Il Battista, a vederlo, sembrava proprio un duro. Vestiva con pelli di animali, mangiava cose improponibili ma, soprattutto, non era un tipo che la mandava a dire; tutt’altro! Denunciava ad alta voce l’ingiustizia e invitava con coraggio le persone a darsi da fare per rendere il mondo un posto migliore. Non chiedeva però alla gente di fare grandi cose superiori alle loro forze.
Un giorno alcuni militari gli chiesero cosa dovessero fare per vivere da convertiti, e lui rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe» e, a dei pubblicani (esattori delle tasse): «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Giovanni non pensava di essere un eroe o un Dio, tutt’altro. Quando qualcuno gli chiese se fosse o meno il Messia si schermì dicendo che dopo di lui sarebbe arrivato uno al quale egli non sarebbe stato degno nemmeno di sciogliere i legacci dei sandali.
Anche Gaetano Saffioti, a vederlo sembra un duro. È un omone alto, barba lunga e sigaro. È uno che ha deciso di sfidare a muso duro la ’ndrangheta. E quando questa ha cominciato a taglieggiarlo, ha denunciato all’autorità giudiziaria i suoi aguzzini facendoli rinchiudere in carcere. Ha sfidato il perbenismo e ha accettato di vivere anche l’isolamento sociale che questa sua scelta aveva comportato. Ma è rimasto in Calabria, facendo il suo dovere e continuando a fare l’imprenditore. Anzi lo ha fatto pure meglio di prima, in barba alle banche che avevano cominciato a rendere difficoltoso a lui (la vittima) il credito che gli avevano fino ad allora fornito e garantendolo invece ai suoi carnefici.
Anche Gaetano Saffioti non ama sentirsi chiamare eroe. Anzi si incavola pure se qualcuno lo definisce tale. “Io – dice spesso – non ho fatto nulla di straordinario. Ho fatto solo il mio dovere”.
La sua però non è finta modestia. Saffioti, conoscendo bene questa terra, sa che gli eroi finiscono per essere ammirati ma non imitati perché se la loro condotta è eroica allora vuol dire che non è alla portata di tutti. Invece la rivolta contro il giogo della criminalità, per Saffioti, è una condotta che ognuno di noi può portare avanti, nella sua quotidianità.
Saffioti non ha mai smesso di gridarlo forte lungo le strade della Calabria. La sua però non è rimasta una “vox clamantis in deserto”. La sua storia ha attirato l’attenzione di molti media italiani e non solo. Di lui si sono occupati Fabio Fazio con “Che tempo che fa”, Filippo Iacona con “Presa Diretta”, Attilio Bolzoni su «Repubblica» e tanti, tanti altri.
Di recente la casa editrice Rubbettino ha pubblicato un bel libro scritto su di lui dal giornalista di «Repubblica» Giuseppe Baldessarro che si intitola “Questione di rispetto”.
A creare un legame ancora più forte tra Gaetano Saffioti e San Giovanni Battista ci ha pensato però la Parrocchia di Soveria Mannelli, nella persona del suo giovane e dinamico parroco Don Roberto Tomaino che ha deciso di istituire, in occasione della Solennità di San Giovanni Battista, santo patrono della città, il premio “San Giovannino”, un riconoscimento dato a “Testimoni della giustizia e della verità” che viene assegnato per la prima volta quest’anno proprio a Saffioti.
La cerimonia di premiazione si terrà il prossimo 23 giugno alle ore 18:00, vigilia della festa, nella Chiesa di San Giovanni Battista. Un modo nuovo e sicuramente fruttuoso di intendere la devozione a un Santo che per amore della giustizia ha offerto tutto, finanche la vita.
di Antonio Cavallaro