la provincia di Salerno trova conferma in una lapide presente nella chiesa parrocchiale di San Mango d’Aquino, posta su una colonna laterale e chiaramente leggibile, prima di essere asportata e distrutta nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione dell’edificio sacro (come avviene spesso in Calabria per le testimonianze storiche e architettoniche). La relativa iscrizione si riferiva al “Patronato” che un esponente della famiglia Monforte vantava per successione sulla chiesa stessa, fondata a suo tempo dai d’Aquino.
I Monforte (nobili napoletani fuori Seggio) sono proprietari della baronia di Laurito dal 1352, e sono in rapporto di dipendenza dai Sanseverino. Nel 1596 intrecciano relazioni di parentela con i d’Aquino a seguito del matrimonio di Ferdinando con Eleonora d’Aquino. Nel 1644 diventano autonomi e ottengono la nomina a duchi di Laurito, Terra della provincia di Salerno. Nel 1786 un Monforte è nominato vescovo di Tropea. Nel 1799 un altro Monforte eredita i beni calabresi dei d’Aquino per difetto di discendenza, e la casata muta il cognome in Monforte d’Aquino Pico. Ecco spiegata la presenza della lapide nella chiesa parrocchiale di San Mango d’Aquino.
Definita la cornice comune entro la quale si dipanano gli avvenimenti, si passa quindi alla ricerca, all’analisi e al confronto dei dati che riguardano la realtà locale.
Il punto di partenza è un articolo di Gabriele Turchi, apparso sulla rivista Calabria Letteraria nel gennaio 1972 con il titolo “Brevi cenni storici sui castelli di Cleto e di Savuto”. In esso si leggeva di un Carlo d’Aquino che nel 1592 acquista il castello di Savuto assieme al casale di S. Mango. Ecco emergere un altro collegamento, che nel corso della ricerca assumerà grande importanza per la storia che ci apprestiamo a raccontare: la terra sulla quale sorge oggi San Mango, pur essendo collocata sulla sponda opposta del fiume, risulta alle dirette dipendenze del più antico feudo di Savuto.
Nel novembre 1976 Rocco Liberti, studioso di Oppido Mamertina, suggerisce di estendere la ricerca presso l’archivio parrocchiale. Ci accorgiamo immediatamente che nella chiesa di San Mango gli appositi Registri partono dal 1653 e confermano il popolamento del territorio sammanghese da parte di famiglie provenienti non solo dalla contea di Martirano, ma anche dai centri del disciolto Stato di Aiello, posti alla destra idrografica del Savuto.
La grande mole di notizie e informazioni reperite nell’archivio consente di delineare con chiarezza l’origine, la fondazione e lo sviluppo del paese, conosciuto prima come Casale di Santo Mango e dopo l’Unità d’Italia ribattezzato San Mango d’Aquino. I documenti presenti in Parrocchia consentono, inoltre, di studiare le dinamiche demografiche nei vari secoli, e così possiamo raggruppare i cognomi per ordine di arrivo e collegare le famiglie ai flussi migratori che si sono succeduti nel tempo.
Per il prosieguo del lavoro, fondamentale si rivela un documento antico, dattiloscritto in copia nel 1974 e gentilmente fornito da Matteo Manfredi. Dopo una premessa di poche righe dal titolo Storia di San Mango d’Aquino, il manoscritto è strutturato per capitoli, che sono: Fatti storici che svelano l’origine e la qualità feudale di San Mango; Devoluzione de’ feudi al Fisco; Ostacoli frapposti alla divisione dei demani; Decide; Il Duca De Laurito vende le foreste a De Gattis; Regalo del Duca a De Gattis; Operazione di De Gattis.
Le carte raccolte su quell’evento narrano una vicenda triste, fatta di ingiustizie, sopraffazioni, violenze, usurpazione di beni demaniali, corruzione di amministratori comunali, tradimenti, omertà, uccisioni, arresti, processi farsa e pene carcerarie. Alcune fonti parlano dello scontro fra opposte famiglie – Torquato da una parte e Moraca dall’altra – e ci dicono che il borgo è sottoposto ad occupazione militare. E nei registri parrocchiali il sacerdote Giuseppe Antonio Ferrari annota: oggi 24 novembre 1822 fu il mio arresto. Poi, qualche tempo dopo: nel dì 25 di ottobre 1831 mi sono rimpatriato dopo nove anni di esilio e ripresi oggi la cura spirituale della mia chiesa.
La ricerca è a buon punto, le informazioni e i dati ricavati dallo studio delle fonti sono abbondanti ed è allora che inizia la scrittura del testo.
di Armando Orlando – CONTINUA –