Attraversiamo l’autostrada del Mediterraneo da Lamezia Terme-Catanzaro in direzione Nord fino allo svincolo di San Mango d’Aquino, e facciamo un viaggio a ritroso nelle pieghe della Storia.
Un viaggio che inizia là dove un tempo lontanissimo c’era un largo canale di acqua, «delimitato – scrive Dario Leone – a nord dai monti di Nicastro, Tiriolo e Catanzaro e, a sud, da quelli di Maida, Filadelfia e Borgia», quando la Calabria era composta da tre isole e da una penisola più grande che la univa al massiccio del Pollino. Nel cuore della Piana di S. Eufemia, un territorio unificato dalla Bonifica integrale avviata negli anni Trenta del Novecento con l’apporto di coloni provenienti dalla Pianura Padana allo scopo di avvicinare e mettere insieme montagna, collina e pianura creando nuovi spazi materiali e relazionali.
Infrastrutture moderne come la stazione ferroviaria e come l’aeroporto (entrato in funzione nel 1976) si susseguono e caratterizzano un paesaggio che ha conosciuto vivacità economico-produttive testimoniate dallo zuccherificio Cissel, un investimento voluto dal governo fascista come elemento trainante dello sviluppo industriale e urbano. Un impianto che, inaugurato nel 1941, ha garantito un salario a centinaia di famiglie, arrivando a produrre 150mila quintali all’anno di zucchero da barbabietola; e che ha cessato l’attività nel 1961, sprofondando nel baratro dell’indifferenza causato dal degrado e dal fallimento di ogni tentativo di recupero e valorizzazione della struttura.
Un paesaggio caratterizzato anche da beni di interesse storico, da architetture, da emergenze archeologiche di notevole valore. Come il Bastione di Malta, per esempio, situato sul lato sinistro del nostro percorso; torre costiera affidata alla cura dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme e integrata nel sistema difensivo delle torri di guardia voluto dagli Spagnoli. E come l’abbazia di Santa Maria di Sant’Eufemia in contrada Terravecchia, sul lato destro, oggetto di rifondazione latina e benedettina al tempo dei primi Normanni, nel momento in cui la Neokastron dei Bizantini – edificata nelle terre dove vissero i Lametînoi e diventata sito strategico fondamentale per il controllo del versante tirrenico della Calabria – si allontana sempre più dall’Oriente e, con le sue chiese e i suoi monasteri greci, entra a far parte di una nuova e forte entità territoriale destinata a diventare il Regno di Sicilia nel 1130.
Poco più a monte, in località Cerzeto del comune di Gizzeria, al confine con il borgo di Sant’Eufemia Vetere, il terreno ha restituito un’Hydría a figure rosse, vaso per acqua di epoca greca alto circa mezzo metro che rappresenta una scena di pulizia in contesto muliebre. Subito dopo, intersecando la provinciale che conduce alla Mortilla, osserviamo a destra ruderi di edifici che si distinguono per la tipicità dell’architettura rurale, ai quali seguono la torre di Santa Caterina o dei Cavalieri di Malta e la torre di Capo Suvero sulla destra, mentre verso la costa tra il tracciato autostradale e la Strada Statale 18 Tirrena Inferiore osserviamo la torre Spineto. Luoghi – anche questi – che rivestono importanza dal punto di vista archeologico, con il terreno di Capo Sperone che ha restituito resti di un mausoleo romano.
Ci lasciamo alle spalle il curvone di Capo Suvero, piccolo promontorio sul quale spicca il Faro, attraversiamo Maiolino e ci avviciniamo ai confini che separano Gizzeria da Falerna. Colpisce, sulle terre alla destra del nostro percorso, un complesso edilizio rivolto verso il mare – il Casino di Stocco – con ai lati due torrette circolari e muro di cinta sul retro, preziosa testimonianza delle singolari case-fortificate ottocentesche. Davanti a noi svetta, su una collinetta, l’abitato di Castiglione Marittimo, il borgo medievale voluto dai Normanni (che lo dotarono di un castello chiamato Leo Castrum) e diventato, nei primi anni del Seicento, Principato dei d’Aquino. Più in alto, in lontananza, domina il panorama di Falerna.
