Nel 1976 Luigi M. Lombardi Satriani – nella seconda edizione del volume “Folklore e Profitto. Tecniche di distruzione di una cultura” – introduce alla lettura avvertendo: «Il folklore è uscito dal ghetto; ma è un processo ambiguo, che dobbiamo ancora comprendere, perché è anche possibile che questa “riscoperta” del mondo popolare sia una nuova maniera per mantenere tale mondo nella sua subalternità e per negarne, in forme diverse, la cultura».
Satriani (“protagonista tra i più significativi dell’antropologia culturale italiana del Ventesimo secolo” scrive la Treccani) sul «senso del rivolgersi dei giovani al folklore» osserva che alcuni, «tesi in un’operazione di promozione sociale, tendono a rifiutare la loro cultura, il folklore appunto, che viene soggettivamente vissuta quale simbolo di inferiorità sociale».
Entrando nel vivo della questione egli non esita ad affermare: «La cultura folklorica si trova, oggi, aggredita dalla cultura di massa, dall’industria, dalla subcultura giovanile politicizzata, e così via; il risultato tendenziale di tale scontro è la progressiva diminuzione del folklore tradizionale o la sua distorsione profonda». Ed è nella seconda parte del suo volume che «vengono esemplificate alcune tecniche attraverso le quali la cultura folklorica viene “usata”, in realtà distrutta dalla cultura del profitto».
1976. In quel tempo, nel comune di San Mango d’Aquino sono ancora vivi usi, costumi, tradizioni, simboli, valori; con qualche eccezione, ovviamente. Ma già cominciano ad apparire i segni di una “modernità” che alla fine rischia di portare alla strumentalizzazione a fini commerciali delle tradizioni popolari, assecondando così il processo di mercificazione del patrimonio culturale locale.
Significativi sono in San Mango il cambio di denominazione (la “Festa di Maria SS. delle Grazie” diventa “Luglio Sammanghese”) che avverrà qualche anno dopo, e lo spostamento di date o di luoghi (il calendario dilatato per il canto della “Strina” e il ballo del “Ciucciu e ‘ra Signorina”). Ma su questa tematica torneremo tra poco.
Il libro su San Mango d’Aquino del 1977 – di cui abbiamo parlato nella prima parte di questo contributo – fotografa la situazione del Folklore e delle Tradizioni in uso in quel periodo. Ed è un bene che quei dati siano stati messi per iscritto, e quindi non solo conservati, ma anche consegnati alle generazioni che si sono succedute e agli studiosi che hanno analizzato e ripreso alcuni argomenti ad un livello ancora più alto.
Come – per esempio – le informazioni e le notizie sulla chiesa Madre e sulla chiesa filiale della Congrega di San Giuseppe, sulle feste natalizie, sui riti della Settimana Santa, sul culto di san Francesco di Paola e della Madonna delle Grazie e della Buda. Informazioni inserite nell’opera “La Pietà popolare in Italia”, a cura di Giuseppe Maria Viscardi e Paule Lerou, tomo I, Calabria, pubblicata a Parigi e a Roma in francese e in italiano, edita all’interno di una collana internazionale diretta da studiosi del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica di Parigi, con prefazione di Gabriele De Rosa.
Il quadro completo del Folklore e delle Tradizioni locali che venivano praticate negli anni Settanta del Novecento – così ricostruito – ci consente oggi di verificare – a distanza di circa mezzo secolo – come i cittadini di San Mango hanno “usato” il patrimonio folklorico conservato e tramandato dagli avi. È un tasto scomodo, questo. Ma abbiamo il dovere di andare avanti, di sottolineare i cambiamenti e di spendere qualche parola anche sull’eventuale “abuso” che può aver interessato – e forse interessa ancora – non solo cittadini e comitati di questo paese, ma anche settori di classe dirigente.
Il “Ciucciu e ‘ra Signorina” è un evento tra i più antichi del folklore locale e della cultura popolare. Inserito, verso la fine del Novecento, in un contesto di sagra a base di vino e penne all’arrabbiata (distribuite gratuitamente a centinaia di persone provenienti da paesi vicini e dalle località balneari), l’evento è sottoposto ad una alterazione profonda fino a far perdere i suoi caratteri originari. Col passare degli anni l’aspetto «consumistico» del ballo (vino e penne gratis per tutti) prende il sopravvento e oscura l’aspetto demo-antropologico (riducendo la rappresentazione al rango di «prodotto» folklorico). Da allora è diventato sempre più difficile trovare tracce dei caratteri originari, e col trascorrere del tempo la stessa memoria rischia di andare perduta. Una “memoria” – comunque – che può essere ancora salvata e addirittura valorizzata.
Il “momento” folclorico è già oggi inserito all’interno di una serata più ampia; una serata animata da una sagra enogastronomica che permette un alto grado di fruizione dell’evento. Allora facciamo un passo avanti. Cerchiamo, cioè, modi e mezzi per mettere in evidenza il significato del ballo, esaltando quei caratteri originari che sono stati messi a dura prova negli ultimi decenni.
