Si racconta che il nome Decollatura derivi dalla decapitazione perpetrata in loco dai Mamertini ai danni degli Epiroti nel 275 a.C. Può anche darsi che sia andata così, come può darsi che si tratti di una delle tante leggende di cui la storia italica è costellata. «Decollatura ha un fascino noir» sentenzia Antonello Caporale che gli dedica un intero capitolo del suo libro Acqua da tutte le parti (Salani Editore, Milano 2016), intitolato per l’appunto “Il libro mastro di Decollatura”; e aggiunge che è un paese «Perdutamente e forse definitivamente decollato, e qui s’intenda decapitato, senza speranza».
Per poi passare a descrivere la trasformazione da paese agricolo in uno post-industriale, senza il passaggio intermedio di un’industrializzazione che qui non s’è mai vista. Prima le rimesse degli emigrati al Nord, in Europa e nelle Americhe, e poi i “posti pubblici” hanno creato una ricchezza effimera, che non ha superato la soglia del nuovo millennio e non è riuscita a porre un argine a quello spopolamento, condiviso con tutte le aree interne, che col progressivo diminuire della popolazione residente ne ha segnato l’inevitabile declino.
Antonello Caporale, grande raccontatore di storie, ha saputo scovarne qui una bellissima e in poche righe ha condensato sessant’anni di storia attraverso il “libro mastro” di un commerciante che è passato dalla vendita di poveri strumenti contadini a quella di laterizi, per alimentare l’insaziabile fame del boom edilizio che ha divorato boschi e sparso cemento a profusione, segnando un destino di paese ibrido che ha rinunciato alla sua storia e non è riuscito a traghettarsi completamente nel futuro.
Un destino però non ineluttabile, se sapremo ancora distinguere tra paese e borgo e scegliere, senza essere colti da dubbi propagandistici, la prima definizione, in netta contrapposizione con la “retorica dei borghi”, dichiarata, quasi gridata, tra gli altri, dall’antropologo Vito Teti nel suo breve saggio “Il mio paese non è un borgo”, presente nel volume collettaneo Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, curato da Filippo Barbera, Domenico Cersosimo e Antonio De Rossi (Donzelli editore, Roma 2022).
Certo, le case ritratte nella fotografia, tirate su pietra su pietra, con una tecnica costruttiva tipica di questi luoghi, di questi paesi, sono evidentemente disabitate e delimitano una strada deserta, forse un tempo attraversata dai carretti dei contadini, ma segnano anche il confine fra tradizione e modernità che non necessariamente devono confliggere. Più in là ci sarà un palazzotto in cemento armato, magari costruito con i sacchetti venduti proprio dal nostro intraprendente commerciante, ma queste altre case ancora resistono e con la loro presenza ci dicono che i paesi come Decollatura possono avere ancora una speranza, possono evitare di finire decapitati, di perdere la testa, inebriati dalla vana attesa di un turismo di massa che non arriverà mai.
Raffaele Cardamone