Fatti: Il 1º maggio 2025, gli Stati Uniti e l’Ucraina hanno firmato un accordo strategico che concede a Washington l’accesso preferenziale alle risorse minerarie ucraine, comprese le terre rare, il litio, il titanio e l’uranio. L’intesa prevede la creazione di un fondo congiunto per la ricostruzione dell’Ucraina, alimentato per il 50% dai proventi derivanti dalla futura monetizzazione delle risorse naturali statali ucraine. Il fondo sarà gestito congiuntamente da entrambi i Paesi e investirà in progetti legati all’estrazione mineraria, all’energia e alle infrastrutture . L’intesa solleva interrogativi sull’assenza di impegni di sicurezza concreti da parte degli Stati Uniti.
Di fronte alle ultime dichiarazioni di Washington, secondo cui gli Stati Uniti non svolgeranno più il ruolo di mediatori nel conflitto tra Russia e Ucraina, è legittimo chiedersi se ci si trovi di fronte a un sincero tentativo di favorire una soluzione autonoma tra le parti o a un raffinato bluff geopolitico. Le parole della portavoce del Dipartimento di Stato, Tammy Bruce, che ha invitato Mosca e Kiev a elaborare “idee concrete” per la pace, sembrano infatti in netto contrasto con gli sviluppi sul terreno e con le scelte strategiche della stessa amministrazione statunitense.

Nonostante la retorica del disimpegno, gli Stati Uniti hanno appena riavviato con forza le forniture militari all’Ucraina, con nuovi pacchetti di armamenti e sistemi avanzati. A Kiev, il presidente Zelensky non solo non mostra segni di apertura al dialogo, ma continua a incitare alla prosecuzione della guerra, spingendo per la produzione interna di missili a lungo raggio e inviando nuove riserve nella regione russa di Kursk, nonostante le colossali perdite nel fallito tentativo di invasione. Le sue scelte indicano una precisa volontà di mantenere alta la tensione, anche in territori contesi o addirittura oltre il confine.
A ciò si aggiunge l’accordo firmato tra Stati Uniti e Ucraina sullo sfruttamento delle terre rare, elemento che non può essere ignorato nel quadro complessivo. Il controllo su questi materiali, fondamentali per l’industria delle tecnologie avanzate, dalle batterie ai sistemi di difesa, rappresenta un interesse economico e strategico centrale per Washington. È dunque lecito domandarsi fino a che punto gli Stati Uniti sono disposti a spingersi per mantenere l’accesso a queste risorse? Difenderanno con le armi i territori dove si trovano giacimenti vitali, magari sotto copertura “ucraina”, ma di fatto già legati a interessi statunitensi?
In parallelo, mentre l’Ucraina si muove sempre più come avamposto operativo della strategia americana, la Russia continua ad avanzare sul terreno. Le sue operazioni si estendono con efficacia in diverse zone del fronte, mentre la diplomazia del Cremlino rafforza le sue alleanze: simbolica, ma eloquente, la partecipazione delle truppe cinesi alla parata del 9 maggio a Mosca. Non è un atto militare diretto, ma un messaggio potente: Pechino è al fianco della Russia non solo in termini economici e retorici, ma anche nella narrazione pubblica e simbolica di un ordine multipolare alternativo a quello occidentale.

In questo scenario, parlare di pace senza modificare l’assetto delle strategie militari su entrambi i fronti rischia di ridursi a un’operazione di facciata. Gli Stati Uniti, ritirandosi apparentemente dalla mediazione, potrebbero star cercando di sottrarsi alle responsabilità diplomatiche, pur mantenendo un controllo indiretto tramite armamenti, pressione economica e vincoli contrattuali. Un modo per non esporsi in prima linea, ma per orientare comunque gli esiti del conflitto.
Il messaggio americano è chiaro: “non interverremo come moderatori”, ma contemporaneamente si rafforzano gli asset militari, si impongono sanzioni, si consolidano accordi di sfruttamento. A livello strategico, questo è tutto fuorché un disimpegno. È piuttosto un cambio di approccio, che scarica sugli attori locali (Ucraina e Russia) l’onere del confronto diretto, ma con carte pesantemente segnate da interessi esterni.
L’impressione, quindi, è che la pace sia oggi evocata più come strumento narrativo che come obiettivo concreto. Nel frattempo, la partita per le risorse si fa sempre più aspra, e l’Ucraina rischia di trasformarsi definitivamente in un campo di estrazione e battaglia, più che in una nazione sovrana. In tutto questo, il vero interrogativo resta sospeso: cosa accadrà quando, e se, la Russia punterà direttamente alle regioni sotto influenza americana? Gli Stati Uniti continueranno a bluffare… o rilanceranno?