di Alberto Capria –
La pandemia sta mettendo a dura prova anche il mondo della scuola; ma in questo mare aperto che ci è dato solcare, fra roboanti annunci e anacronistiche contrapposizioni, ci sono appuntamenti che sollecitano riflessioni che dovrebbero essere costanti. La Giornata della Memoria è certamente uno di questi.
Il 27 gennaio 1945 si spalancarono i cancelli di Auschwitz-Birkenau, svelando al mondo le atrocità perpetrate da uomini nei confronti di altri uomini.
Gli anni a seguire, hanno palesemente dimostrato che la tragedia della Shoah ha insegnato poco; “ancora tuona il cannone, ancora non è contento di sangue la belva umana”, scrive Guccini nella Canzone del bimbo nel vento.
Discriminazioni razziali, sessuali, religiose, “cromatiche” (dovute cioè al colore della pelle), appartengono ancora, inspiegabilmente, stupidamente ad un presente che ci circonda.
I “campi di annientamento”, come li definiva Primo Levi, non sono sorti per caso, né tantomeno senza che nessuno sapesse; ed è su questo assunto che bisognerebbe avviare una riflessione sull’attualità e dell’insegnamento della Shoah.
Tutto quello che è accaduto è stato possibile perché molti, tanti, troppi hanno osservato senza vedere, hanno udito senza ascoltare, hanno vissuto senza… vivere.
E’ quello che Liliana Segre definisce con una sola parola: indifferenza; termine che è scolpito a caratteri cubitali sul muro all’ingresso del Memoriale della Shoah, al Binario 21 della stazione centrale di Milano.
Ed ecco che, se per i sopravvissuti ai campi di annientamento raccontare è stata un’esigenza e per noi lo è il ricordare sempre e per sempre – la memoria che genera futuro – purtuttavia tutto ciò non può bastare. Non può e non deve bastare il pur doveroso e allo stesso necessario ricordo delle vittime della Shoah: è importante riflettere sulla attualità delle precondizioni alla sua genesi.
Dovunque vengano negate le libertà fondamentali dell’uomo, dovunque non ci si occupa e preoccupa dell’altro – scrive Primo Levi – ci si avvia verso un percorso negazionista e fascista dal quale, una volta intrapreso, è molto difficile tornare indietro.
Tutte le volte che si fa finta di non vedere o ci si fa fatti propri, ogni volta che ci comportiamo da “abitanti” e non da “cittadini”, ci si avvia all’inesorabile lutto delle menti, alla distruzione del tessuto sociale che è l’humus della convivenza civile e democratica. In questo sta il dirompente ed attuale messaggio che ci consegna la tragedia della metà del secolo scorso.
“Prima vennero per i comunisti, ed io non alzai la voce perché… non ero comunista; (…) poi vennero per gli Ebrei ed io non dissi nulla perché non ero Ebreo. Alla fine vennero a prendere me e non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.
Si parli, si ascolti, ci si indigni, si alzi la voce, si partecipi attivamente: questo è il senso di una vita vissuta; questo è il valore ed il senso di una giornata della memoria che vada oltre il singolo giorno, che non si trasformi in un compleanno, che oltrepassi mostre e convegni, che duri un anno intero, anzi una vita intera.
Lo dobbiamo ai milioni di morti del “processo di arianizzazione” partorito dalle folli menti naziste, con la condivisione del governo fascista: quello delle leggi razziali del 1938!
Dobbiamo, parafrasando ancora Levi, ricordare e meditare che questo è stato: o… ci si sfaccia la casa, la malattia ci impedisca, i nostri nati torcano il naso da noi!
Alberto Capria
Dirigente Scolastico – Vibo Valentia