Con riproposizione del documentario dedicato alla Calabria bizantina, prodotto dalla RAI per la serie “Italia, viaggio nella bellezza”, di Alessandra Conforti e Stefano Di Gioacchino, con la regia di Matteo Bardelli e la consulenza scientifica di Francesco A. Cuteri, si vuole suscitare l’interesse ed il piacere della conoscenza dello straordinario periodo bizantino in Calabria. Un periodo che si snoda lungo cinque secoli, dalla seconda metà del VI secolo all’occupazione normanna, cioè alla seconda metà dell’XI secolo. Il documentario vuole essere pure l’occasione per ricoprire la bellezza ambientale ed artistica della Calabria.
Durante le riprese, il documentario richiama, con l’intervista all’archeologo Roberto Spadea, i Taccuini del 1921 di Paolo Orsi, archeologo di Rovereto che arriva in Calabria per la prima volta nel 1890 per scrivere la storia dell’archeologia calabrese. L’archeologo Francesco Cuteri evidenzia come Orsi si renda conto che in Calabria c’è un territorio che respira alla maniera bizantina, quindi si dedica in maniera critica ed attenta, rileggendo le fonti e facendo “parlare” le pietre, studiando gli edifici in maniera molto analitica negli ambienti in cui sono nati. Insomma, grazie ad Orsi si inizia a prendere consapevolezza che c’è una parte della penisola italiana che guarda ad Oriente. Secondo Francesco Cuteri: “il modello applicato in un qualsiasi territorio della Grecia o in qualsiasi altro territorio dell’impero doveva necessariamente valere per la Calabria, ecco perché la Calabria ha avuto in questi secoli la possibilità di impregnarsi di bizantinismo. La Calabria deve essere considerata una terra d’oriente, il rapporto con Bisanzio e con l’antica Costantinopoli è un rapporto molto forte. La Calabria ha risposto in maniera sentimentale alla presenza di Bisanzio, ha saputo integrarsi con questo nuovo mondo, soprattutto per quanto riguarda il campo della religiosità. Gli affreschi nelle chiese bizantine avevano proprio la necessità di fare da catechesi, trasferire, anche al semplice contadino quelle che erano le regole e le caratteristiche del pensiero religioso”.
Al documentario partecipa, tra gli altri, la bizantinista Vera Von Falkenhausen, la quale fa riferimento alle prime notizie sul nome Calabria, risalente alla seconda metà del VII secolo, quando ad un Concilio a Costantinopoli, alcuni vescovi si riferivano al loro vescovato che si trovava in Calabria. Racconta l’ascesa dei normanni, sottolineando come essi non volevano governare contro una popolazione che trovarono, ma preferirono sfruttare il territorio rispettando il sentimento dei calabresi, attaccati al proprio rito religioso, continuando a costruire alla greca secondo la tradizione dei maestri locali, con la conseguenza che molti edifici normanni ricostruiti o restaurati in epoca normanna mantennero intatte le forme greche.
Prezioso l’intervento dello storico Filippo Burgarella che ben descrive nel documentario la fase cosiddetta di “bizantinizzazione“, che ha comportato il passaggio dell’obbedienza al Patriarcato di Roma al passaggio del patriarcato di Costantinopoli e soprattutto al passaggio dalla liturgia in lingua latina alla liturgia in lingua greca, sottolineando come i monaci in Calabria si adattarono molto bene alla natura del luogo, perché in Calabria si aprivano grotte, nelle quali il monaco poteva realizzare la propria aspirazione di eremita.
Curiosa è la partecipazione dello storico dell’arte Antonino Tranchina, il quale evidenzia come: “a partire dal X secolo troviamo le biografie di santi monaci che hanno vissuto la loro esperienza in Calabria che sono approdati fortunosamente, oppure vi sono nati e cresciuti. Solitudine temperata che seguiva la scansione dei tempi liturgici. Cinque giorni dedicati alla solitudine totale per approdare il sabato e la domenica all’esperienza comunitaria che aveva il suo fulcro nell’attività liturgica.”
Appassionante è l’intervento del vicedirettore del Museo Diocesano e del Codex in Rossano (CS), Cecilia Perri, che parla del Codex Purpureus Rossanensis del VI secolo, contenente un evangelario con l’intero vangelo di Matteo, quasi tutto quello di Marco e una parte della lettera di Eusebio a Carpiano sulla concordanza dei Vangeli.
Bella è la descrizione tecnica ed artistica dell’architetto Pasquale Lopetrone del Battistero di Santa Severina, la cui costruzione sembra risalire intorno alla fine del IX secolo, edificio più antico della Calabria ancora in uso, realizzato con materiale proveniente dalla Turchia e classificato come: “ un modello per tutti gli studiosi di architettura ed in particolar modo di quella bizantina”.
Il documentario si conclude con la testimonianza di Federic Vermorel, eremita nell’eremo di Sant’Ilarione a Caulonia, il quale afferma: “chi si impegna nel sociale senza avere una dimensione di preghiera dopo un po’ si esaurisce. Chi si rifugia nella solitudine o nella contemplazione solo per stare in pace fuori dalle difficoltà dell’uomo si può chiamare eremita, ma non cristiano, perché l’unica legge che vale per tutti noi è la carità”.
Nel documentario si parla, sia dal punto di vista religioso che culturale, della Grotta di Montestella di Pazzano (Reggio Calabria) detta anche Grotta di Santa Maria della Scala, della Cattedrale di Rossano (Cosenza), della Chiesa di San Marco di Rossano, dedicata a Santa Anastasia, del Patirion situato tra Rossano e Corigliano Calabro, della Cattolica di Stilo (Reggio Calabria) – definita da Cuteri, per la sua piccola e particolare forma, come “ un ascensore per il cielo, un punto in cui dalla terra ci mettiamo in contatto con il cielo” – dell’antico Monastero di Sant’Adriano a San Demetrio Corone (Cosenza), della Chiesa di San Giovanni Theristis di Bivongi (Reggio Calabria). Si tratta di edifici e di luoghi di culto che sono testimoni del periodo bizantino. Interessanti sono, altresì, i riferimenti ai santi più popolari della tradizione religiosa bizantina, come Santa Anastasia, San Basilio, San Nilo, San Giovanni il Precursore, Sant’Adriano.
QUESTO È IL LINK PER VISIONARE IL DOCUMENTARIO: https://youtu.be/N9AnDH40Kek
di Luigi Guzzo