Il viaggio prosegue. Attraversiamo l’abitato di Falerna Marina, con la chiesa che si erge in basso alla nostra sinistra, e giungiamo in località Schipani, un territorio ricco di emergenze archeologiche sparse. A monte, la villa romana di Pian delle Vigne esposta a mezzogiorno in luogo ventilato, con la pars rustica per le attività agricole e gli ambienti utilizzati come opifici, destinata per tre secoli alla produzione prevalente di olio e vino. A valle, nelle vicinanze dell’odierna Strada Statale, «i resti di una grandiosa villa marittima di età imperiale romana», che ha evidenziato – all’epoca dello scavo – «uno scarico di anfore di enormi dimensioni». Quest’ultimo sito, casualmente scavato e mai indagato fino in fondo, è stato abbandonato e oggi risulta coperto da strutture abitative. E poi ancora, alla nostra sinistra tra autostrada e statale, ai piedi dei gradoni che si sono formati nel Quaternario e che hanno scolpito il territorio di Falerna, sul promontorio attraversato da una galleria della linea ferroviaria, s’innalza Torre Lupo (detta in antico Torre di Rupe).
Per finire con tracce di un percorso stradale. Se non proprio la Via Popilia, sicuramente un diverticolo della consolare romana che in direzione nord costeggia il dorso collinare degradante a mare, lambisce la villa di Pian delle Vigne, prende quota dai piani di Spatole, del Casale e di Tirena, tocca il territorio di San Mango e giunge fino Ad Fluvium Sabutum, ai piedi dell’antica Martirano.
Notiamo che da Schipani in poi il tracciato autostradale comincia ad allontanarsi dalla costa e dalla Statale e prende slancio verso l’interno, lasciandosi dietro l’abitato di Nocera Scalo da un lato e la Torre del Casale dall’altro. Attraversata la galleria Timpa delle Vigne (773 metri) torniamo in superficie e sulla sinistra all’improvviso appare il Piano di Tirena (semplicemente Chianu nel dialetto locale) lambito ai lati da due fiumi, il Grande a sud e il Savuto a nord, i quali concludono la corsa verso il mare confluendo in un unico corso d’acqua che si butta nel Tirreno. A est il Piano degrada a valle ed è stato per molti secoli collegato ad una collinetta in località Portavecchia tramite una breve e stretta sella.
Descriviamo questo collegamento al passato perché gli ingenti lavori di sbancamento – per la costruzione della SA-RC nella seconda metà del Novecento e per l’ammodernamento in tempi più recenti – hanno sconvolto totalmente il paesaggio, determinando una netta separazione tra il Piano e Portavecchia. Una località – quest’ultima – balzata agli onori della cronaca (e della ricerca archeologica) nel 2008-2009, sulla quale la Soprintendenza ha concentrato la sua attenzione parlando di «una delle zone che ha restituito significativi risultati scientifici […] dove si sta mettendo in luce una necropoli di età greca».
Il Piano di Tirena è da tempo oggetto di studio perché, come si sa, «il pianoro […] era abitato nel corso del VI secolo a.C. in pianta stabile» (Valenza); perché dell’esistenza di «una fase arcaica ascrivibile per ora alla seconda metà del VI sec.» (Lattanzi) hanno parlato gli studiosi, e perché «pare poco verosimile […] che una posizione-chiave come Piano della Tirena sia stata occupata soltanto in Età ellenistica» (De La Genière).
Delle 118 sepolture individuate nella necropoli di Portavecchia, sul posto non rimane nulla (siamo precisi: per un tratto oggi i veicoli transitano proprio sul luogo dov’era ubicata la necropoli). Sono stati accertati segni di violazione e di saccheggio relativamente ad un numero elevato di tombe, con conseguente perdita dei corredi, mentre le restanti sepolture integre hanno restituito corredi diversificati che vanno dai più ricchi ai più poveri. Credo che il tutto sia ancora all’esame degli studiosi.
C’è da dire che la Valle del Savuto ha ospitato nel passato una corona di piccoli e medi insediamenti, e le testimonianze si infittiscono «per il periodo di IV-III sec. a.C., quando appare attestata sul territorio la presenza di ristretti nuclei sparsi di tipo abitativo-agricolo, con piccole zone di sepolture annesse…». Nuclei sorti per lo sfruttamento agricolo e creati lungo un asse antico di penetrazione verso l’interno al quale probabilmente si è sovrapposto oppure si è affiancato l’attuale tracciato autostradale, tenendo conto anche del mutevole andamento del corso del fiume.
Superati dunque i luoghi dove prima c’erano la sella di collegamento Piano-Portavecchia e il sito della necropoli, usciamo dalla Galleria Ogliastro (283 metri) e già intravediamo a sinistra le abitazioni di Marina di Savuto, allineate lungo una striscia di terra oltre il fiume. Un cartello stradale segnala 2,6 Km. per lo svincolo di San Mango d’Aquino. Alla nostra sinistra si presenta, sullo sfondo, il borgo medievale di Savuto con il castello di fondazione angioina. A destra ecco Fabiano, altro importante sito archeologico, oggetto di una lunga frequentazione che inizia nel quarto secolo avanti Cristo e prosegue in epoca imperiale romana.
