Nell’epoca della tecnologia e del progresso, è senso comune ritenere il mondo delle tradizioni popolari desueto e di scarso interesse. La percezione della tradizione contadina, nelle nuove generazioni, appare argomento ostico e inconsueto. Ci si proietta verso il futuro con la convinzione di non avere un passato; eppure il fenomeno folkloristico attraversa ogni aspetto della nostra vita. Basti pensare al fenomeno religioso delle processioni, alle feste di paese, all’aspetto culinario e a tutti quei comportamenti tipici della nostra tradizione e delle nostre comunità.
La stessa presenza dei nonni e di un vasto numero di ultracentenari nelle nostre piccole realtà, ci riporta al passato; i loro racconti di tempi antichi, legati al mondo contadino, dovrebbero far riflette sui meccanismi e i retaggi di un gruppo omogeneo e indifferenziato. L’aspetto economico, ormai distaccato dall’economia urbana, ci riporta ad un’economia rurale. Si riscoprono vecchi mestieri e si ritorna al passato riproponendo antichi sapori, prodotti tipici e lavorazioni peculiari del territorio. La “nuova” economia del paese, che punta alla riscoperta delle risorse agricole, sta portando inesorabilmente alla riscoperta del passato, da condividere ritualmente con la famiglia e la piccola comunità.
In questo meccanismo di recupero del “vecchio”, si riconquistano anche le connotazioni etniche e si prospetta un approccio attento che supera i luoghi comuni.
In questo quadro trovano impulso gruppi giovanili che fioriscono sul territorio, cercando di ridare ossigeno all’economia. Associazioni che tentano, attraverso una fitta rete di scambi, di ristabilire le sorti di un territorio tanto ricco di risorse, ma povero di slancio.
Si riapre un progetto antico e mai superato delle coltivazioni biologiche, dei sapori antichi, della riconquista del sapere tradizionale. I nonni ricompaiono sulla scena come detentori di un sapere antico e mai perduto. Le famiglie sostengono gli sforzi dei figli che tentano, e spesso con successo, di riappropriarsi del passato e dei segreti del “mondo antico”.
La tradizione della “soppressata” riconquista dignità culturale e non solo culinaria, così come la lavorazione del maiale, la produzione del sapone della nonna, la realizzazione della salsa. Elementi che potrebbero offrire ossigeno al territorio.
Si ripercorrono antichi sentieri, si visitano luoghi antichi, vecchi mulini, percorsi che richiamano ad antiche leggende di fate, briganti e personaggi dimenticati. Si ricordano le fiabe che i nostri nonni raccontavano davanti al fuoco del camino. Fiabe e leggende che nascono da posti lontani, ma poi affidate ai luoghi e alle necessità del territorio. Così, le fiabe di “Mille e una notte” si adeguano alle montagne del Reventino. Alì Babà diviene un giovane del posto, preoccupato di sfamare la sua famiglia e che, pascolando le pecore, si accorge della presenza di alcuni briganti impegnati nel nascondere il bottino.
Le vicende si susseguono, i personaggi si confondono con i contadini del tempo magico e indefinito, ma i luoghi restano i nostri. Un Monte che governa sulla nostra vita da sempre. Il Reventino che impera sui paesi che sorgono alle sue pendici. Il Reventino che regala identità al territorio, che offre un immaginario palcoscenico ai personaggi che si muovono fra tradizione, storia e leggenda.
Il vento che soffia alle sue pendici, regala ricordi lontani, governa l’economia, fa idealmente interagire le genti.