di Alessandro Mantuano –
C’eravamo già andati il pomeriggio di un sabato di febbraio verso l’ora del tramonto al Piano dello Scifo o Pietra di Scifo il cui il toponimo ha origine dalla presenza in loco di un grande scifu e cioè una sorta di contenitore in pietra dalla forma oblunga utilizzato come mangiatoia per gli animali domestici. Eravamo andati per vedere il sole scomparire oltre la linea d’orizzonte che delimita l’ovale del golfo di Sant’Eufemia, tra le sagome scure delle isole Eolie.
Qualche settimana dopo abbiamo deciso di tornarci, ma di mattina, in un giorno qualsiasi della settimana. Siamo partiti da La Montagnola, sull’appendice meridionale del crinale che si snoda tra monte Castelluzzo e monte Condrò, sul versante orientale del Reventino, dopo aver attraversato in auto Foresta e Fossa don Paolo, frazioni del comune montano di Platania. Ieri, per noi, la cosa più importante era solo il fatto di essere lì; per vedere, per ascoltare, per annusare, per toccare tutto ciò che incontravamo: la terra, i muschi, le pietre, le rupi, l’acqua, i grandi alberi di cerro e di castagno, gli uccelli nel bosco, le nuvole, la nebbia. Avanzando sotto un cielo lattiginoso che non permette ai raggi del Sole di arrossare i rilievi dei nostri visi.
Siamo tornati al Piano dello Scifo per riscoprirlo ancora una volta, per vederlo vivere e per sentire noi più vivi. Il vento di scirocco che rende l’aria più tiepida, quasi come se fossimo in primavera, sembra giustificare il comportamento delle rane o dei rospi che hanno deposto lungo il sentiero le loro uova, racchiuse in un sacchetto gelatinoso. Sembrano tanti piccoli occhi che ci guardano. Pensiamo allora che la natura voglia riprendere il suo corso, sebbene siamo ancora nel pieno dell’inverno e ogni creatura sembra in uno stato di morte apparente. Come accade agli alberi e alle altre piante. Osserviamo i grandi cerri privi di ogni foglia, con i loro rami protesi verso il cielo. Ci lasciamo suggestionare: a qualcuno sembrano delle gigantesche mani umane. Tra qualche settimana rifioriranno per esprimere la nuova manifestazione del cosmo: per la nostra cultura era proprio la quercia l’albero cosmico che con la sua funzione assiale era strumento di comunicazione tra cielo e terra, quindi Asse del mondo che nutriva il cosmo, in altre culture rappresentato dall’ombelico del mondo o dal mandala.
Mentre C.G. Jung ha definito il senso dell’albero <<vita che scorre tra la terra e il cielo, come la nostra>> o come quella del custode di questi luoghi: Antonio Bagnato che incontriamo con il suo gregge di capre e pecore. Gli chiedo se ha mai visto il lupo, risponde di no, ma nel corso degli anni ha visto il capriolo, la volpe, l’istrice, la lepre, il cinghiale. Antonio ha lasciato definitivamente la vita urbana del nord Italia ventitré anni fa per tornare a vivere e lavorare qui con la sua famiglia realizzando il suo sogno o semplicemente per realizzare se stesso. Prima di salutarlo ci invita ad andare a trovarlo, per mostrarci la sua azienda dove produce latte, formaggi, ricotte. Accettiamo l’invito e siamo da lui un’ora più tardi, in una contrada di Serrastretta. Ci presentiamo alla moglie come tre pellegrini dell’anno mille, alla ricerca di un po’ di calore domestico. Incontriamo altre persone, dei parenti venuti dal nord ma originari di questi luoghi e che il mattino dopo sarebbero partiti. Chiacchieriamo davanti un caffè fumante con un po’ di latte. Vicino al caminetto acceso è seduta la madre di Antonio, ci osserva, è serena, gli occhi le brillano. Sembra la protettrice del focolare domestico, della famiglia. Ci dice che un tempo andava al piano di Scifo per raccogliere la legna. E’ il ricordo di chi ha frequentato quei luoghi, quando erano in tanti ad andarci per lavorare, per coltivare la terra. Intanto Antonio parla molto, quando era a Milano ha fatto le lotte per difendere i diritti di chi come lui lavorava in fabbrica. Si lamenta delle difficoltà di oggi, del non riuscire a vendere a prezzi concorrenziali da quando è entrata in circolazione la valuta unica europea.
Ci accompagna a visitare il laboratorio dove nascono i suoi formaggi, i ricoveri degli animali con gli agnellini e le caprette. Acquistiamo dei formaggi pecorino. Ci congediamo e ci invitano a tornare quando vogliamo. E’ buio, torniamo alle nostre case sapendo che quello che abbiamo veduto e fatto oggi appartiene alla sfera di quella vita autentica che tanto ci piace.