È possibile rimanere “fedeli” alla tradizione. È già accaduto con il “canto della Mietitura”. Un canto che era andato perduto, ridotto a fare da accompagnamento ad una sceneggiata teatrale. Volutamente abbiamo scritto “era andato”. Perché nell’anno 2023 questa particolare tradizione del folklore sammanghese è stata riscoperta, “salvata” e riportata al suo significato originario.
Grazie alla registrazione su nastro del 1977 le parole e la melodia sono state studiate, interpretate, commentate, pubblicate e diffuse attraverso libri di storia locale e pubblicazioni scientifiche (come la collana “geologie umane” della Ferrari Editore). Fino ad arrivare al 2023. Quarantasei anni. È questo il tempo in cui è durato quel sogno racchiuso all’interno di una “cassetta” conservata gelosamente a partire dalla sera del 30 aprile 1977.
Nell’ambito del Progetto «Musica che sfida il tempo. Suoni e parole» – Regione Calabria “Attività Culturali” – presentato e realizzato dall’Associazione “Valle del Savuto” – la sera del 14 luglio 2023 le voci di Alessio Bressi, Christian Ferlaino, Giuseppe Gallo e Giuseppe Muraca diffondono nell’aria “suoni e parole”. È il canto della “Mietitura”. Quello antico. Quello che i contadini intonavano nelle assolate giornate di lavoro, mentre con la falce mietevano il grano sotto gli occhi attenti del “padrone”. La domenica successiva “pezzi” del canto eseguito in anteprima a San Mango vanno in onda in diretta da Conflenti su RAIUNO nella trasmissione televisiva Linea Verde. Ed anche quest’evento è riscoperto, valorizzato e consegnato alle generazioni future nel suo significato originario.
È questo il modo di lavorare delle associazioni “Valle del Savuto” e “Felici & Conflenti”. Non “uno dei modi” di lavorare, ma “il modo”. Rispettare i costumi, scoprire e tramandare la musica e la cultura popolare. Difendere il Folklore dalla distorsione e dallo sfruttamento. Mantenere e rispettare la Tradizione per come l’hanno vissuta – nel passato – i protagonisti storici di essa. Volete conoscere il segreto di tutto questo? Partecipare… non assistere, essere protagonisti… e non spettatori; e questo vale sia per chi “produce” e realizza le iniziative, sia per chi le vive.
Dando così piena attuazione alle raccomandazioni di Vincenzo La Vena, etnologo musicale, il quale manifesta – fra l’altro – “apprensione per l’assenza di una seria politica di tutela e di valorizzazione del patrimonio folklorico in un momento di cambiamenti tanto radicali da mettere a dura prova le sue naturali capacità di adattamento e rinnovamento”.
Ecco. La Vena parla di «cambiamenti tanto radicali» da mettere a dura prova «le naturali capacità di adattamento e rinnovamento» del patrimonio folklorico. Anni prima Lombardi Satriani parlava di «turisticizzazione del dato folklorico» precisando: «Molti elementi della cultura popolare vengono assunti dalla cultura del profitto e distorti secondo i fini di questa. Ma, ad un livello più generale, la stessa cultura popolare viene sottoposta globalmente ad una operazione di consumo».
Oggi le feste popolari sono coinvolte in pieno in questo processo. Tali feste consentono un ampliamento dell’ambito di fruizione del folklore, e nel contempo il folklore stesso esce dall’isolamento e si incontra con altre esperienze culturali. Ma il rischio è alto. «Per parlare di positività» specifica Satriani «occorrerebbe accertare se la nuova esperienza culturale con cui si entra in rapporto sia “positiva” o meno, altrimenti si rischia di privilegiare il nuovo soltanto perché nuovo rispetto ad un antico, ritenuto negativo solo perché antico».
È il caso del “Ciucciu e ‘ra Signorina”, un ballo che viene eseguito ogni anno e dove le persone assistono alla manifestazione, ma non partecipano come nel passato. Assistono centinaia e centinaia di persone che si accalcano – prima del ballo – e si mettono in fila per un piatto di penne e un bicchiere di vino.
E prendiamo ad esempio anche i numerosi concerti di musica popolare che si tengono in ogni parte della Calabria e che ormai hanno sostituito i concerti bandistici. «Non a caso, nelle regioni italiane dove più intenso è stato lo sfruttamento delle musiche tradizionali si è già constatata un’accentuata tendenza alla perdita dei significati originari, dovuta a un’eccessiva dipendenza dai microfoni e dai palcoscenici e al completo oscuramento delle funzioni e delle occasioni cui la musica era legata» (Vincenzo La Vena 2009).
Scrive Satriani: «Si tratta di una cultura, quella calabrese, che tende a negarsi, a fuggire da se stessa, a rifiutare la propria identità, che per attirare l’interesse degli estranei ad essa, assume punti di riferimento di altre realtà».
Armando Orlando