Un sito – anche questo – colpito dai lavori autostradali, sul quale noi stessi avevamo osservato sepolture ancora integre (nonostante il saccheggio che ha sempre subito la zona) ed ora non più esistenti, perché travolte anch’esse dallo sbancamento e dalla costruzione dei ponti di attraversamento della sottostante carreggiata. Fabiano che – assieme a Vignali e Montagna del Pruno (una volta detta Montagna di Savuto) – costituiva l’insieme dei vasti corpi feudali sui quali i d’Aquino concessero gli usi civici agli abitanti del villaggio di San Mango fin dal tempo dei loro primi arrivi. Fabiano che sul suo Piano e in prossimità di Casa Mercuri ha sempre restituito resti di necropoli, di cui troviamo traccia anche in un Atto di Difesa del 13 gennaio 1829 regolarmente depositato negli uffici della Magistratura borbonica, laddove si parla espressamente di «un vasto e antichissimo Cimitero, e moltissimi sepolcreti particolari». E Fabiano – ricordiamolo – con i suoi terrazzi ampi e panoramici domina la vallata fino alla foce del Savuto, trovandosi a un tiro di schioppo da Portaveccia, l’avvallamento che costituisce l’unica via di accesso al Piano di Tirena e dove i lavori autostradali – come abbiamo già annotato – hanno portato alla luce la necropoli con più di cento tombe.
Tracce di un passato che legano gli uomini al territorio, al pari delle vie di comunicazione. Pensate all’autostrada, che ci sta consentendo di fare un viaggio a ritroso nelle pieghe della Storia e che molti di voi percorrono quotidianamente. E ricordatevi che quasi in parallelo con il tracciato autostradale, lungo la bassa valle del Savuto, è esistito un percorso antico che dalla Marina dei Ventura e da Portavecchia attraversava a mezza costa sulla riva sinistra del fiume le contrade Niccoli, Serra Mancini, Serra Sottana e Fabiano, e poi, inoltrandosi verso l’interno e segnando il confine tra i comuni di Nocera e di San Mango, la via proseguiva per le balze dell’Abbazzata lungo un tracciato che lontane memorie tramandano come Via del Carruggiu, fino a concludere la corsa in vista delle prime case di San Mango nei pressi di quella che oggi chiamiamo Fontana Vecchia. Una direttrice – quella appena descritta – lungo la quale si è attestata la maggior parte dei siti archeologici oggetto di ricognizione, e dalla quale si diramavano sentieri trasversali che giungevano fino al fiume e che nel tempo presente vivono solo nel ricordo di chi è nato intorno alla metà del Novecento.
I segnali di uscita – assieme a San Mango d’Aquino – indicano Martirano Lombardo, Conflenti e Nocera Terinese. Percorriamo le corsie dello svincolo e ci ritrovano esattamente di fronte al centro storico di Savuto, che si eleva su una roccia oltre il fiume e che è stato per secoli un importante feudo baronale, il quale ha avuto come pertinenza anche le terre sulle quali è sorto ed è cresciuto poi il paese di San Mango. E terminiamo il viaggio nel Piano della Madonna, una leggera pianura a mezza costa sagomata da un terrazzo marino del Quaternario, dove però l’assetto originario del territorio è stato sconvolto a partire dal 1965, prima dal tracciato dell’autostrada e poi dall’apertura dello svincolo che ha favorito lo sviluppo edilizio e incentivato l’ampliamento della rete stradale comunale.
Un luogo storico per San Mango, perché proprio in quella zona i d’Aquino principi di Santo Mango hanno delimitato un corpo feudale concesso in donazione alla Parrocchia all’atto della sua costituzione. E proprio lì, su quel fondo la religiosità popolare ha portato le persone a edificare tre chiese dedicate alla Madonna della Vuda. La prima, costruita nella seconda metà del Seicento, è stata distrutta dal passaggio dell’autostrada. La seconda è stata demolita per consentire i lavori di ammodernamento. Quella attuale è stata appena completata, ma – anche se vistosa e appariscente – non conserva più i caratteri originari di chiesetta rurale. Anzi, nel raffigurare su una parete interna la leggenda dell’apparizione, la mano dell’uomo ha alterato anche la tradizione e la Madonna appare ad una ragazzina invece che ad una vecchietta. E anche questo è un segno dei tempi che viviamo!
di Armando Orlando