Sull’ultimo numero del magazine “Catanzaro City”, lo studioso Nando Castagna, ha riportato una pagina di storia che ci riguarda da vicino e che intende parlarci non tanto della Storia con la S maiuscola, quella fatta dai cosiddetti “grandi” della Terra, ma di una di quelle piccole storie che fanno da sfondo agli eventi ritenuti importanti e di cui sono protagoniste le persone comuni, che poi sono quelle che la Storia la fanno per davvero, proprio come cantava Francesco De Gregori nella sua celebre “La Storia siamo noi”.
I fatti risalgono alla fase finale della seconda guerra mondiale e fanno riferimento a uno specifico episodio che Castagna ben descrive soprattutto nel suo saggio “I bombardamenti alleati su Catanzaro”, recentemente dato alle stampe per i tipi della Titano Editori, in cui appunto racconta, con chiara vena polemica, palesata fin dal sottotitolo: “Una inutile strage terroristica”, i bombardamenti dell’estate 1943 di cui fu vittima la sua città.
Lo stesso autore ha un ricordo vivido di quegli avvenimenti, per averli vissuti direttamente:
<< Si fuggiva con i pochi mezzi a disposizione e spesso percorrendo a piedi decine di chilometri, portandosi dietro le poche cose che si era riusciti a salvare, le destinazioni erano i tanti paesini della pre Sila catanzarese dove si sperava di trovare un rifugio e qualcosa da mettere sotto i denti, confidando nel cuore generoso dei paesani e nella provvidenza di Dio. Anche la mia famiglia era sfollata; a piedi si era arrivati a Soveria Mannelli, dove, grazie al buon cuore del Capo Stazione della Ferrovia Calabro-Lucana, avevamo trovato rifugio in un vagone abbandonato su una linea morta … per il vitto non mancava mai qualche patata o un po’ di frutta della campagna circostante; in questo bisogna ringraziare i contadini del posto che non rifiutarono mai a nessuno un frutto, un pomodoro, un uovo o un po’ di pane, specie in presenza di bambini. >>
Ma l’autore raccoglie anche le testimonianze di altri “sfollati” che da Catanzaro si rifugiavano nei paesini circostanti. Una in particolare lo colpisce profondamente:
<< Mi trovavo da giovane a Soveria Mannelli, un paese della Sila catanzarese, dove l’Esercito tedesco aveva un Comando Militare, mentre nei pressi di Decollatura, precisò, c’era un deposito di munizioni, carburanti e viveri. >>
Il racconto ha un risvolto tragico, perché “un macellaio, nativo di Pedivigliano” e il suo “giovane figlio poco più che ventenne”, restano vittime anch’essi – un po’ come la Catanzaro bombardata dagli alleati – di un vile atto di inutile violenza, in questo caso perpetrato dalle truppe tedesche in fuga, che per essere più rapide si lasciavano alle spalle i beni in sovrappiù o troppo pesanti per essere trasportati agevolmente.
Si trattava di un paio di stivali, lasciati in bella mostra, pronti per essere presi e indossati, ma che in realtà erano solo una trappola mortale, collegati a un ordigno esplosivo che causò in effetti la morte del figlio e il ferimento del padre.
L’episodio si conclude in modo tragico, ma disegna una caratteristica propria delle nostre zone, quella dell’accoglienza, della disponibilità ad accettare e aiutare chi è in difficoltà. Una prerogativa che ci deve rendere orgogliosi dei nostri antenati, ma ci deve anche far riflettere su come siamo diventati e se siamo ancora capaci di slanci di solidarietà gratuita verso i nostri simili.
di Raffaele Cardamone