Lo Sciabaca Festival Rubbettino di quest’anno è prodigo di piacevoli sorprese, come l’originalissima presentazione del libro “Tredici gol dalla bandierina” di Ettore Castagna, un’opera piena di verve, come il suo autore che è un personaggio davvero poliedrico e abituato a fare spettacolo, fin da quando, sul finire degli anni ’70, era il front-man dei Re Niliu, una band che – tra le prime – cominciò a rivalutare la musica etnica calabrese riportandola a nuova vita.
Così, Ettore Castagna, spalleggiato dall’ottimo Enzo Colacino, attore e cabarettista, ha realizzato un vero e proprio show, un reading e un concerto insieme, presentandosi all’inizio con una paletta da’ mundizza e riuscendo a suonarla – sorprendendo tutti – come fosse un flauto traverso, un po’ come facevano gli Area, nel periodo raccontano dal libro, che introducevano nella loro musica suoni ottenuti roteando dei tubi flessibili.
Colacino ha esordito leggendo un’ode a Massimo Palanca, già presente in prima fila e accolto da un applauso interminabile del pubblico, come se fosse un poema epico-cavalleresco, e finalmente Castagna ha presentato – celiando – l’ospite d’onore come “l’autore ombra di questo romanzo”.
Poi è stato tutto un alternarsi di letture e musica, con divertentissimi e piacevoli siparietti tra i due show-man, sui brani da leggere di volta in volta che erano stati scelti di intepretare, e sulle attinenze con i testi delle canzoni che avrebbero accompagnato gli interventi.
Bellissime le letture da parte di Colacino, ma sarebbe più corretto definirle interpretazioni, di brani estratti dal libro, che ne hanno fatto già percepire lo spessore e l’importanza nel recuperare una memoria storica troppo vicina per essere realmente in pericolo d’oblio, ma nello stesso tempo troppo distante per essere ben focalizzata nel ricordo collettivo.
Castagna, dal canto suo, ha tirato fuori svariati strumenti musicali, come la chitarra battente, lo “strumento di famiglia” ereditato metaforicamente dal nonno che lo utilizzava per le serenate alla sua bella, la lira calabrese, fino al marranzanu o scacciapensieri, per cantare le sue reinterpretazioni in dialetto catanzarese di alcune delle più belle canzoni dei cantautori di quell’epoca: da De Gregori a De Andrè, da Battiato a Claudio Lolli, da Guccini fino a Bob Dylan.
A metà serata è arrivato il momento di Massimo Palanca, che è sembrato perfino intimidito da tante attenzioni.
“Quando mi è stato spedito il libro di Castagna, l’ho letto e mi è piaciuto. Poi ho pensato: chistu è nu pacciu… Non credevo che battere un calcio d’angolo potesse provocare tutto questo. Per me era solo un calcio d’angolo” – ha detto modestamente Palanca.
“No, per noi era rigore!” gli ha invece ribattuto Colacino, evidentemente suo tifoso storico.
“Il calcio è dare emozioni – ha proseguito Palanca – se ci sono queste emozioni vuol dire che si è raggiunto lo scopo”. E ancora Colaciano: “ma di Palanca a Catanzaro non è stato apprezzato solo ciò che ha fatto da calciatore, ma anche l’uomo”.
“Io spero che sia così, quando ho sbagliato il rigore contro la Triestina ho avuto una crisi, ma ho visto subito che i tifosi erano dalla mia parte e, in quel momento, ho capito quanto la gente mi volesse bene” ha chiosato semplicemente un Palanca visibilmente commosso, con gli occhi luccicanti che tradivano la sua genuina emozione.
Tutto questo, dunque, per presentare il libro, edito da Rubbettino, “Tredici gol dalla bandierina”, ispirato a Palanca, ma non su Palanca né tantomeno sul calcio.
È un libro che ha una struttura narrativa originalissima. È costruito attorno ai monologhi del giovane protagonista Vito Librandi, frutto di pensieri più o meno profondi che prendono a prestito le traiettorie impossibili dei tiri con cui Massimo Palanca ha segnato i suoi “Tredici gol dalla bandierina” e si mischiano in modo mirabile con episodi di vita vissuta – chissà quanto autobiografici – tutti appartenenti a quegli anni ’70 in cui il romanzo è ambientato.
Anni mitici, per chi li ha vissuti, un po’ come tutti i momenti storici, ma con una marcia in più, che non può essere quella del Morini 50 nel cui sellino, in una provocazione estrema, un amico del protagonista confessa ai carabinieri di aver nascosto Aldo Moro, rapito in quel periodo dalle BR.
Un’epopea distante anni luce da un ragazzo di oggi, ma che questo libro, con un salto temporale non da poco, può far rivivere a chi è già avanti con l’età, e immaginare a quei giovani di buona volontà che volessero rivalutarla, perché allora si volevano fare le rivoluzioni, da quella politica a quella sessuale, e il Catanzaro di Palanca poteva giocarsela con gli squadroni del nord.
di Raffaele Cardamone